1977
Il 1977 fu l’anno della Costituente di Dp. Nel corso dell’anno la crisi
precipitò sia in Ao che nel Pdup.
Il 20 febbraio il manifesto pubblica un documento firmato da 32 componenti
del comitato centrale del Pdup e da 30 di quello di Ao. Il documento critica
la prospettiva della radicalizzazione delle lotte. Il 26 febbraio si riunisce
l’ultimo comitato centrale del Pdup per il comunismo, che si conclude con
31 voti favorevoli e 30 contrari ad un ordine del giorno che ribadisce
il documento dei 62.
Il Pdup per il comunismo si scinde, così, addirittura in quattro
parti: la maggioranza di Magri e Rossanda, la sinistra di Foa e Miniati,
la corrente sindacale di Giovannini, le "Federazioni unitarie".
In aprile si tiene a Milano il quinto congresso di Ao, che vede la
divisione tra la maggioranza di Vinci e Gorla e la minoranza di Campi (8%).
La minoranza di Ao e la maggioranza del Pdup si unificarono mantenendo
la sigla di Pdup per il comunismo, mentre la maggioranza di Ao (col congresso
dell’aprile 1977) e la sinistra del Pdup (con l’assemblea nazionale dei
delegati della sinistra Pdup del maggio 1977), insieme alla Lega dei comunisti
(organizzazione sorta da Potere operaio toscano e Unità operaia
di Roma, i cui esponenti più rappresentativi furono Luperini e Rescigno),
costituirono il Coordinamento di Democrazia proletaria, in cui confluirono
presto, nell’ottobre 1977, anche le "Federazioni unitarie".
La situazione è così precipitata nella costituzione di
due formazioni, una che dedica la sua attenzione al Pci perché abbandoni
la linea del compromesso storico e si batta per l’alternativa, e l’altra
che cerca invece nuove strade.
Anche il gruppo parlamentare è completamente disgregato: solo
Gorla rimane legato al progetto di Costituente di Dp.
Dp nacque dunque in pieno ‘77, ed i primi mesi di vita della Costituente
del nuovo partito sono caratterizzati, da un lato, dal confronto con le
tematiche del movimento del ‘77 (immediatismo, teoria dei bisogni, critica
radicale della forma-partito e della militanza tradizionale), dall’altro,
dall’opposizione al consociativismo del Pci e del sindacato. Si tratta
di sfide notevoli per il partito ancora in fase di costituzione: da una
parte il movimento del ‘77 con la sua critica radicale, dall’altra parte
il Pci che accusa Dp di estremismo quando non di fiancheggiamento del terrorismo,
e il sindacato che con l’assemblea dell’Eur del febbraio 1978 sancisce
la politica della concertazione.
Per quanto riguarda il movimento del ‘77, i militanti di Dp vi parteciparono
solo talvolta con un ruolo significativo, mentre invece da subito il nuovo
partito si caratterizzò come partito della resistenza operaia e
dell’opposizione alla politica di concertazione di Cgil-Cisl-Uil. Nella
primavera del 1977 si tenne un’assemblea operaia autoconvocata al Lirico
di Milano, promossa praticamente da lavoratori di Dp, e un po’ dovunque
nelle fabbriche e nelle assemblee sindacali i militanti di Dp riescono
a svolgere un qualche ruolo significativo. All’inizio di dicembre Dp organizzò
un seminario operaio nazionale e a metà dicembre a Torino un’assemblea
dell’opposizione operaia.
La fase "costituente" vera e propria fu rapidissima, poiché
il rischio maggiore che si temeva era il disorientamento e la dispersione
di molti militanti, soprattutto dell’area Pdup. Perciò la nuova
formazione nacque immediatamente dopo la rottura del Pdup. Del resto la
nuova formazione stava nascendo con obiettivi politici piuttosto chiari
(costruire un’organizzazione che potesse essere il perno dell’alternativa,
in opposizione alla scelta della maggioranza magriana del Pdup e della
minoranza di Ao di attribuire maggiore importanza al Pci per la realizzazione
dell’alternativa), benché le valutazioni su come costruire il nuovo
partito e sul come arrivare all’alternativa potessero essere diverse, ed
era inevitabile perché confluivano molte delle differenti sensibilità
nate nel decennio precedente. Oltre a questi obiettivi politici, nel nuovo
partito in formazione erano inoltre chiari i riferimenti ideologici (il
marxismo rivoluzionario, antistalinista e libertario) e programmatici (la
lotta dei ceti oppressi: lavoratori e disoccupati, donne, emarginati).
Sul piano organizzativo invece Dp si trovò nel caos più
totale per alcuni anni. Un elemento emblematico del caos organizzativo
è anche il nome della nuova formazione: tutte le sigle vengono usate
per oltre un anno, Dp, Pdup, Ao-Pdup-Lega. Quasi ovunque si preferiva Dp,
pochi (come Brunetti in Calabria) preferivano Pdup e conseguentemente non
si era in grado di rispondere a Magri, che chiedeva un accordo di "spartizione"
del comune patrimonio dei due nomi, dichiarandosi peraltro disposto a dare
alla formazione concorrente la priorità della scelta.
Un certo caos organizzativo si ha anche per quanto riguarda gli organismi
dirigenti: l’esecutivo nazionale era composto da Foa, Miniati, Ferraris,
Migone, Russo Spena, provenienti dal Pdup, Vinci, Gorla, Calamida, Molinari,
Semenzato, Bottaccioli (di Ao), Luperini (della Lega), ma almeno fino al
primo congresso del 1978 e anche più in là, fino all’assestamento
organizzativo seguito alla disfatta elettorale di Nsu, le responsabilità
dirigenti non furono esattamente definite. Infatti Foa fu nell’esecutivo
nazionale solo nei primi tempi della Costituente, ma fu senz’altro un dirigente
di primo piano fino alla costituzione di Nsu. E ancora, non esisteva la
figura del segretario nazionale, preferendo mantenere collegiali le responsabilità
dirigenti, ma informalmente Miniati fu il coordinatore fino al 1980, poi
lo diverrà Molinari fino al 1982, stavolta formalmente, ma anche
con quest’ultimo la carica non ebbe una valenza effettiva, come avrà
invece dall’82 quando Capanna fu eletto coordinatore e dall’84 segretario.
La mancanza di figure dirigenti monocratiche fu certo dovuta alle critiche
alla forma-partito del movimento del ‘77, e anche al caos organizzativo
che durerà infatti fino alla segreteria Capanna, che nacque proprio
in reazione a questo caos. Sono questi tutti elementi indicativi dei difficili
tentativi di ricerca di una nuova forma-partito.
Ma se il caos organizzativo regnò sovrano a lungo, la linea
politica iniziò presto a essere definita. In novembre si tenne ad
Arezzo un seminario sulla costituente. L’analisi della fase politica individuava
la strategia di ripresa della Dc e del padronato e tramontava definitivamente
la convinzione di essere alla vigilia di grandi cambiamenti. Sul movimento
del ‘77 si affermava di condividerne le motivazioni, ma se ne criticavano
alcuni aspetti (soprattutto il rifiuto dell’organizzazione, il "tutto e
subito") e analogamente per quanto riguardava il movimento femminista.
Nodo centrale del dibattito di Arezzo è quale partito costruire,
dopo la critica radicale alle forme di organizzazione e di militanza tradizionali
espresse dalla contestazione femminista e dal movimento del ‘77. Il dibattito
su questo nodo irrisolto si protrarrà del resto per anni, vedendo
successivamente il contrapporsi di "movimentisti" e "partitisti", pur con
diversi significati attribuiti a queste posizioni. Infatti, se nel 1977-78
la questione fu la critica della forma-partito e della militanza tradizionali,
nel 1979 con Nsu gli strascichi di queste posizioni diventeranno, da una
parte, il disconoscimento del ruolo del partito, dall’altra, la sua riaffermazione,
mentre dopo la sconfitta di Nsu le posizioni diverranno meno schematiche,
mirando a un equilibrio del ruolo del partito e dei movimenti. Dati questi
differenti significati (e i molteplici significati secondari intermedi)
di "movimentismo" e "partitismo", sarebbe meglio parlarne sempre tra virgolette,
trattandosi di concetti così imprecisi che possono significare tutto,
al fine di evitare di farne una chiave di lettura troppo schematica.
1978
La discussione di Arezzo e i documenti usciti, insieme alle discussioni
tenute nel convegno operaio del dicembre precedente e nel convegno sulla
questione cattolica, tenuto sempre ad Arezzo, saranno la base del primo
congresso di Dp. L’"assemblea congressuale", come fu chiamata, si tenne
a Roma dal 13 al 16 aprile. Slogan del congresso fu "La democrazia degli
operai, dei giovani, delle donne per cambiare la vita trasformando la società".
Vi furono diverse relazioni introduttive (di Franco Calamida, di Ninetta
Zandegiacomi e di altri), questo perché si volle evitare la tradizionale
relazione introduttiva unica: fu un effetto della critica alle tradizionali
"forme-partito" che avevano investito la nuova sinistra alla fine degli
anni settanta e un sintomo di quella ricerca di nuove modalità di
organizzazione che avrebbe caratterizzato Dp per alcuni anni molto intensamente
(vedi quanto detto prima su "movimentismo" e "partitismo").
Al centro del dibattito congressuale vi fu la crisi della sinistra
rivoluzionaria nella situazione italiana caratterizzata dal consociativismo,
al punto da ribaltare qualsiasi prospettiva di cambiamento e da invalidare
l’ipotesi di "governo delle sinistre" che era alla base del cartello elettorale
di Democrazia proletaria nel 1976. Per quanto riguarda la questione di
quale partito costruire, si propose di continuare sulla strada dell’elaborazione
di una nuova teoria del partito.
La mozione conclusiva del congresso individuò come compito centrale
del partito la lotta al compromesso storico, e conseguentemente il sostegno
e l’organizzazione delle lotte, intese come resistenza alla normalizzazione
della società, con l’obiettivo di ricomporre un blocco sociale antagonista.
Vennero sostenute nei mesi seguenti le lotte più radicali dei lavoratori,
come quella degli ospedalieri, e ciò costò al neonato partito
l’allontanamento dalla sinistra sindacale.
Netto è il giudizio sul terrorismo: "contro lo stato e contro
le Br", e si affermava che "la nostra avversione non ha soltanto ragioni
tattiche ma investe l’immagine stessa di società che vogliamo costruire".
Vennero riaffermate la centralità operaia (e l’attività
nel sindacato vista come una forma di lavoro di massa) e la validità
del marxismo: la cosiddetta crisi del marxismo "esige non già l’abbandono
delle categorie scientifiche elaborate da Marx ma il tentativo di farle
concretamente rivivere nell’analisi delle contraddizioni sociali e nella
progettazione stessa della società socialista".
La mozione finale fu unitaria, l’unico dissenso venne da alcuni delegati
di Napoli che proponevano l’opposizione a qualsiasi giunta di sinistra
e chiedevano un partito caratterizzato dall’"ideologia comunista".
Per quanto riguarda il gruppo dirigente, venne eletto un esecutivo
composto da Bottaccioli, Calamida, Molinari, Ronchi, G. Russo (provenienti
da Ao), Miniati e Jervolino (provenienti dal Pdup), Luperini (proveniente
dalla Lega).
Il 1978 fu l’anno caratterizzato dal sequestro e dall’omicidio di Moro,
e anzi l’assemblea congressuale si svolse proprio a metà del sequestro.
Dp fu non solo contro il terrorismo, ma anche contro le leggi speciali,
viste come mezzo utilizzato dallo stato per combattere l’antagonismo sociale
e politico. Nasce e acquista importanza in Dp la tematica del garantismo.
Dp partecipa al referendum sull’abrogazione della legge Reale, tenutosi
in giugno unitamente al referendum sul finanziamento pubblico ai partiti.
Il 9 maggio, giorno dell’omicidio Moro, viene ucciso dalla mafia Peppino
Impastato, capolista di Dp a Cinisi.
Dopo il congresso si svolsero le elezioni in Friuli, Val d’Aosta, Trentino-Sud
Tirolo, nelle quali Dp conseguì risultati positivi tali da contribuire
a creare un clima di fiducia e ad avviare un rafforzamento dell’organizzazione.
Si cerca di rilanciare il Quotidiano dei lavoratori. Le questioni sul futuro
del Qdl erano due: una tecnica (passare al formato tabloid) e una politica
(se essere giornale più di partito o più di movimento). In
autunno si decise di assumere una caratterizzazione più movimentista.Dal
2 dicembre fino al 12 giugno del 1979, il Qdl uscirà in formato
tabloid, diretto da Vittorio Borelli e Daniele Protti, caporedattori Stefano
Semenzato e Armando Zeni. In questo periodo migliorano sia il prodotto
giornalistico che le vendite (12-15.000 copie), ma rimangono e aumentano
i problemi finanziari e la difficoltà di essere considerato da alcune
realtà locali del partito come cosa propria, sia al Sud, dove è
considerato come un giornale milanese, sia presso alcuni settori che non
approvano l’aprirsi a tutte le tematiche del movimento.
Dp ha inoltre altri organi di stampa: la rivista teorica Unità
proletaria, e l’agenzia di informazione interna Democrazia proletaria.
Per quanto riguarda i terreni dell’impegno politico di Dp nel 1978,
il principale è quello dell’opposizione operaia, contro la politica
della concertazione sancita proprio nel febbraio dall’assemblea dell’Eur
di Cgil-Cisl-Uil. Sempre in febbraio si svolse a Milano un’altra assemblea
dell’opposizione operaia, detta "Lirico due", e sia in quella sede che
nelle assemblee di fabbrica, Dp riesce a giocare un ruolo significativo
e a essere considerata come punto di riferimento della resistenza operaia.
1979
Nel 1979 si è in piena crisi della militanza.Ciò si aggiunge
alle critiche del femminismo e a quelle del movimento del ‘77 alla forma-partito.
Questa crisi della militanza si ripercuote ovviamente anche su Dp, causando
disorientamento e talvolta anche toni piuttosto esagitati, come da parte
di alcune femministe, ma anche una riflessione autocritica su alcuni aspetti
della militanza e dell’organizzazione politica tradizionali, che sfociano
ad esempio nella chiusura delle strutture di servizio d’ordine nelle federazioni.
Questo fatto fu dovuto alla maturazione della critica di pratiche e concezioni
semimilitariste, che avevano caratterizzato le organizzazioni della nuova
sinistra nel decennio precedente.
Un’altra novità è la nascita in quell’anno del movimento
antinucleare. Negli anni precedenti il dibattito nella nuova sinistra sulla
questione nucleare risentiva ancora molto del tradizionale "produttivismo"
e "sviluppismo" della sinistra storica, per cui non si era ostili al nucleare
ma all’uso capitalistico del nucleare e alle condizioni di sicurezza delle
centrali. Dp dal 1979 rifiuta il nucleare, soprattutto per la decisa spinta
di Gianni Mattioli, membro del direttivo nazionale del partito. Nasce in
quell’anno anche il comitato nazionale di controllo sulle scelte energetiche,
in buona parte su impulso di Dp.
Nel 1979 si vanno definendo alcune caratteristiche di quella che sarà
la cultura politica di Dp negli anni successivi: oltre alla questione nucleare
e dell’energia, e ovviamente alle lotte operaie, si sviluppano molto le
questioni delle libertà civili e del garantismo e l’opposizione
al Concordato (nel febbraio fu presentato un disegno di legge per l’abrogazione
dei Patti lateranensi in occasione del cinquantesimo anniversario della
stipulazione), l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, il federalismo
delle "nazionalità minoritarie" all’interno dello stato italiano
(che darà origine ai partiti federati a Dp "italiana": Dp sarda,
Dp del Friuli, Dp del Trentino, Arbeiterdemokratie/Dp del Sud Tirolo).
Si sviluppò il dibattito sulle modalità di presentazione
alle elezioni politiche del 3 giugno. C’era il pericolo della dispersione
dei voti se fossero state presentate la lista di Dp, quella del Pdup e
quella dei radicali. L’esecutivo nazionale di Dp cercò di evitare
questa eventualità. Dal 16 al 18 marzo a Bellaria si svolse una
assemblea dei delegati, al termine della quale venne approvata una mozione
finale che sottolineava come la situazione politica italiana fosse caratterizzata
dalla democrazia autoritaria ed esprimeva la necessità di collegare
le lotte della resistenza operaia alla ristrutturazione capitalista a quelle
dei "nuovi soggetti" (donne, giovani). Inoltre venne dichiarata la non
recuperabilità del Pci a un’ipotesi di alternativa, stante la divaricazione
tra i bisogni di massa e il sistema dei partiti, in cui anche il Pci era
integrato. Da questa analisi emerse la proposta di una lista di movimento,
fortemente caratterizzata dall’antiriformismo.
Da parte sua il Pdup in gennaio-febbraio era orientato a presentare
la propria lista, insieme al Mls, ma a fine marzo uscì un documento
firmato da 61 esponenti della sinistra sindacale, intellettuali, esponenti
del dissenso cristiano, ex Lc che proponevano una lista unitaria, con un
equilibrio tra candidature di organizzazione e di movimento. Anche la sinistra
sindacale era orientata per la lista unitaria, anzi si offrì come
"garante" dell’iniziativa. Il 10 aprile il direttivo di Dp accettò
la proposta dei 61, rimanendo invece la contrarietà del Pdup.
A una settimana dalla scadenza per la presentazione delle liste, il
gruppo dirigente nazionale di Dp decise di presentare le liste di Nsu.
Questa decisione non ebbe l’adesione convinta di tutto il partito (soprattutto
i milanesi e i settori operai del partito), ma alla fine tutto il gruppo
dirigente accettò l’operazione Nsu, sia di fronte alle pressioni
esterne che di parte del gruppo dirigente. All’interno di Dp Nsu era stata
fortemente voluta dai dirigenti di Dp provenienti dal Pdup, soprattutto
da Foa, che volle l’allargamento di Nsu agli ex Lc, il che contribuì
molto alla contrarietà di Magri e del Pdup. Magri infatti, che puntava
a raccogliere un’area intermedia tra la nuova sinistra e il Pci, temeva
che l’estremismo degli ex Lc potesse spaventare quest’area. Foa gestì
in buona parte la rappresentanza esterna di Nsu in campagna elettorale,
in primo luogo quella televisiva, caratterizzando la lista secondo la sua
concezione del "movimentismo", insistendo che non c’era necessità
di darsi un programma perché il programma veniva dato già
pronto dai movimenti, dei quali Nsu era l’espressione politico-elettorale.
Le liste di Nsu raccolsero, oltre a Dp, una parte dell’ex Lc e soprattutto
intellettuali, la sinistra sindacale, le radio democratiche, i cristiani
del dissenso, il movimento antinucleare.
La sconfitta fu secca: 293.00 voti (0,8%) e nessun seggio, il Pdup
ebbe 501.000 voti (1,4%) e sei seggi. Nsu ebbe ovunque meno dell’1% tranne
a Milano, Trento, Roma, Cagliari. La presenza istituzionale di Dp, assente
dal parlamento, fu ridotta a ben poco: qualche consigliere regionale (Capanna
in Lombardia, Jervolino succeduto proprio in quell’anno a Russo Spena in
Campania, Tonelli in Trentino e Cavallo in Friuli) e un numero limitato
di consiglieri provinciali e comunali, soprattutto in Lombardia. Questo
elemento della scarsa presenza istituzionale è da sottolineare,
perché nella storia della sinistra italiana c’era il precedente
del Psiup, che si sciolse in seguito alla mancata entrata in parlamento
nel 1972. Dp invece riuscì a resistere, a riorganizzarsi e a rientrare
in parlamento alle successive elezioni. Ma all’indomani del 3 giugno la
situazione di Dp non era certo rosea. Con l’insuccesso elettorale si chiuse
la fase di Nsu e si avviò un cambiamento profondo dell’organizzazione.
Perse quasi tutta la parte ex Pdup del gruppo dirigente, figure prestigiose
come Foa, Miniati, Ferraris, Migone, Protti, Mattioli, Brunetti, i sindacalisti
Giovannini, Lettieri e Sclavi. Degli ex Ao, tra i dirigenti se ne andò
Borelli.
Il gruppo dirigente era formato quasi solo da ex Ao, tranne i dirigenti
di origine "cattolica" dell’ex Pdup: Russo Spena, Jervolino, Bellavite,
Agnoletto, Saija. Questo fatto fu importante perché in tal modo
Dp non era solo Ao con un altro nome, ma soprattutto è importante
sul piano politico per l’apporto dato da queste persone, introducendo nella
cultura politica del partito elementi nuovi come la critica alla politica
e l’attenzione al garantismo e alla difesa della democrazia (Ferrajoli
e Sbardella). Si andò così costruendo la cultura politica
di Dp che verrà definita compiutamente negli anni seguenti, non
solo per questi apporti culturali ma anche per la riflessione autocritica
sugli aspetti di maggiore ingenuità e di estremismo schematico tipici
del ‘68.
L’insuccesso elettorale provocò una profonda crisi dell’organizzazione,
che fu anche costretta a chiudere provvisoriamente il Quotidiano dei lavoratori
il 12 giugno. Il direttivo nazionale si dimise, ma le dimissioni furono
respinte a maggioranza dall’assemblea delle federazioni. Si decise la convocazione
di un’assemblea dei delegati ad Arezzo (7-8 luglio) e la convocazione del
congresso. Alle europee del 10 giugno, dove si era presentata la lista
di Dp perché non si riusciva a raccogliere le 150.000 firme necessarie,
si ottennero 252.342 voti pari allo 0,7% e un seggio: Mario Capanna venne
eletto nella circoscrizione Nord-Ovest.
Questo discreto risultato produsse due effetti.
Il primo riguardava proprio la figura di Capanna: egli, che non era
stato tra i fondatori di Dp (infatti si iscrisse dopo l’elezione a parlamentare
europeo), divenne un punto di riferimento nel caos organizzativo e politico
del partito, per uscire dal quale era ormai diventata opinione comune la
necessità di un capo forte, autorevole, carismatico, capace di un
buon impatto sui media. Da queste esigenze nacque poi la decisione di creare
il ruolo di segretario nazionale e di affidarlo a Capanna, che da parte
sua proprio su questa prospettiva si integrò all’organizzazione.
Il secondo effetto del voto europeo fu la constatazione che c’era stata
una, seppur piccola, inversione di tendenza rispetto al sentimento di sfascio
dopo le politiche. Si constatava che c’era comunque uno zoccolo duro, radicato
soprattutto nelle fabbriche del Nord. Anche organizzativamente era determinante
l’area operaia del partito, come si sarebbe visto nei mesi successivi.
All’assemblea dei delegati, la relazione di Bottaccioli, Luperini e
Russo Spena faceva un’analisi di fase molto realistica, né completamente
pessimista ("le lotte sono finite del tutto") né ottimista a oltranza.
Si notò che le resistenze alla normalizzazione del dissenso erano
significative, e si concludeva con la necessità per Dp di superare
il partitismo del ‘74-‘76 e l’eccessiva rincorsa dei movimenti del ‘77-‘79.
Cambiò l’assetto centrale del partito in seguito al disimpegno di
alcuni dirigenti di provenienza Pdup (Foa, Miniati, Ferraris, Migone, Protti).
Per Dp iniziò una fase difficile sotto il profilo organizzativo:
senza finanziamento pubblico, le poche risorse economiche provenivano soltanto
dai consiglieri regionali, dal deputato europeo e dalle sottoscrizioni
delle realtà locali, fenomeno che sarà invertito invece quando
Dp, rientrando in parlamento nel 1983, disporrà di denaro da erogare
alle federazioni.
La situazione difficile di Dp, di "resistenza", fu resa ancor più
difficile dal progredire dell’offensiva padronale e democristiana che porterà
alla sconfitta definitiva del grande ciclo di lotte operaie iniziate nel
1969, sconfitta resa evidente dall’esito delle lotte operaie alla Fiat
nel 1980.
I prodromi dello scontro del 1980 alla Fiat si ebbero già nel
1979, quando a metà ottobre si ebbe il licenziamento di 61 operai
tra i più attivi politicamente, accusati di collusione col terrorismo.
Il Pci ovviamente non reagì, e nemmeno voleva reagire il sindacato.
Sempre nell’autunno riprese l’attività del partito, con un’altra
assemblea dei delegati sempre ad Arezzo, dove la relazione introduttiva,
tenuta da Vinci, contribuì a riassorbire definitivamente la sconfitta
di Nsu senza lacerazioni drammatiche, ma anzi con una riflessione che cercava
di superare la contrapposizione ‘partitismo’-‘movimentismo’ nei termini
in cui era stata posta in Nsu. Certo, il rapporto partito-movimenti era
sempre stato e rimarrà una questione oggetto di dibattito, ma non
si poneva più nei termini schematici di pochi mesi prima, cioè
con la negazione del ruolo del partito da un lato e l’opposta difesa di
questo ruolo dall’altra.
Un altro momento importante di discussione interna fu il seminario
ristretto svoltosi a Canzo, sul Lago di Como, nel quale si gettarono le
basi delle tesi per il secondo congresso nazionale che verrà tenuto
l’anno successivo.
L’iniziativa politica proseguì inoltre nell’autunno con due
assemblee operaie a Roma e a Milano in ottobre e con un’assemblea dell’opposizione
operaia in dicembre a Torino.
La fine del 1979 vede quindi una ripresa dell’attività di Dp
sia sul piano dell’iniziativa che della definizione della propria linea
politica, con l’elaborazione di alcuni elementi che saranno caratterizzanti
della cultura politica di Dp negli anni successivi: l’opposizione operaia,
il garantismo, la lotta contro il nucleare, un’idea del rapporto partito-movimenti
meno schematica. Anche sul piano dell’organizzazione interna ci sono elementi
di novità, come l’istituzionalizzazione di un’organismo quale l’assemblea
dei delegati, organismo creato per conciliare una direzione centralizzata
del partito (evitando il caos dei primi tempi) con un’ampia democrazia,
evitando il verticismo. Infatti l’assemblea dei delegati sarà composta
dai membri della direzione nazionale e da alcuni delegati eletti dalle
federazioni, in relazione al numero degli iscritti. L’assemblea dei delegati
rappresentava il massimo organo di direzione, secondo solo al congresso,
e aveva il compito di prendere le decisioni principali sulla linea politica
(importanti furono, ad esempio, le scelte dopo la sconfitta di Nsu, e alla
fine degli anni ottanta le decisioni sulla prospettiva arcobaleno e su
quella neocomunista) e successivamente definirà anche le candidature
alle elezioni. Questo organismo, con alcuni ritocchi alle funzioni negli
anni successivi, resterà una caratteristica di Dp, piuttosto innovativa
rispetto alle forme di organizzazione della sinistra storica e della nuova
sinistra e, al di là del fatto che si possa considerare un’esperimento
riuscito o no, fu un tentativo serio di affrontare un problema reale.
Anche il Quotidiano dei lavoratori, dopo un momento difficile nei primi
mesi del 1978 (dimissioni di alcuni redattori, suicidio l’8 gennaio del
giovane redattore Marco Riva, dimissioni dei due direttori a metà
marzo "per raggiunti limiti di usura fisica, psichica e politica", rifiuto
da parte della Sipra di stipulare un contratto simile a quello appena firmato
col manifesto, e conseguente impossibilità di riuscire a garantire
con le sole vendite il pareggio economico), riprese ad uscire, sotto la
direzione di Semenzato, in edizione settimanale da ottobre, vendendo circa
13-14 mila copie, per rimanere poi in edicola fino all’aprile ‘82, quando
verrà chiuso definitivamente.
Dp in quel periodo disponeva inoltre di una rivista bimestrale di ricerca
teorica, Unità proletaria, nata dalla fusione dell’omonima rivista
del Pdup (dal ‘72 al ‘74 quindicinale, dal ‘75 al ‘77 mensile) con Politica
comunista di Ao. Era diretta da Pino Ferraris e poteva contare sui contributi
dei migliori intellettuali marxisti italiani, da Attilio Mangano a Costanzo
Preve, Luigi Ferrajoli, Romano Luperini. Unità proletaria fu importante
perché pubblicò contributi significativi sul garantismo e
sulle libertà civili, sulle trasformazioni dei processi produttivi
in seguito alla rivoluzione informatica (la cosiddetta terza rivoluzione
industriale), sullo stato della ricerca marxista. Erano elaborazioni da
non sottovalutare sia perché prodotte in un periodo di riflusso,
quando gli intellettuali in primo luogo abbandonavano il marxismo, sia
perché produssero elaborazioni che sarebbero diventate in gran parte
patrimonio della cultura politica di Dp negli anni successivi.