1980
Il 1980 fu un anno di transizione per Dp, sia a livello organizzativo
che politico. A livello politico rappresenta la transizione tra il periodo
più buio, il 1979, che ha visto la sconfitta elettorale e soprattutto
la consapevolezza diffusa che il grande ciclo di lotte era finito (come
indicherà la sconfitta storica della lotta alla Fiat), e gli anni
ottanta, dominati appunto dall’assenza della prospettiva di essere alla
viglia di grandi cambiamenti.
A livello organizzativo, Dp aveva ormai superato il momento peggiore
della sua crisi in seguito alla sconfitta elettorale: vi erano stati diversi
abbandoni, anche di dirigenti di prestigio, ma la scommessa dell’esistenza
di Dp era ormai vinta. Dp aveva un suo spazio come organizzazione che si
batteva per la resistenza alla normalizzazione, e su questo si posero le
basi per una sua ripresa, soprattutto con i referendum su contingenza e
statuto dei lavoratori del 1981-82.
La situazione della sinistra rivoluzionaria, dominata dall’abbandono
della militanza e dalla disillusione da una parte, e dal terrorismo dall’altra,
fenomeni che rendono sempre più difficile tenere aperti spazi di
resistenza alla normalizzazione e la possibilità di un’opposizione,
venne valutata realisticamente nel secondo congresso nazionale. Il congresso
si svolse a Milano, dal 31 gennaio al 3 febbraio, all’insegna dello slogan
"Lottiamo organizzati costruendo l’opposizione di classe".
Già Molinari, nella relazione introduttiva, evidenziava le "difficoltà
di tutta la sinistra, tali da caratterizzare la fase che stiamo vivendo
come fase di profondo arretramento, la cui portata rischia di divenire
storica per l’intero movimento rivoluzionario sia sul piano interno che
internazionale. Noi ci troviamo completamente all’interno di questa tendenza,
ne abbiamo subito e continuiamo a subirne le conseguenze e gli elementi
di crisi".
La relazione introduttiva, che riprendeva le tesi congressuali, era
divisa in sei parti: la crisi del sistema capitalistico occidentale, le
tendenze alla guerra e il quadro internazionale, il terrorismo, la situazione
italiana, il sindacato, la questione del partito.
Elementi di novità nell’analisi erano presenti nella prima parte.
La crisi economica era intesa come non separabile dalla crisi del movimento
operaio, si respingeva l’analisi del Pdup sulla crisi catastrofica del
capitalismo. A causa della debolezza del movimento operaio, la crisi "scarica
sulle classi oppresse costi economici, politici e ideologici e recupera
condizioni di ripresa e di governabilità del sistema". Vengono individuati
come elementi che possono mettere in crisi il modello di sviluppo la questione
energetica e ambientale.
Per quanto riguarda la situazione internazionale, veniva ribadita la
necessità di sostenere il disarmo contro le tendenze a una nuova
guerra fredda. Tali tendenze erano viste come l’elemento dominante della
situazione internazionale, dovute alle politiche aggressive di Usa e Urss
in lotta per l’egemonia mondiale. "Non si tratta in tempi ravvicinati dell’esplosione
di una guerra mondiale generalizzata ma piuttosto di una situazione al
cui interno sono possibili eventi bellici a carattere geografico circoscritto
ma con il coinvolgimento Usa e Urss e quindi con possibili ripercussioni
politiche militari ed economiche sullo stato della tensione e delle relazioni
internazionali. In questo contesto è necessario porre punti importanti
di discussione e d’iniziativa all’intera sinistra.
La lotta per la pace e il disarmo costituisce il punto centrale di
mobilitazione di massa e richiede la definizione di alcuni obiettivi concreti.
La lotta per la pace non deve oscurare la lotta di classe per la trasformazione
radicale della società, presupposto strategico per l’affermazione
della pace. Un primo obiettivo di carattere generale che ne deriva è
quello dell’indipendenza e autonomia politica nazionale, di rinuncia a
svolgere qualsiasi ruolo imperialista o subimperialista. Il secondo obiettivo
è il non allineamento e quindi la parola d’ordine ‘via le armate
Usa e sovietiche dall’area mediterranea’, ‘via la Nato e il Patto di Varsavia’.
Siamo anche convinti che ci si debba battere per il disarmo militare dell’Italia.
L’Italia deve anche liberarsi dai vincoli economici e dai trattati sottoscritti
dai governi democristiani che ne sanciscono la dipendenza economica derivante
dal peso e privilegiamento delle multinazionali".
Sul terrorismo veniva ribadito il giudizio già elaborato precedentemente,
fin dal primo congresso, come dannoso per il movimento operaio: "È
il prodotto di una sconfitta del movimento operaio, e tende a renderla
sempre più grave e profonda. Il terrorismo accelera l’involuzione
autoritaria dello stato. Per battere il terrorismo occorre dimostrare che
esiste uno spazio politico e di lotta rivoluzionaria fra terrorismo e cretinismo
istituzionale, che non è vero che le prospettive per il futuro sono
chiuse e disperate. Dobbiamo essere attivi nel contrastare l’azione del
terrorismo, la sua propaganda, recidere i suoi canali di possibile reclutamento.
Dobbiamo anche denunciare nelle norme autoritarie proposte dal governo
Cossiga un attacco allo stato di diritto. Il garantismo è una forma
importante di lotta al terrorismo e di difesa della democrazia".
Anche per quanto riguarda il sindacato si confermò la visione
della lotta nel sindacato contro la politica della concertazione come uno
dei terreni della lotta di massa. "Oggi la battaglia puramente sindacale
è del tutto perdente. Azione politica di partito e scontro politico
al primo posto sono indispensabili per dare un senso anche alla azione
rivendicativa". Per battere le tendenze alla cogestione e all’istituzionalizzazione
occorre "rilanciare una politica egualitaria adeguata alla nuova fase,
contrastare l’aumento della produttività, definire una strategia
alternativa". Nel sindacato rimanevano tuttavia contraddizioni, e Dp intendeva
stare nel sindacato per esaltarle.
La situazione italiana era caratterizzata dall’uso politico del terrorismo
da parte della borghesia. La politica condotta da Pci e Psi "legittima
l’offensiva ideologica del padronato sull’etica del lavoro, l’obbedienza
in fabbrica, la produttività". Il Pci accettava gli orientamenti
imposti dalla Dc, la Nato, i sacrifici, le misure liberticide, "favorendo
la crescita di una cultura ostile al comunismo e pagando un prezzo crescente
anche rispetto alla sua area d’influenza".
Sulla questione del partito, veniva affermato che il partito era da
costruire per "rifondare e riqualificare gli elementi di fondo del comunismo.
La questione è quella della costruzione di un partito politico proletario
diverso da quelli esistenti oggi...che non si sostituisce al movimento,
ma che non si annulla in esso, vi svolga un ruolo attivo, non rinunci e
non deleghi ad altre formazioni il compito di iniziativa politica, elaborazione,
battaglia ideologica, che non sia depositario della verità, ma si
confronti e combatta sulle proprie convinzioni". Sull’annosa questione
‘movimentismo’-‘partitismo’ vi era quindi ancora dibattito, ma esso era
caratterizzato più da una sincera volontà di riflessione
che da contrapposizioni schematiche.
La mozione finale confermò l’impianto delle tesi e della relazione
introduttiva, ed era suddivisa in cinque paragrafi: situazione internazionale,
situazione italiana, crisi economica, ristrutturazione, terrorismo, composizione
di classe e partito, sindacato.
Il congresso terminò in modo unitario, sia perché non
c’erano punti di scontro fondamentali, sia anche per la necessità
di affrontare le elezioni amministrative di giugno, che videro un discreto
successo delle liste di Dp (360.000 voti, pari all’1,1%).
1981
Il 1981 e poi il 1982 furono caratterizzati dalla raccolta di firme
e successivamente dalla campagna referendaria (il voto sarà poi
evitato dall’approvazione di una legge in parlamento) su due referendum,
uno per l’estensione dello statuto dei lavoratori alle piccole imprese
e l’altro per il recupero della contingenza sull’indennità di liquidazione.
Si tratta allo stesso tempo dell’apice della fase "resistenziale" di
Dp e della sua politica di resistenza operaia e allo stesso tempo di una
iniziativa di rilancio del partito, che in effetti dovrà molto a
questi referendum per quanto riguarda l’aumento dei consensi e della credibilità
presso aree operaie, minoritarie ma significative.
I primi mesi dell’anno fino alla fine di maggio sono caratterizzati
prima dai preparativi per la raccolta delle firme, poi dalla raccolta vera
e propria, che parte dal 16 febbraio.
Sempre in tema di referendum, nel 1981 si vota sui referendum sull’aborto:
uno dei referendum è proposto dal movimento per la vita, l’altro
dal Pr. Dp invita a votare no a entrambi, ritenendo che intacchino i punti
essenziali della legge 194, quello del movimento per la vita perché
unicamente il medico deciderebbe in base allo stato fisico della donna,
quello radicale perché, liberalizzando totalmente l’aborto, eliminerebbe
qualsiasi controllo sociale.
L’attività di Dp per la promozione e l’appoggio delle lotte
dei lavoratori continuano nel corso dell’anno, anzi certe lotte operaie
(all’Alfasud, agli aeroporti di Roma, dei disoccupati di Napoli) permettono
di consolidare stabilmente la presenza di Dp tra questi gruppi di lavoratori.
L’impegno contro la ristrutturazione ebbe un momento di coordinamento nazionale
il 5 maggio con l’assemblea dei consigli di fabbrica autoconvocati, con
all’ordine del giorno la lotta contro l’espulsione dei lavoratori in seguito
alla ristrutturazione, contro il rilancio della produttività, la
compressione dei salari, il blocco della spesa pubblica.
Il 21 giugno si svolsero le amministrative in Sicilia, a Roma e in
altri comuni, e le liste di Dp ottennero un discreto successo. A Roma non
si riuscì a ottenere il consigliere, ma si ottennero seggi alle
circoscrizioni, dove si ebbero più voti che al comune, e un seggio
alla provincia.
Nel corso dell’anno un altro settore che vide l’impegno di Dp fu il
carcere. Si svolsero numerose iniziative per il miglioramento delle condizioni
di vita dei detenuti, in diverse città italiane. Rappresentanti
di Dp visitarono diversi carceri (Molinari a Milano, Jervolino al carcere
di Salerno) e vennero organizzate iniziative contro il sovraffollamento
e i supercarceri, come quello in costruzione a Crema contro cui Dp organizzò
una raccolta di firme e una manifestazione il 19 settembre.
Il 10 aprile venne arrestato Edo Ronchi (che passerà in carcere
10 mesi) su mandato di cattura della magistratura di Bergamo, per una manifestazione
sindacale e operaia svoltasi nel 1976 nella quale avvennero scontri tra
polizia e manifestanti. Nei mesi di carcere di Ronchi saranno organizzate
diverse iniziative per la sua liberazione e per contestare il nesso terrorismo-lotta
operaia e sindacale.
Nella seconda metà dell’anno l’impegno maggiore di Dp è
quello per la pace, contro la progettata installazione di missili nucleari
in Italia. L’attività di Dp si concretizza con iniziative in numerose
città e nella partecipazione il 27 settembre alla marcia per la
pace Perugia-Assisi, e nella partecipazione il 24 ottobre alla manifestazione
nazionale a Roma.
Dopo la pausa estiva, oltre alla mobilitazione per la pace, la priorità
è senz’altro la gestione della campagna per i due referendum. Il
7 e 8 novembre a Milano si svolge l’assemblea operaia di Dp sui temi della
gestione della campagna per i due referendum e della lotta alla politica
economica del governo, e della mobilitazione sui contratti.
Dalla fine di dicembre, ma soprattutto nei mesi seguenti, numerose
federazioni e sezioni meridionali organizzano iniziative sulla ricostruzione
post terremoto, con assemblee e convegni a Napoli, Salerno, Avellino, dopo
che già i giorni immediatamente seguenti al terremoto avevano visto
l’impegno di militanti di Dp accorsi nelle zone terremotate come volontari
per prestare i primi soccorsi.
1982
I primi mesi dell’anno sono dominati dalla battaglia per evitare lo
"scippo" dei referendum su contingenza e statuto dei lavoratori. Le manovre
governative e sindacali iniziano ben presto, e Dp cerca di contrastarle
con mobilitazioni di protesta, raccolte di firme e prese di posizione da
parte di personalità del mondo del lavoro e di giuristi. Il 26 gennaio
la Corte costituzionale decide l’ammissibilità del referendum sulle
liquidazioni e l’inammissibilità invece di quello sullo statuto
dei lavoratori. Il 20 febbraio al Lirico di Milano si svolge l’assemblea
nazionale dei comitati di sostegno ai referendum, mentre la campagna elettorale
per i referendum viene aperta con l’assemblea del 15 maggio a Roma con
le parole d’ordine "sì al recupero della contingenza nelle liquidazioni,
sì al reale miglioramento delle pensioni, sì allo sviluppo
di una vasta opposizione contro la politica economica del governo Spadolini
che toglie a chi ha di meno per dare a chi ha di più, sì
a una decisa difesa e aumento dell’occupazione, sì allo sviluppo
delle lotte operaie e contrattuali per battere l’offensiva padronale".
Il voto viene fissato per il 13 giugno, ma alla fine anche il voto
sul referendum sulle liquidazioni sarà evitato dall’approvazione
di una legge.
Oltre all’impegno sui referendum, le altre attività di Dp consistono
nella lotta per la pace, contro l’installazione degli euromissili a Ovest
e nell’appoggio a Solidarnosc contro il golpe di Jaruzelskj in Polonia
a Est.
Queste priorità sono individuate già all’inizio dell’anno,
nell’assemblea dei delegati che si svolge a Livorno il 16 e 17 gennaio.
Momento centrale delle mobilitazioni per la pace fu la manifestazione
nazionale contro la visita di Reagan in Italia il 5 giugno a Roma, indetta
dal coordinamento nazionale dei comitati per la pace. Dp partecipa con
le sue parole d’ordine: uscita dalla Nato, disarmo unilaterale, rifiuto
dei blocchi, no ai missili a Comiso.
Nel 1982 si tenne il terzo congresso, dall’1 al 4 luglio. Esso rappresentò
una svolta significativa nella vita di Dp, sia sul piano dell’elaborazione
della linea politica, con la definizione della propria proposta di alternativa
di sinistra come processo da costruire, sia sul piano dell’organizzazione
interna, dove in reazione al caos degli anni precedenti si decise di costruire
un partito più strutturato, con organi dirigenti e responsabilità
definite.
La discussione fu impostata col metodo delle tesi contrapposte, le
‘tesi A’ e le ‘tesi B’. Infatti nella commissione tesi furono elaborati
due differenti documenti, le tesi A, cosiddette dell’"alternativa di sinistra",
e le tesi B, cosiddette della "sinistra alternativa". Le prime presentate
da Bonetto, Calamida, Capanna, Cavallo, Gaspare, Gorla, Molinari, Pollice,
Rizzo, Staglianò, Tonelli, Tosi, Vento, Vinci, le seconde presentate
da Agnoletto, Bottaccioli, Carchedi, Ferrajoli, Jervolino, Ronchi, Russo,
Russo Spena, Saija, Semenzato. I due documenti costituivano il sesto capitolo
delle tesi, mentre i primi cinque furono presentati unitariamente e riguardavano
i seguenti argomenti: la crisi dell’Occidente e il reaganismo, la crisi
dell’Est e la Polonia, la crisi italiana, il reaganismo in Italia, la crisi
del movimento operaio. Alla fine il congresso fu vinto dalle tesi A con
216 voti a favore, 1 contrario e 131 astenuti. Le tesi vincenti indicavano
l’alternativa come orizzonte da costruire, mentre le tesi perdenti vedevano
il futuro di Dp nel perseguimento di una linea di opposizione senza cedimenti,
considerando prematuro porsi il problema dell’alternativa e degli sbocchi
di governo. Nella contrapposizione tra i due schieramenti rientrava anche,
in parte, la questione ‘movimentismo’-‘partitismo’, non più nei
termini di contrapposizione come fu nel ‘78-’79. Ora entrambi gli schieramenti
riconoscevano valore e ruoli differenti al partito e ai movimenti, ma mentre
i sostenitori delle tesi A avevano una visione che si richiamava alla tradizione
del movimento operaio nella suddivisione dei ruoli tra partito e movimenti,
i sostenitori delle tesi B risentivano di più delle critiche alla
forma-partito della fine degli anni settanta e cercavano di trovare risposte
a queste critiche, proponendo un partito più "aperto".L’indeterminatezza
dei contorni della questione rende evidente che anche per la questione
del partito le differenze non erano poi così notevoli.
Il dibattito tra i sostenitori delle due tesi fu certo aspro, tuttavia
le rispettive analisi e prospettive non erano tanto lontane. Infatti, ci
fu uno sforzo unitario come dimostra il fatto che la minoranza non votò
contro ma si astenne, mentre la maggioranza accolse parte delle motivazioni
della minoranza. Questa spinta all’unità fu dovuta al fatto che
esisteva veramente una omogenea visione politica complessiva.I due documenti
rappresentavano estremizzazioni di diversi aspetti di una medesima concezione.
La mozione finale considerava necessaria la costruzione di una sinistra
alternativa per la realizzazione dell’alternativa di sinistra. Quindi la
distinzione tra le due concezioni dell’alternativa fu in realtà
abbastanza sfumata. Il congresso fu dominato dall’esigenza di un rafforzamento
dell’organizzazione, sull’onda dell’impegno per la pace e per i referendum.
Il terzo congresso rappresenta un punto di svolta nella storia di Dp perché
sancì la trasformazione in partito vero e proprio. Sull’onda delle
accresciute simpatie in seguito al referendum sulle liquidazioni, si voleva
rendere Dp un soggetto politico più omogeneo e strutturato. Anche
per quanto riguarda gli organi dirigenti, il passaggio a partito vero e
proprio venne sancito con la sostituzione dell’esecutivo nazionale e del
coordinamento nazionale con una segreteria e una direzione nazionale. Venne
inoltre eletto come coordinatore della segreteria Mario Capanna. Questo
ruolo, che prima ebbe scarsa importanza, divenne nei fatti equivalente
a un vero e proprio segretario nazionale, e la carica assumerà poi
anche formalmente questo nome nel successivo congresso del 1984.
Se politicamente il congresso si chiuse abbastanza unitariamente, per
quanto riguarda la composizione degli organi dirigenti le cose andarono
diversamente.La segreteria, composta da Calamida, Capanna, Gorla, Molinari,
Pollice e Tosi, fu espressione della sola maggioranza. Alcuni esponenti
significativi della minoranza (Semenzato, Russo Spena e Bottaccioli), su
pressione di Capanna, furono addirittura esclusi dalla direzione nazionale,
imputando a loro la responsabilità del passivo del Qdl in edizione
settimanale, anche se probabilmente accanto a questo motivo vi fu il loro
contrasto con le posizioni vincenti, avendo essi sostenuto le tesi perdenti.
Una gestione unitaria del partito sarà realizzata gradualmente e
si compirà solo nel congresso successivo, quando entreranno in segreteria
Russo Spena e Semenzato.
Il congresso rappresenta dunque, sia sul piano politico che organizzativo,
un punto di svolta, la consapevolezza di avere ormai superato la fase "resistenziale",
in cui Dp lottava per la propria sopravvivenza, è evidente in tutto
il congresso, dalla relazione introduttiva di Molinari alla mozione finale,
che recita: "Dp esce da una lunga battaglia politica attorno alla propria
iniziativa referendaria tesa al ripristino della contingenza nelle liquidazioni.
Una battaglia che ha riscosso l’adesione maggioritaria dei lavoratori e
dei proletari in generale, che ha fortemente contribuito alla demistificazione
del contenuto di classe borghese della politica economica delle forze di
governo, che è stato fattore importante di mobilitazione delle risposte
operaie di questi mesi all’attacco che la Confindustria viene recando sui
terreni dei rinnovi contrattuali e della scala mobile. La battaglia referendaria
ha introdotto importanti fattori di chiarificazione e di orientamento per
rilevanti aree proletarie dentro alla gravissima crisi e alle contraddizioni
del Pci e del movimento sindacale, paralizzati e resi subalterni alla politica
antioperaia e antipopolare del governo Spadolini all’orientamento dei loro
gruppi dirigenti, teso nella sostanza alla conferma delle linee dell’unità
nazionale e dell’Eur. Questa battaglia ha fatto conoscere l’orientamento
e sovente ha modificato positivamente l’immagine di Dp in grandi masse
proletarie, qualificandola come forza che lotta intransigentemente per
la tutela delle condizioni di vita dei proletari. La battaglia referendaria
ha infine avviato un positivo processo di cambiamento di Dp stessa, che
ne esce rafforzata da nuove adesioni proletarie, più legata alle
masse, più matura, più concreta, più capace di iniziativa,
più unita".
La mozione finale individua come terreni di lotta del partito nel prossimo
futuro le tre "emergenze proletarie": la lotta per la pace, la lotta per
la difesa delle condizioni di vita della maggioranza della popolazione,
la lotta per la difesa della democrazia. Riguardo alla pace, si propone
il "disarmo unilaterale, che costituisce uno dei cardini della linea politica
di Dp e deve quindi diventare oggetto di una nostra generalizzata campagna
di massa". Riguardo alla seconda emergenza, si individuano come priorità
del partito la difesa della scala mobile, la difesa dell’occupazione e
la lotta per la casa, dove si propone di "lanciare una grande campagna
di massa contro gli sfratti, per la requisizione delle case sfitte, per
l’espansione della spesa pubblica nel settore, in particolare per l’utilizzazione
dei fondi Gescal". Per quanto riguarda la democrazia, la priorità
è lottare contro i "processi autoritari e la devastazione dello
stato sociale".
Si costruisce l’organizzazione del partito promuovendo "la costruzione
delle cellule operaie, delle sezioni, delle varie commissioni (lavoro,
casa, ecc.)".
Nei restanti mesi dell’anno l’attività di Dp si sviluppa in
diversi settori. Oltre al tradizionale settore delle lotte operaie (in
autunno si svolge il convegno operaio nazionale), vi è l’elaborazione
di proposte per l’uscita dall’emergenza (il 14 dicembre si svolge a Roma
il convegno "Terrorismo e dissociazione", a cui partecipano Palombarini,
Saraceni e Pivetti di Magistratura democratica, esponenti del Pci, Psi,
Pdup) e l’impegno nelle lotte per la casa, settore cui Dp dedicherà
molta attenzione per tutta la prima metà degli anni ottanta. Il
20 febbraio a Bologna si svolge il convegno "Recupero urbano e autoristrutturazione",
e nelle maggiori città l’impegno di Dp si concretizza nelle occupazioni
di case sfitte e nella costruzione dell’Unione inquilini.
Il congresso aveva stabilito di organizzare alcuni convegni per arrivare
all’elaborazione delle posizioni di Dp su temi quali l’ecologia, le risorse
energetiche e il nucleare.
Il 18 dicembre si svolge il convegno "L’umanità al bivio del
2000: disarmo o sterminio", che costituisce il primo di questi convegni,
a cui seguiranno altri l’anno successivo.