1988
Nel ventennale del ‘68, Dp si richiamò all’eredità di
quegli anni, tant’è che il tesseramento fu promosso con il noto
slogan del maggio francese "Siamo realisti, prendiamoci l’impossibile",
volendo sottolineare proprio il "filo rosso" di continuità fra lotte
del 1968 e Dp.
L’attività politica nel 1988 si aprì con il convegno
nazionale dei giovani di Dp a Rimini dall’8 al 10 gennaio. Si trattò
della più affollata assemblea giovanile di Dp, a cui parteciparono
circa 600 giovani iscritti e simpatizzanti. Il titolo del convegno era
"Dp è fuori di sé: nelle lotte dei giovani per la pace e
la giustizia sociale, contro un sistema che chiede obbedienza alla guerra,
alla sopraffazione, all’ineguaglianza". Anche questo titolo indica come
Dp cercasse di penetrare nel mondo giovanile proponendo una forte identità
antagonista. La questione dell’identità dei giovani di Dp era infatti
la questione al centro del convegno, unitamente all’eterno problema del
rapporto partito-movimenti, problema particolarmente significativo per
i giovani demoproletari perché si trovavano a doversi rapportare
frequentemente coi movimenti studenteschi. Viene affermata la parzialità
dei movimenti, ovvero il loro nascere su questioni particolari come il
movimento del 1985 o i movimenti pacifisti, e che compito dei giovani di
Dp è stare nei movimenti cercando di far sì che acquisiscano
una visione globale e non soltanto parziale. Del resto questo era stato
il comportamento dei militanti di Dp nel movimento del 1985, dove cercavano
di inquadrare i problemi della scuola, in quel caso la carenza di aule,
nell’attacco allo stato sociale che comportava una riduzione dei servizi,
dunque anche di quelli scolastici. Afferma infatti il documento preparatorio
del convegno: "Il movimento dell’85 non è riuscito ad esprimere
la sua carica antagonista perché, da un lato, nessuno è stato
in grado di fornire un progetto generale e dall’altro vi era l’intenzione
della Fgci di svuotarlo per ricomprenderlo al suo interno in un’operazione
che è corretto definire di piccolo cabotaggio […] Non era certo
un movimento complessivo, ma i movimenti, è bene ricordarlo, nascono
dalle parzialità e acquisiscono una visione generale solo se qualcuno
è disposto a fare delle grosse scommesse politiche su di essi".
Il tentativo è dunque di fondare una cultura antagonista globale,
una radicalità giovanile che, secondo il documento preparatorio,
vede come terreni di affermazione in cui i giovani di Dp dovrebbero impegnarsi,
l’emarginazione e gli spazi sociali, la lotta per il lavoro e per la cittadinanza
sociale, per il diritto allo studio e all’istruzione di massa, per la pace
e per l’ecologia.
I primi mesi dell’anno videro una intensa attività di Dp sulla
questione palestinese. A fine anno Nardelli e Rino Messina, dell’ufficio
organizzazione, si incontrarono a Tunisi con Abu Jihad, numero due dell’Olp
e responsabile dei territori occupati, mentre Patrizia Arnaboldi, Loredana
De Petris, Della Passarelli si recarono nei territori occupati e concordarono
coi dirigenti palestinesi di attivare il sostegno alla lotta del loro popolo
con la raccolta di medicine e soldi da inviare in Palestina. Capanna invece
iniziò uno sciopero della fame dal 12 gennaio.
Il 30 gennaio si svolse una manifestazione nazionale a sostegno dell’Intifada
a Roma, a cui parteciparono 40.000 persone.
Dal 26 al 28 febbraio a Torino si tenne l’assemblea nazionale delle
lavoratici e dei lavoratori di Dp, all’insegna dello slogan "Qualità
del lavoro e dello sviluppo nelle lotte per un’alternativa: una nuova centralità
del lavoro fondata sull’utilità sociale, l’equilibrio ambientale,
l’estensione dei diritti e della democrazia verso la società del
domani". L’assemblea pose al centro della politica di Dp una nuova concezione
del lavoro fondata sull’utilità sociale e l’equilibrio ambientale.
L’evento più significativo nella vita interna del partito quell’anno
fu senz’altro il sesto congresso nazionale, che si svolse a Riva del Garda
dal 4 all’8 maggio all’insegna dello slogan "La forza del progetto, il
realismo dell’utopia, per la rifondazione della sinistra, per un movimento
politico e sociale per l’alternativa". Si trattò di un congresso
importante perché per la prima volta si espressero le posizioni
arcobaleno e si diede l’avvio ad una lunga fase di discussione tormentata
sul ruolo e le prospettive di Dp.
La proposta avanzata dalle tesi congressuali era la costruzione del
movimento politico e sociale per l’alternativa. Le tesi presentano molti
aspetti di derivazione dalle tesi del congresso precedente, a cui talvolta
si richiamano anche direttamente. Infatti si dichiara che è necessario
"portare i nostri assetti interni e la nostra ‘cultura’ di organizzazione
a livello delle idee prodotte dal nostro quinto congresso". Perciò
le analisi di Palermo vennero considerate ancora valide, e le tesi di Riva
del Garda vennero semmai a costituirsi come un loro aggiornamento. Elementi
di questa linea diretta tra i due congressi furono l’identità di
Dp come principale forza di opposizione in Italia, essendo il Pci, i verdi
e i radicali ampiamente omologati; una concezione dell’ambientalismo di
taglio rivoluzionario, la distruzione dell’ambiente è, cioè,
vista come effetto dello sfruttamento capitalistico delle risorse; similmente,
anche l’importanza del pacifismo, del femminismo e delle lotte per la democrazia
sono considerati terreni importanti per incrinare l’ordine sociale esistente.
Venne confermata in gran parte anche la visione della situazione interna
italiana, dominata dall’attacco reaganiano allo stato sociale, mentre elementi
di aggiornamento furono soprattutto l’accento sulle lotte autorganizzate
dei lavoratori: infatti dall’86 all’88 si erano sviluppate lotte quali
quelle dei portuali di Genova e dei Cobas della scuola e altre di minor
impatto nazionale come quelle alla Michelin di Torino e ai Cantieri di
Palermo, nonché quelle condotte per gran parte da militanti di Dp
all’Alfa e in alcune industrie belliche.
Fu invece precisata più compiutamente l’identità di Dp,
come forza ispirata al marxismo rivoluzionario, e impegnata a contrastare
i limiti delle forze della sinistra per "rompere l’orizzonte del capitalismo,
per riaprire la strada alla possibilità della trasformazione". La
sinistra veniva considerata inadeguata a questo compito, incapace di avviare
un percorso di "fuoriuscita dal sistema socioeconomico attuale", ripiegata
nella "omologazione alle idee e agli orizzonti del blocco dominante". Per
la costruzione di una politica di sinistra venne quindi considerato necessario
abbandonare quelli che erano considerati errori culturali del movimento
operaio, come "il determinismo economico, l’oggettività della scienza,
il progresso come accumulo quantitativo, accettando un modello di consumo
distruttivo della natura". È necessario invece rivendicare l’eredità
della stagione di lotte degli anni settanta e i suoi valori di "partecipazione,
protagonismo, democrazia diretta e rifiuto della delega", valori che hanno
incrinato le gerarchie e la cultura dominante nella famiglia, nella scuola,
nell’impresa. Questo richiamo ai valori e alle lotte del ‘68 fu molto più
presente rispetto alle tesi precedenti, forse anche rispetto al ventennale
del ‘68, che stimolò riflessioni su quella fase di lotte, sulla
loro eredità, come antidoto all’omologazione della sinistra.
Ma l’aggiornamento delle tesi di Riva del Garda si concentrò
soprattutto nel dettaglio della proposta politica. Infatti se le tesi di
Palermo avevano indicato su quali contenuti politici doveva costruirsi
l’alternativa, le tesi di Riva del Garda dedicarono più attenzione
alla costruzione del soggetto dell’alternativa: il movimento politico e
sociale per l’alternativa. Come interlocutori del progetto di costruzione
del movimento per l’alternativa furono indicati il dissenso nel Pci, certe
aree del mondo cattolico (impegnate nel pacifismo e nella solidarietà
al Terzo mondo), organizzazioni della nuova sinistra come la Lcr e il Movimento
politico per l’alternativa, e soprattutto un’area costituita da "movimenti
politici, sociali, culturali, o da spezzoni di movimento, da riviste delle
varie galassie dell’ambientalismo, del pacifismo, del femminismo, del nuovo
movimento studentesco, nonché dai movimenti impegnati sul terreno
della democratizzazione dello stato, della società civile, della
gestione dei servizi sociali". A tali forze Dp propose patti di consultazione
e la promozione di una "convenzione per l’alternativa".
Ma al congresso si manifestò una minoranza che prospettò
per Dp un’altra strada: lo sbocco nell’area verde. Questa minoranza presentò
un proprio documento (detto "dei cento" dal numero di quanti lo sottoscrissero),
aggiuntivo alle tesi, sulla questione delle prospettive politiche di Dp:
"Dove va Dp? Questa è la domanda che proponiamo di porre al centro
del dibattito congressuale […] dove va Dp nel caso in cui non vi sia una
riforma elettorale con uno sbarramento capestro, ma anche nel caso in cui
vi sia tale riforma? Una forza alternativa non può limitarsi alla
sopravvivenza, inchiodata sotto il 2%, con una dimensione che consente
sempre meno un ruolo incisivo, con una sproporzione tra forze e risultati,
fra programmi e forze concrete per realizzarli, fra prospettiva politica
e progettuale e capacità concreta di avviarla, esposta al rischio
di arroccamento settario e di rapporto con il comunismo culturalmente di
tipo kabulista e a quello di una sostanziale chiusura verso i nuovi movimenti
sociali, a partire dal movimento ambientalista e verde. Pur condividendo
gran parte delle analisi delle proposte programmatiche comuni a tutta Dp,
presenti anche nel documento congressuale della maggioranza della direzione,
siamo in dissenso sul metodo unanimistico che privilegia un’unità
di facciata che nasconde posizioni differenziate, col risultato di rendere
prevalentemente personalistici i contrasti e di produrre non una proposta
politica, ma una palude confusa e contraddittoria".
I "cento" sul piano ideologico rifiutavano la centralità della
contraddizione capitale-lavoro e la centralità del marxismo, sostenendo
che il capitalismo contemporaneo aveva portato tali livelli di inquinamento
da rischiare pericoli gravissimi per la stessa sopravvivenza del pianeta,
dell’uomo e delle altre specie. Questo pericolo fa sì che alla coscienza
di classe si debba affiancare la coscienza di specie. Il marxismo e le
tradizionali elaborazioni della sinistra, per conservare la loro validità,
debbono essere perciò affiancate dalle elaborazioni ecologiste,
altrimenti si sarebbe avuto un "uso settario e ideologico del marxismo
e della concezione, economicista e riduzionista, di centralità dei
rapporti di produzione" il quale a sua volta avrebbe portato a "un rapporto
con il comunismo culturalmente di tipo kabulista e ad alzare steccati contro
i nuovi movimenti sociali, a partire da quello ambientalista e verde".
Sul piano politico proponevano di lanciare "una proposta di unità
d’azione, di un patto di tipo federativo, aperto a tutte le forze alternative
(pacifiste, operaie, del dissenso cattolico, femministe, del dissenso comunista
non kabulista o di quello radicale non filosocialista)".
Alla fine, il congresso si concluse con una mozione unitaria che ridusse
le divergenze sul ruolo e le prospettive di Dp al riconoscimento che "si
sono confrontate sensibilità e culture diverse". Come se le divergenze
non fossero profonde, si considerarono tutti gli interventi e i documenti
come "utili contributi al dibattito": "Il congresso approva la positiva
relazione del segretario nazionale uscente Giovanni Russo Spena che, sulla
base del documento congressuale, di quello dei cento, di altri contributi
critici, dei materiali politici elaborati dai congressi di federazione,
ha consentito un efficace, franco, aperto dibattito al congresso di Riva
del Garda, e che disloca in avanti l’elaborazione del partito".
Dietro questo unanimismo c’erano in realtà profonde divergenze
strategiche, che sfociarono l’anno successivo nella scissione arcobaleno.
Queste divergenze erano lontane dall’arrivare al punto di rottura: l’area
arcobaleno non si è ancora consolidata come lo sarà di lì
a qualche mese, e nella stessa maggioranza iniziano a confrontarsi due
posizioni diverse: una, ispirata da Vinci, tendente a sconfiggere seccamente
l’ipotesi arcobaleno, l’altra, ispirata da Russo Spena, tendente a raggiungere
una qualche mediazione con l’area arcobaleno, probabilmente per evitare
il rischio di una spaccatura del partito (questa preoccupazione dell’area
di Russo Spena fu evidente soprattutto dopo il congresso e nell’assemblea
dei delegati di Senigallia dell’autunno). Questa differenziazione si espresse
in una curiosa votazione, che mise in alternativa, all’interno della medesima
mozione finale del congresso, che fu appunto unitaria, la dizione "approva
la relazione" (tenuta da Russo Spena, che illustrava la proposta politica
delle tesi, ben differente dalla proposta di confluenza nell’area verde)
con la formula più blanda "assume la relazione". Passò l’"approva",
per pochi voti, ma il travaglio nella maggioranza continuò, come
si vedrà soprattutto all’assemblea dei delegati di Senigallia che
si terrà in autunno, quando le diverse posizioni in Dp si definiranno
più precisamente.
La mozione finale rilanciò la proposta per il movimento politico
e sociale per l’alternativa, come processo rifondativo culturale e politico
della sinistra. Vennero individuati come interlocutori "le aree della politica
diffusa, dell’associazionismo, dei movimenti" e si guardò con grande
interesse alla crisi e al dibattito emersi dentro il Pci per una sua diversa
collocazione anticapitalistica. E si guardò con grande interesse
anche al dibattito aperto fra i verdi, in particolare per la ricerca di
un superamento di un’impostazione riduttiva e settoriale dell’ambientalismo,
con lo sviluppo di un rapporto fra questione dell’equilibrio ecologico
e quello della trasformazione sociale, tra la difesa della biosfera, il
disarmo e la condizione dei popoli del Sud del pianeta.
Nelle aree ambientali, in quelle dell’autorganizzazione dei lavoratori,
negli spezzoni del sindacato di classe, nella Lcr, si individuarono soggetti
tendenzialmente da unificare in quello che fu definito "percorso comune
fra diversi".
Dp venne definita come "partito di ricerca", concetto questo ribadito
successivamente anche dall’assemblea dei delegati di Senigallia. Fu un
concetto usato sempre in modo piuttosto vago, che voleva indicare la ricerca
di nuove strade per l’alternativa ed un concetto stesso di alternativa
diverso da quello della tradizione della sinistra, permeato da valori come
l’ambientalismo, i diritti sociali e individuali, la critica dello sviluppo.
Al congresso di Riva del Garda vennero inoltre approvate numerose mozioni
e vari ordini del giorno. I più significativi furono: per la solidarietà
ai
lavoratori dell’Alfa, per la chiusura dell’Acna, per il sostegno della
lotta dei Cobas-scuola, per la solidarietà agli operai di Crotone,
contro la repressione dei kurdi, per la salvaguardia dell’ambiente e dell’occupazione
alla Solvay, per l’istituzione di un dipartimento immigrazione, per il
salario garantito ai disoccupati.
Per quanto riguarda gli organismi dirigenti, il congresso elesse una
direzione nazionale di 60 membri, che il 28 e 29 maggio elesse Russo Spena
segretario (con 5 astensioni) e una segreteria (con 1 voto contrario e
9 astensioni) composta da Fabio Alberti, Franco Calamida, Sandro De Toni,
Michele Nardelli, Vito Nocera, Franco Russo, Giovanni Russo Spena, Giancarlo
Saccoman, Stefano Semenzato. Venne abolito l’ufficio politico, affidando
alla segreteria la gestione quotidiana del partito, alla direzione la gestione
nel medio periodo e all’assemblea dei delegati il compito di definire la
linea politica più nel lungo periodo, tra un congresso e l’altro.
Per quanto riguarda le attività di Dp nei restanti mesi dell’anno,
molto impegno fu dedicato all’attività ambientalista. Il 9 aprile
si tenne un seminario nazionale sulle produzioni nocive e sulla chimica,
si organizzarono e si sostennero lotte ambientali un po’ in tutta Italia:
in Val Bormida per chiudere l’Acna, per riconvertire a metano la centrale
di Civitavecchia, contro l’amianto nelle carrozze ferroviarie.
Continuarono le attività riguardo al nesso lavoro-ambiente,
che Dp aveva cercato di promuovere dall’anno precedente in alcune fabbriche,
ottenendo un discreto successo all’Ansaldo.
Nel corso dell’anno si aggiunge la Oto Melara, in cui i lavoratori
approvano una piattaforma rivendicativa che rappresenta una presa di coscienza
rispetto alle finalità della produzione.
Nel settore pacifista, giocò un certo ruolo l’impegno di Dp
nelle iniziative di lotta che si svolsero a Crotone contro gli F16, tra
cui il meeting dei giovani alternativi europei a Isola Capo Rizzuto dal
20 al 30 luglio.
Nel 1988 Dp ottenne una vittoria rispetto alla sua lotta, da tempo
avviata, contro i contributi Gescal. Il pretore di Bologna solleva l’eccezione
di incostituzionalità dei contributi Gescal nelle buste-paga sulla
base di un ricorso presentato dall’Unione inquilini e da Dp. Dp promosse
questa causa per arrivare all’abrogazione dei contributi Gescal e far recuperare
ai lavoratori dipendenti i soldi versati per costruire case popolari di
cui usufruivano tutti, anche commercianti, artigiani, ecc., che non li
pagavano, oppure venivano usati per alleviare le perdite del bilancio dello
stato.
Ma se l’attività politica dopo il congresso fu notevole, rimasero
non sciolti i nodi sul destino di Dp: sbocco immediato nell’area verde,
qualche forma di intesa con questa area, la costruzione del movimento politico
e sociale per l’alternativa, oppure cos’altro? Dopo il congresso l’area
arcobaleno passò all’offensiva, avendo acquistato coesione con "l’unificazione"
dei gruppi facenti capo a Capanna, a Molinari, a F. Russo, Semenzato e
Bottaccioli, e a Ronchi e Tamino, che fino al congresso avevano agito un
po’ in ordine sparso, pur proponendo per Dp la prospettiva arcobaleno.
Si allargò così l’area verde, non più limitata ai
promotori del documento dei cento, facenti riferimento a Ronchi e Tamino.
All’assemblea di Senigallia, tenutasi dal 30 ottobre al 1 novembre,
le diverse posizioni uscite dal congresso si precisarono più chiaramente.
Il segretario Russo Spena tentò un’opera di ricomposizione del partito,
mentre l’area di Vinci ribadì il carattere di classe di Dp, sostenendo
che bisognasse prestare attenzione non all’area ecologista, ma al Pci e
all’area comunista e cristiana in generale.
In preparazione dell’assemblea di Senigallia l’area arcobaleno elaborò
un documento, preparato da Bottaccioli, Romeo, Russo e Semenzato.Anche
l’area cosiddetta "di sinistra" preparò un suo documento, sottoscritto
da Bellavite, Confalonieri, Cortellessa, Jervolino, Patta, Preve, Semeria,
Torri, Vinci. Quest’area era formata, oltre che dalla componente legata
a Vinci, anche da alcuni dirigenti storicamente vicini a Russo Spena, come
Jervolino, Bellavite e Nocera.
All’assemblea di Senigallia si confrontarono quindi tre posizioni.
Quella di Russo Spena, che tentava ancora una difficile ricucitura, quella
verde sempre più all’offensiva, e quella "di sinistra", che ribadiva
l’identità di classe di Dp e sosteneva l’attenzione alla crisi del
Pci. La divisione del partito fu resa evidente anche dal fatto che la relazione
di maggioranza fu tenuta da Russo Spena, mentre Russo e Semenzato tennero
una relazione di minoranza e, per l’altra area, Vinci tenne un lungo intervento
che di fatto si configurò come un’ulteriore controrelazione. Fu
proprio quest’ultima area che acquisì importanza a Senigallia, emarginando
l’area arcobaleno.
Questo mutamento nei rapporti di forza tra le componenti di Dp mutò
anche gli organismi dirigenti. Infatti, alla direzione nazionale del 3
e 4 dicembre, si dimisero polemicamente Semenzato e Franco Russo, e venne
eletta una nuova segreteria di ben tredici membri: Russo Spena, Alberti,
Calamida, Confalonieri, De Toni, Ferrari, Gorla, Jervolino, Nardelli, Nocera,
Perna, Saccoman, Vinci.
1989
Nella primavera del 1989 Dp fu impegnata nella campagna referendaria,
all’insegna dello slogan "Lavoro, ambiente, società", che riguardava
il finanziamento pubblico ai partiti, il risarcimento dei danni ambientali,
il licenziamento nelle piccole imprese. La raccolta terminò con
600.000 firme per il referendum sulla giusta causa, 593.000 sul danno ambientale,
585.000 sul finanziamento pubblico ai partiti.
Alle elezioni europee si consumò la scissione arcobaleno. Alcuni
militanti di Dp si candidarono o sostennero la lista arcobaleno, altri
invece, pur sostenendo la lista di Dp, si allontanarono dal partito dopo
le elezioni, come Semenzato o Bottaccioli, o come il gruppo dirigente di
Dp del Trentino.
Nonostante la scissione ormai in atto, Dp tenne discretamente ed elesse,
nella circoscrizione Nord-Ovest, Eugenio Melandri, missionario saveriano,
ex direttore di Missione oggi. La valutazione dell’esito del voto, in una
nota della segreteria nazionale, registra la battuta d’arresto del disegno
Dc-Psi. Per quanto riguarda il risultato di Dp, viene considerata "positiva
la nostra tenuta e in particolare i risultati del Sud, dove si sono registrati
anche dei progressi. Quanto ai compagni di Dp che hanno dato vita all’arcobaleno,
i risultati elettorali confermano il carattere verticistico e politicistico
della loro scelta, che ha tolto in fondo pochi voti a Dp ma ha creato molta
amarezza e scritto una nuova pagina triste nella storia della nuova sinistra
[…] La lista arcobaleno ha raccolto un consenso significativo nell’elettorato
radicale e ambientalista e rappresenta quindi una realtà che consideriamo,
insieme all’altra lista verde, ai comunisti, alla sinistra indipendente,
agli antiproibizionisti, ai federalisti, come pezzi di un potenziale schieramento
di opposizione di tipo democratico riformista con il quale non ci siamo
mai rifiutati di confrontarci e col quale siamo sempre stati disponibili
a lotte comuni, casomai scontando altrui sottovalutazioni e tentativi di
ignorare la nostra esperienza. Rifiutiamo quindi il vestito troppo stretto
di partitino settario che altri ci vorrebbero confezionare su misura, mentre
rivendichiamo il nostro diritto alla differenza demoproletaria, a impegnarci,
con chi condivide tale ricerca, a rifondare una identità forte di
sinistra anticapitalistica, modernamente comunista, libertaria e democratica".
Nella riunione della direzione nazionale del 30 giugno si consumò
definitivamente la scissione: non parteciparono infatti né i dirigenti
di Dp che avevano sostenuto la lista arcobaleno, né quelli che si
allontanavano da Dp: Bottaccioli, Semenzato, De Petris, Romeo, Rosa. Il
risultato della scissione sul piano delle forze militanti del partito fu
che Dp perse la maggior parte dei suoi rappresentanti nelle istituzioni
(4 deputati su 8, l’unico senatore, molti consiglieri regionali e comunali),
mentre più contenuta risultò la perdita di iscritti, comunque
compensata da nuove iscrizioni, il cui numero complessivo, pur non raggiungendo
il traguardo dei 10.000, si attestava su una quota decisamente non troppo
inferiore a quella degli anni passati. Il momento fu difficile non tanto
a livello organizzativo, quanto per l’immagine pubblica di Dp (tutta la
stampa, dalla Repubblica al manifesto, diedero ampio spazio agli scissionisti
e presentarono spesso Dp come un partitino veterocomunista) e soprattutto
per le prospettive strategiche del partito: non era facile unire l’opposizione
nel Movimento politico e sociale per l’alternativa, quando chi avanzava
questa proposta si divideva.
La scissione fu certo dolorosa anche perché se ne andarono alcuni
padri storici del partito, tra cui Semenzato e Molinari.Se ne andò
l’ex segretario Capanna, e se ne andò anche un intero partito federato,
Dp del Trentino, che era una delle realtà più radicate.
Dp del Trentino, che aveva dato contributi di una certa importanza,
soprattutto alla riflessione sui diritti sociali e individuali e sullo
sfruttamento del Sud del mondo, aveva poi evoluto le proprie posizioni
a partire dal paradigma della nonviolenza per arrivare a rifiutare il richiamo
al comunismo in quanto storicamente connesso all’autoritarismo. Dp del
Trentino iniziò quindi un cammino solitario che l’avrebbe portata
ad accentuare la propria autonomia verso tutti, verdi e rossi, e a dar
vita a una formazione locale: "Solidarietà".
La direzione nazionale, che sancì la confluenza in Dp della
Lega comunista rivoluzionaria (sezione italiana della iv Internazionale),
di cui integrò alcuni membri nella direzione (D’Amia, Deiana, Firenze,
Grisolia, Turigliatto), stabilì di tenere un congresso nazionale
straordinario in autunno e approvò una mozione dove si affermava
l’identità di Dp "modernamente comunista, democratica e libertaria".
Russo Spena si dimise da segretario, non per contrasti politici, ma per
senso di responsabilità, non essendo riuscito a tenere unito il
partito, ma la direzione respinse le dimissioni. Sarà poi accettata
la sua proposta, al congresso successivo, di sopprimere la carica di segretario
per tornare a una direzione più collegiale.
Dopo la scissione Dp faticò diversi mesi per ritrovare una strategia,
e il travaglio fu accentuato dalla disfatta alle elezioni amministrative
del Comune di Roma, che si svolsero il 29 ottobre. Si sperava di ottenere
un discreto risultato, considerato lo sfascio amministrativo prodotto dalla
disastrosa giunta Giubilo, ma il Pci fu ritenuto dall’elettorato un oppositore
più credibile. Dp tentò di unificare la sinistra di opposizione
romana con una lista aperta, "Dp per l’alternativa", a cui partecipò
anche il Movimento per l’alternativa. Si auspicava di ottenere consensi
dall’area comunista che si opponeva a Occhetto, piuttosto forte a Roma,
ma la sconfitta fu secca: si dimezzarono i voti delle europee (da 23.000
a 10.000) che già erano dimezzati rispetto alle politiche del 1987
(50.000). Rispetto alle politiche 4 elettori su 5 abbandonarono Dp.
Dopo l’estate iniziò la fase precongressuale, aperta da un lungo
documento di Vinci e Saccoman, centrato sulla prospettiva di costruzione
di un comunismo innovativo.Rispetto al "movimento per l’alternativa", si
affermava che "deve aggregare le forze di sinistra su base anticapitalistica
[…] Ne segue che esso non riguarda il Pr e neppure, allo stato attuale
delle loro posizioni, i Verdi. Altro è, naturalmente, il discorso
per quanto attiene a settori di movimento ambientalista, o anche di periferia
delle liste verdi". Gli interlocutori vengono invece individuati "nei gruppi
di sinistra interni al Pci, contigui a esso, di sinistra indipendente,
gruppi e tendenze di intellettuali rimasti sul terreno del marxismo e del
comunismo e della sinistra sociale e culturale cristiana, molte aree di
movimento (pacifista, ambientalista, di solidarietà sociale e con
il Sud del mondo, femminista, per la crescita della democrazia nello stato
e per i nuovi diritti di cittadinanza), nonché quei gruppi indipendenti
di sinistra anticapitalistica che tendano a non praticare politiche settarie".
Si iniziò a delineare, in un settore del partito (soprattutto la
federazione milanese e altre realtà del Nord), la prospettiva di
quella che diventerà poi al congresso la "costituente comunista".
Dal canto suo, Costanzo Preve già da tempo aveva indicato per
Dp la prospettiva neocomunista, e per il congresso straordinario presentò
le sue "tesi alternative" in cui articolava il significato della propria
proposta: partendo dalle difficoltà di ricostruire una teoria e
una prassi politica comunista, indicò come unica prospettiva possibile
la ricostruzione di un nuovo comunismo e l’abbandono di qualsiasi prassi
politica "arcobaleno".
Le tesi del congresso, che si tenne a Rimini dal 7 al 10 dicembre,
furono preparate da una commissione coordinata da Jervolino e composta
inoltre da Russo Spena, Barzaghi, Calamida, Deiana, Nocera, Saccoman, Pillai
e Vinci. La prima bozza fu varata dalla direzione nazionale del 23 e 24
settembre e quella definitiva da quella del 14 e 15 ottobre.
Si trattò di un congresso "di transizione" che, non ancora abbandonata
la prospettiva del movimento politico e sociale per l’alternativa (ora
si parla di "convenzione per l’alternativa"), non ha ancora scelto l’ipotesi
neocomunista.
Le tesi rappresentarono in buona parte una ripresa e una sistematizzazione
delle tesi dei due congressi precedenti. Questo soprattutto per quanto
riguardava l’analisi della situazione internazionale e italiana, caratterizzate
dall’egemonia del neoconservatorismo e dall’attualità dello sfruttamento
del Nord del mondo sul Sud, da cui ha origine il razzismo, e anche per
quanto riguardava l’assunzione piena della critica ecologista e della tematica
dei diritti sociali e delle libertà individuali. Le tesi furono
approvate dalla direzione a larga maggioranza (23 favorevoli, 5 contrari
e 2 astenuti), il che indicò una larga omogeneità nella visione
politica generale. La differenza stava, come poi si vedrà al congresso,
sulle prospettive politiche e organizzative di Dp: da una parte si propose
la "costituente comunista", dall’altra si dichiarò che il ruolo
dei comunisti andava ricercato in più ampie aggregazioni anticapitalistiche.
Ma su queste due proposte si dividerà il congresso, mentre prima
del congresso si differenziò solo l’area della IV Internazionale,
che propose una propria mozione politica aggiuntiva alle tesi. Essa criticò
la vaghezza della proposta politica delle tesi, affermando che "Dp non
può collocarsi, come fa invece il documento approvato dalla direzione,
all’interno di un supposto schieramento neoriformista, formato da Pci,
verdi, arcobaleno, radicali, illusoriamente inteso come strumento di lotta
contro lo schieramento neoconservatore e passaggio per l’alternativa. Dp
deve invece essa stessa raccogliere tutte le forze disponibili e porsi
come punto di riaggregazione alternativo e antagonistico a un siffatto
schieramento".
Il congresso ebbe un risultato che è certamente unico nella
storia dei congressi di partito. Venne votato un preambolo unitario, mentre
si proposero due mozioni contrapposte, una presentata da Russo Spena e
l’altra da Michele Gargiulo, che ottennero ognuna 170 voti. Il preambolo
unitario dava un giudizio sulla fase politica italiana e internazionale,
mentre le due mozioni si differenziarono sulle prospettive: la mozione
Gargiulo propose che Dp diventasse il motore di una "costituente comunista",
in alternativa alla costituente riformista di Occhetto, la mozione Russo
Spena, pur riconfermando anch’essa l’attenzione alla crisi del Pci, propose
interlocutori più generici, affermando la necessità di rivolgersi
a "settori sociali larghi", e riconfermò la proposta del movimento
politico e sociale per l’alternativa, inteso come "mettere in comune forze
ed esperienze sociali, percorsi associativi, soggetti politici di sinistra
e ambientalisti, interessati al comune disegno del cambiamento". Per tale
posizione, il Mpsa non era "né nuovo ambito di aggregazione politica
né tout court il blocco sociale antagonista".
Pur essendo il 1989 un anno difficile, caratterizzato dal dibattito
sulle prospettive, per quanto riguarda le attività esterne, Dp riuscì
comunque a mantenere una discreta attività.
In maggio, fino ai primi di giugno, si consumò la tragedia di
Tien An Men che suscitò un grande impatto emotivo in tutto il mondo.
Dp fin dall’inizio dell’occupazione della piazza da parte degli studenti
si schierò col movimento cinese e anzi fu la prima forza politica
a manifestare sotto l’ambasciata cinese a Roma e a chiedere, in maggio,
in un incontro con una rappresentanza della stessa ambasciata, di scongiurare
l’uso della forza.
Due tematiche caratteristiche di Dp continuarono a essere il nesso
ambiente-lavoro e i diritti sociali.
Per quanto riguarda la prima questione, nel 1989 continuò la
lotta contro le produzioni nocive, che coinvolse i ferrovieri di Bologna,
Firenze, Napoli e gli operai dell’Isochimica contro l’uso dell’amianto
nella coibentazione delle carrozze dei treni. A Santa Maria La Bruna (Na),
dove ha sede un’officina Fs che si occupa della coibentazione, i lavoratori
arrivarono a occupare per un mese l’officina, fino all’ordinanza di sequestro
degli impianti da parte del pretore.
Per quanto riguarda i diritti sociali, il gruppo parlamentare presentò
alla Camera una proposta di legge sul reddito minimo garantito, inteso
non come erogazione di una "elemosina", ma come diritto individuale di
cittadinanza.
Il 2 dicembre si costituì a Milano "Charta 90", formato da dirigenti,
militanti, delegati sindacali di fabbrica e del pubblico impiego, per riportare
il sindacato alla democrazia e alla lotta sociale. Scopo era "realizzare
un rinnovamento e una rifondazione politica e culturale, su contenuti programmatici
classisti per rilanciare le lotte sotto la spinta autonoma dei lavoratori
e degli organismi di base. Intende anche fondare socialmente la soggettività
politica del sindacato sull’esercizio organizzato e continuato del potere
di base, denunciando i pericoli di una "rifondazione" che sia vernice di
una operazione per rendere il sindacato di classe subalterno al sistema
capitalistico". Non si tratta di una componente, e infatti non prevede
lo scioglimento di Democrazia consiliare, ma del tentativo di organizzare
uno schieramento ampio, per organizzare ampie aggregazioni nella Cgil sui
contratti, i referendum, lo stesso congresso. Oltre a Democrazia consiliare
aderiscono alcune aree del dissenso comunista e aree del mondo del lavoro
come i portuali, i macchinisti, i lavoratori dei cantieri navali.