1990
Il 1990 si aprì col divampare in tutta Italia del movimento universitario
della "pantera", nato nel dicembre ‘89 all’università di Palermo.
Da gennaio fino a marzo vennero occupate decine di facoltà universitarie
per protestare contro la legge Ruberti sull’"autonomia" universitaria.
Gli universitari di Dp parteciparono attivamente al movimento, anche con
un qualche ruolo, mentre il gruppo parlamentare, evidenziando il fatto
che anche il Pci aveva sostenuto le leggi sull’autonomia, cerca di presentare
Dp al movimento come l’unico partito coerentemente contro la riforma Ruberti.
In effetti Dp fu tenacemente contro la riforma che, permettendo ampio spazio
alla presenza dei privati, avrebbe reso il sapere e la ricerca subalterni
agli interessi delle aziende eventualmente finanziatrici dell’università.
Il 3 febbraio la direzione nazionale approvò una mozione di appoggio
al movimento, sottolineando il valore della sua autonomia, autorappresentanza
e autorganizzazione, dove si ribadì la richiesta di ritiro della
legge 168, l’abrogazione dell’art. 16 (sull’autonomia degli atenei) e la
richiesta di dimissioni del ministro Ruberti. Si ribadì inoltre
"l’opposizione al numero chiuso, la difesa del carattere di massa dell’università
e del diritto allo studio anche negli elementi materiali, come casa, costo
dei libri, mense, presalari, tasse e servizi". La legge Ruberti di restaurazione-modernizzazione
dell’università fu l’inizio di un passaggio decisivo nell’accelerazione
e razionalizzazione di un processo di privatizzazione e di subordinazione
della cultura, dell’università e della sua capacità di ricerca
alle ragioni dell’impresa che va avanti tuttora, in parallelo con i processi
di privatizzazione dei trasporti, della sanità, delle poste e in
generale dei servizi sociali. Essa puntò a stravolgere la natura
stessa e le caratteristiche strutturali dell’insieme dell’istruzione pubblica,
anche in rapporto ai progetti nella scuola superiore. L’opposizione a questo
processo non potè quindi limitarsi alla sola contestazione della
legge Ruberti, né alla difesa dell’università esistente,
né al solo nodo della rappresentanza studentesca in un’ottica di
"privato-controllato" o di malintesa "autonomia" dell’università
dalla società, ma necessitò dell’individuazione di una "committenza
sociale" nei bisogni dei lavoratori, delle donne e dei giovani e nei problemi
della società che avrebbe potuto prefigurare un’università
autogestita nella quale potesse essere determinante il peso degli studenti.
Dp rivolse ai giovani della "pantera" un’attenzione significativa, perché
dopo il difficile 1989, anno di crisi per Dp e per chiunque si sia ostinato
a cercare le ragioni del comunismo dopo la caduta dei regimi socialisti
dell’Est, il 1990 sembrò aprirsi con qualche speranza di un cambiamento
anche all’Ovest, portato dagli universitari che si batterono contro il
"modello Berlusconi" e contro la mercificazione della cultura e della formazione.
Per quanto riguarda la vita interna di Dp, si cercò una gestione
unitaria del partito dopo la spaccatura a metà del congresso di
Rimini. Il 13 e 14 gennaio la direzione nazionale approvò una mozione
che individuava il terreno di impegno del partito nel costituire un riferimento
credibile in alternativa alla deriva moderata del Pci, dopo il discorso
di Occhetto alla Bolognina. Dp considerò la proposta di Occhetto
come "la collocazione definitiva del Pci nell’ambito delle forze politiche
borghesi, che reca un grave danno a tutta la sinistra e alla possibilità
di opposizione a questo stato di cose e alla stessa possibilità
di trasformazione sociale". La proposta di Occhetto non era estemporanea,
ma venne vista come "logica conclusione di un itinerario di socialdemocratizzazione"
che ha radici lontane, nel compromesso storico e precedentemente in alcuni
aspetti della politica perseguita dal Pci immediatamente dopo la seconda
guerra mondiale. Questa proposta "porta all’accettazione anche formale
dell’orizzonte della governabilità del sistema capitalistico. Esso
quindi indebolisce le lavoratrici e i lavoratori, l’opposizione, e rende
la sinistra, se tutta dovesse seguire le sue orme, profondamente subalterna
a quella stessa campagna propagandistica che vuole identificare il crollo
dei regimi dell’Est con la fine dell’idea stessa di trasformazione sociale".
Per gestire l’iniziativa politica in una fase così difficile, venne
considerata necessaria una gestione unitaria del partito. Viene eletta
perciò una segreteria paritariamente rappresentativa delle due mozioni
del precedente congresso, composta da: Fabio Alberti, Marida Bolognesi,
Antonio Califano, Elettra Deiana, Vito Nocera, Giulio Russo, Giancarlo
Saccoman, Luigi Vinci, con Giampaolo Patta e Giovanni Russo Spena come
invitati permanenti.
Come ambiti di attività nei quali rilanciare l’attività
di Dp, vennero individuati in primo luogo il referendum per la giusta causa
nelle piccole imprese, che si sarebbe dovuto tenere tra il 15 aprile e
il 15 giugno, le lotte operaie, valorizzando esperienze come quella del
Cobas dell’Alfa, e le lotte operaie collegate alla questione ambientale,
come quelle dei lavoratori di Dp dell’Ansaldo, che si batterono contro
la produzione per il Superphenix.
Venne inoltre deciso di creare un nuovo giornale, Comunisti oggi, quindicinale
di intervento politico, realizzato, insieme a Dp, da aree del dissenso
del Pci. Anzi la proposta della creazione del giornale venne proprio da
queste aree, che si raccoglievano soprattutto intorno al bollettino Interstampa
e agli autoconvocati comunisti, presenti soprattutto nel Nord.
Iniziò dunque, immediatamente dopo la proposta di Occhetto alla
Bolognina, l’attenzione di Dp al mutamento del Pci. In febbraio la segreteria
nazionale rivolse una lettera aperta al popolo comunista nella quale, in
contrapposizione alla proposta di Occhetto, si sosteneva la necessità
di "rifondare la sinistra non omologandola, arricchendo la propria cultura
della trasformazione" recuperando la contraddizione capitale-lavoro, la
critica ambientalista allo sviluppo, e le elaborazioni del femminismo.
Da questi elementi è costituito "ciò che noi oggi chiamiamo
una moderna identità comunista e che dai fallimenti dei regimi staliniani
e industrialisti dell’Est non è intaccabile, ne riceve anzi nuova
linfa per lavorare intorno all’idea di una rifondazione di un nuovo pensiero
politico del comunismo. È a partire da ciò che noi di Dp
intendiamo operare, unitamente a tutti i militanti comunisti e della sinistra
anticapitalista e ambientalista a un processo di riaggregazione di forze
e alla stessa ricerca per rifondare un progetto comunista per gli anni
2000".
Quella che sarebbe dovuta essere la più importante campagna
di Dp nella primavera, la campagna referendaria, non potè però
essere fatta perché il voto fu scongiurato da una legge approvata
a larga maggioranza, anche dal Pci. Si trattava di una legge migliorativa
della situazione, approvata sulla spinta del referendum, ma giudicata comunque
inadeguata da Dp.
Il 6 maggio si svolsero le elezioni amministrative, nelle quali Dp
subì una perdita in voti e in seggi, che venne letta come una "stabilizzazione"
in seguito alla scissione arcobaleno. Dp si confermò come forza,
per quanto piccola, "di resistenza" alla deriva moderata del Pci e dei
verdi.Anche in situazioni come ad esempio Roma, dove nelle comunali dell’autunno
precedente Dp aveva registrato una netta sconfitta, c’era ora una piccola
ripresa. Il 12 e 13 maggio si riunì la direzione nazionale, che
constatò come "la tenuta modesta ma significativa di Dp pone le
condizioni perché venga riaffermata nella prossima fase l’esistenza
di un punto di riferimento anticapitalistico da cui partire per ricostruire
un’opposizione sociale e politica all’altezza della fase più difficile
che oggi si configura". Fu evidente l’inadeguatezza di Dp a essere motore
e referente dei conflitti sociali, e la strada per l’impegno di Dp fu individuata
nel contribuire al rilancio dell’"esigenza della rifondazione di una forza
anticapitalistica modernamente comunista […] In questa prospettiva, Dp
deve aprire un processo di interlocuzione politica e di iniziativa sociale
concreta con settori della sinistra del Pci, dell’ambientalismo, con i
movimenti di lotta, con il volontariato sociale".
Le prospettive di Dp apparvero preoccupanti sia sul piano elettorale,
dove non riuscì ad intercettare i voti in uscita dal Pci, con il
rischio di perdere il quorum alle elezioni politiche, sia soprattutto sul
piano del senso dell’esistenza stessa del partito. L’analisi della realtà
fino ad allora fatta da Dp apparve inadeguata, e per aggiornarla si decise
di riconvocare la direzione nazionale il 16 e 17 giugno per un dibattito
di tipo seminariale. Il dibattito fu introdotto da alcune relazioni tematiche:
la prima di Fabio Alberti sulla riforma istituzionale e sul passaggio alla
seconda repubblica, la seconda di Elettra Deiana sulla ridefinizione dell’identità,
del programma e della proposta strategica di Dp, la terza di Luigi Vinci
sulla "cosa" di Occhetto e il futuro di una forza comunista, la quarta
sul sindacato di Giancarlo Saccoman. Il dibattito interno vide, da una
parte, l’area dell’ex mozione Gargiulo al congresso di Rimini, che giudicava
impellente la ricerca di un rapporto con l’area comunista del Pci e, dall’altra,
l’area dell’ex mozione Russo Spena, che aveva avuto nel corso dell’anno
un travaglio interno sul significato dell’identità e della presenza
dei comunisti in Italia, e su come aggredire la crisi del Pci. Segno di
questo travaglio fu la controrelazione presentata al seminario da Vito
Nocera, che dichiarò inoltre di non condividere la lettera al popolo
comunista. Del resto, già la relazione di Alberti e quella della
Deiana presentavano analisi e prospettive diverse: quella di Alberti sottolineava
l’importanza di movimenti quali la pantera e i Cobas per la costruzione
dell’alternativa anticapitalistica (le proposte organizzative erano piuttosto
vaghe: si parlava di rete, laboratorio, polo), quelle di Deiana e di Vinci
per un partito saldamente classista e ancorato al marxismo, più
attento all’evoluzione del Pci.
Un altro sintomo del travaglio di una parte dell’ex mozione Russo Spena
fu indicato anche dalla proposta, avanzata da alcuni esponenti di quell’area,
di cambiare il simbolo di Dp, aggiungendo le parole comunismo e nonviolenza,
e sostituire al pugno chiuso due mani intrecciate, una bianca e una nera.
Fu una proposta che svanì subito, ma comunque emblematica del disagio
di una parte del partito.
L’area di Russo Spena svolse il 7 e 8 luglio a Velletri un seminario
interno, mentre l’altra area organizzò un seminario l’1 e il 2 settembre
a Sasso Marconi (Bo), in cui si avanzò la proposta di costruire
da subito ambiti unitari col dissenso comunista del Pci, sia nei luoghi
di lavoro, sia in luoghi in cui costruire un confronto programmatico e
teorico strategico comune.
Ma sul terreno dell’iniziativa politica il partito era compatto. La
direzione nazionale del 13 e 14 ottobre indica come terreni di attività
la lotta contro i venti di guerra nel Golfo, contro le riforme istituzionali,
per i diritti degli immigrati e, rispetto al Pci, "Dp individua nelle vaste
aree dei compagni e delle compagne del ‘No’, che si pongono il problema
d’una presenza politica autonoma dalla ‘Cosa’, gli interlocutori e le interlocutrici
decisive per questo progetto riaggregativo che, a partire dall’accordo
su un programma di azione politica, si ponga il compito di definire insieme
un nuovo pensiero comunista e una proposta strategica di costruzione di
un nuovo blocco sociale con l’obiettivo del superamento del sistema capitalistico.
Dp lavorerà affinché siano protagonisti del processo tutti
quei soggetti che, con provenienze diverse, esprimono contenuti anticapitalistici,
sono portatori di culture, valori, esperienze critiche originali, hanno
contribuito alla rottura del compromesso sociale e intendono porsi il problema
di affermare l’esistenza di una rappresentanza politica coerente con i
contenuti antagonistici delle loro esperienze sociali; fra questi in primo
luogo le aree più radicalizzate del solidarismo anti-istituzionale
del mondo cattolico, le esperienze di lotta e di autorganizzazione delle
lavoratrici e dei lavoratori, quei settori del femminismo, del pacifismo,
della nonviolenza, dell’ambientalismo che si pongono in una visione antagonista
della trasformazione sociale". Questa mozione indicò come entrambe
le mozioni che si erano fronteggiate al congresso di Rimini fossero ora
concordi nel considerare la crisi del Pci e i suoi possibili sbocchi a
livello politico e organizzativo la questione principale. Infatti in varie
città si incominciarono a organizzare incontri pubblici tra Dp e
i comunisti che si opponevano a Occhetto. A Roma il primo incontro pubblico
con quello che sarà poi il gruppo dirigente del Movimento della
rifondazione comunista è anzi organizzato proprio da esponenti della
mozione Russo Spena, in primo luogo Jervolino, che tiene la relazione introduttiva
al seminario di studio "Confronti sulla rifondazione comunista" organizzato
dal Cipec di Roma il 14 dicembre, a cui partecipano Asor Rosa, Astengo,
Cazzaniga, Cossutta, Covino, D’Albergo, Di Cerbo, Galasso, Garavini, Girardi,
La Grassa, La Valle, Madera, Magri, Nebbia, Parlato, Salvato, Serri, Sichirollo,
Vendola, oltre a molti dirigenti nazionali di Dp. Di fatto fu il primo
confronto pubblico tra i dirigenti di Dp e quelli del futuro Mrc.
Nonostante il 1990 sia stato un anno di riflessione interna per Dp,
non mancarono iniziative significative, come quelle per le dimissioni del
presidente Cossiga. Dp raccolse firme per una petizione del Comitato per
la difesa della costituzione che chiese le dimissioni di Cossiga, poi il
12 dicembre organizzò manifestazioni in numerose città, in
alcuni casi caratterizzate da tensioni per l’assurdo divieto di esporre
striscioni "insultanti" il Presidente della Repubblica. La campagna contro
Cossiga ebbe il suo culmine il 21 dicembre, quando Arnaboldi e Russo Spena
presentarono al parlamento la richiesta di impeachement.
Altre attività significative di Dp furono le "spinellate di
massa" davanti al parlamento e in alcune città italiane in occasione
dell’approvazione della legge Craxi-Russo Jervolino sulla droga, e l’impegno
per i diritti degli immigrati (con l’organizzazione di lotte per la casa
e per i diritti).
È da sottolineare, nel 1990, una campagna di tesseramento particolarmente
"aggressiva", preparata non in proprio, ma in collaborazione con pubblicitari.
Vennero preparate tre tessere e tre corrispondenti manifesti: una con uno
studente cinese a Tien An Men che si contrappone ad un carro armato (con
lo slogan "Il comunismo è l’utopia possibile. Il coraggio di dire
no alla prepotenza degli eserciti, alla burocrazia di partito, alle menzogne
dei mass-media. Il comunismo è la democrazia proletaria"), la seconda
con un giovane a cavalcioni sopra il muro di Berlino (con lo slogan "Il
comunismo è la libertà di essere. È abbattere il muro
che ci opprime. La fine dei privilegi e dello sfruttamento. È il
cielo, la rivoluzione. Il comunismo è la democrazia proletaria"),
e la terza con la foto di un bambino in una manifestazione antinucleare
(con lo slogan "Il comunismo è la forza dei deboli. La libertà
di decidere del proprio futuro. È lottare per la difesa dell’ambiente,
per il disarmo, per la felicità collettiva. Il comunismo è
la democrazia proletaria").
Questa strategia comunicativa "aggressiva" non si limitò del
resto alla campagna di tesseramento, ma riguardò anche i manifesti
preparati per la campagna referendaria.
1991
Il 1991 si aprì con una intensa attività di Dp contro
i venti di guerra nel Golfo Persico, e successivamente contro la guerra,
che iniziò il 17 gennaio. Tutto il partito fu fortemente impegnato,
e Dp diventò effettivamente un punto di riferimento reale per i
militanti pacifisti. Il ruolo di Dp e le aumentate simpatie per la sua
decisa battaglia pacifista si poterono notare già nella manifestazione
nazionale del 12 gennaio a Roma, dove la sua presenza fu cospicua e ben
visibile.
A mezzanotte del 15 gennaio scadde l’ultimatum dell’Onu a Saddam Hussein.
Quella scadenza fu vissuta dai militanti pacifisti con apprensione, con
veglie pacifiste in molte città, a cui partecipano anche i militanti
di Dp. L’attacco aereo iniziò nella notte tra il 16 e il 17 gennaio.
Già durante la notte i militanti di Dp prepararono i volantini per
le mobilitazioni dell’indomani.
Le parole d’ordine di Dp erano: "né uomini né soldi per
la guerra del petrolio, disobbedienza civile nelle caserme, nelle fabbriche,
nelle scuole, sulle tasse, per lo sciopero generale".
Dp fu critica non solo nei confronti del Pci (già lo era stata
in occasione del voto parlamentare), ma anche nei confronti del sindacato,
che si limitò a proclamare cinque minuti di fermata dal lavoro,
mentre Dp proponeva lo sciopero generale. Dp fu presente nelle iniziative
e nelle manifestazioni che si svolsero in tutta Italia, delle quali forse
la più significativa fu quella del 17 febbraio alla base dei Tornado
di San Damiano.
Dopo la fine dei combattimenti, Dp promosse una delle più significative
esperienze di solidarietà nei confronti della popolazione civile
dell’Iraq: venne lanciata la campagna di solidarietà e raccolta
fondi per le vittime civili dei bombardamenti "Un ponte per Bagdad", con
un comitato di garanti composto da Ernesto Balducci, Franco Fortini, Raniero
La Valle, Dacia Maraini, Eugenio Melandri, Vauro Senesi. Con questa iniziativa
Dp volle "ricucire la trama della conoscenza, della comprensione, del riconoscimento
della pari dignità, del rispetto reciproco", per riavvicinare "i
popoli che sono stati coinvolti dalla guerra, sempre più distanti,
lontani, divisi dalle trincee che la guerra ha scavato nelle coscienze".
Il 1991 è anche l’anno in cui il congresso del Pci decise la
trasformazione in Pds. Dopo la guerra, le iniziative di Dp furono orientate
quasi totalmente alla costruzione di un nuovo soggetto politico comunista,
processo che si concluderà poi con la confluenza di Dp nel Movimento
per la rifondazione comunista. La direzione nazionale del 2-3 marzo decise
di tenere il congresso nazionale entro l’estate.
Dp organizzò, il 20 aprile, a Milano, il convegno nazionale
"La nuova sinistra nella rifondazione comunista: storia, politica, cultura
della nuova sinistra e il nuovo inizio della rifondazione comunista". Al
convegno parteciparono e intervennero dirigenti di Dp (Vinci, Russo Spena,
Ferrari, Mordenti, Patta) e intellettuali comunisti (Franco Fortini, Luigi
Cortesi, Costanzo Preve, Mimmo Porcaro, Marco Revelli, Romano Madera, Giuseppe
Bronzini), oltre a esponenti del neonato Movimento per la rifondazione
comunista (Sergio Garavini, Niki Vendola, Lucio Magri). La relazione introduttiva
fu tenuta da Vinci, le conclusioni da Russo Spena. Il convegno fu un episodio
significativo della riflessione di Dp sul significato della rifondazione
comunista e sul contributo che Dp, come erede principale della nuova sinistra
e del ‘68, poteva portarvi. Significativamente, nella relazione introduttiva,
Vinci constatò come fosse arrivata a compimento la lunga crisi del
Pci, il che permetteva di liberare "dall’involucro politico precedente
una parte significativa delle forze di sinistra comunista che esso, ormai
improduttivamente, ibernava". Vinci individuò la nascita del processo
di crisi del Pci nel ‘68 e nella prima metà degli anni settanta,
quando il Pci contrastò i movimenti che gli avevano aperto la possibilità
di arrivare al potere, per andare al soccorso della Dc in crisi. La crisi
del Pci continuò negli anni ottanta quando, per la debolezza delle
sue opzioni strategiche, non fu in grado di far fronte "alla ristrutturazione
capitalistica dell’economia, alle idee del neoliberismo, allo spostamento
a destra della maggioranza della società, all’attacco allo stato
sociale, all’isolamento dei lavoratori". Da qui l’esigenza dei comunisti
nel Pci di trovare soluzioni per affrontare la crisi del partito. Questa
intenzione, secondo Vinci, si deve incontrare con il bisogno di chi da
molto tempo si è posto "l’esigenza di una rifondazione politica
del comunismo e teorica del marxismo". Dp può portare proprio questo
contributo, di chi ha rotto sia "con l’esperienza dello stalinismo e del
post-stalinismo in Urss, cogliendone la natura dispotica e burocratica,
il deficit ad un tempo di democrazia, di socialismo e di comunismo", sia
con "l’esperienza gradualista del Pci in questo dopoguerra, ipotizzante,
sterilmente, il passaggio al socialismo nella cornice della democrazia
parlamentare e dello stato burocratico". Vinci riconobbe i limiti delle
esperienze a sinistra del Pci, un ingenuo ottimismo e l’impazienza rivoluzionaria,
che hanno portato a sottovalutare il legame fortissimo del Pci con le grandi
masse di lavoratori, facendo sì che mai i comunisti di minoranza
siano divenuti forza politica reale.
Analogamente anche l’intervento conclusivo di Russo Spena pose al centro
la necessità di una rifondazione del comunismo, per superare sia
"la tradizione terzinternazionalista e i limiti, gli errori, le sconfitte,
la connivenza con l’avversario di classe del riformismo italiano", che
gli errori della nuova sinistra, "il minoritarismo trionfalista, la mancanza
di strategia politica, l’oscillazione tra massimalismo e istituzionalismo".
Egli affermò la necessità che la rifondazione comunista non
diventasse un semplice tentativo di resurrezione del Pci, "che non a caso
ha partorito il Pds, come rottura della sua storia, ma anche come continuità
della sua cultura e della sua linea politica statalista sul piano istituzionale
e moderata sul piano sociale, nonché conciliativa e interclassista
rispetto al moderno conflitto tra le classi. L’epilogo del Pci non è
cominciato alla Bolognina, né è frutto del semplice tradimento
di un gruppo dirigente, quanto di una mutazione genetica complessiva e
diffusa. Alla rifondazione, cioè allo sforzo di ricostruire dalle
fondamenta, pur senza azzerare le memorie storiche, bisogna credere sul
serio". Russo Spena affermò che la sinistra comunista del futuro
avrebbe dovuto caratterizzarsi soprattutto per una rinnovata critica dell’economia
politica, per la critica al sapere dominante, all’esaltazione positivistica
della scienza e della tecnica, per la capacità di sviluppare movimenti
popolari conflittuali e nuovi cicli di lotte. Le due questioni fondamentali
della critica al capitalismo sono, secondo Russo Spena, "l’insostenibilità
dell’attuale modello di sviluppo planetario, con un Nord opulento, imperialista,
neocoloniale" e "il grande interrogativo gramsciano sul che cosa produrre,
come produrre, per chi produrre".
Il vii congresso nazionale si svolse dal 6 al 9 giugno a Riccione.
Le tesi congressuali, dopo una premessa, erano divise in cinque capitoli:
l’analisi del nuovo ordine mondiale dopo la guerra del Golfo, il passaggio
dalla prima alla seconda repubblica in Italia, il bilancio dell’esperienza
di Dp, il progetto per la costruzione di un blocco sociale e di un programma
di alternativa, il contributo di Dp alla rifondazione comunista.
Secondo le tesi, il nuovo ordine mondiale, con il crollo dei regimi
dell’Est e la fine del bipolarismo, ha mutato radicalmente la situazione
e le strategie che deve adottare la sinistra anticapitalistica. Questo
comporta in Italia, alla luce della mutata situazione in seguito alla fine
del Pci, un cambiamento di prospettive per Dp: non si tratta di sciogliere
l’esperienza di Dp, ma di rilanciarla e valorizzarla per la costruzione
di un nuovo progetto di rifondazione comunista. Il bilancio dell’esperienza
di Dp è positivo, perché ha permesso di valorizzare la grande
stagione di lotte degli anni settanta, di cui Dp si considera l’erede,
ma ora si giudica necessario contribuire alla nascita del Movimento per
la rifondazione comunista, insieme a tutti coloro che provengono dal Pci
e hanno scelto di non aderire al Pds. Il contributo che Dp può dare
alla rifondazione comunista consiste nell’attenzione al valore dell’antagonismo
e dei conflitti sociali. Si giudicò positivamente la posizione assunta
dal Mrc di ripensamento sulla politica del Pci nel ‘68 e durante il compromesso
storico, così come i giudizi che si vanno elaborando sulle esperienze
dell’Est, sull’ambiente, sulla democrazia sindacale. L’unica critica alle
tesi venne da settori della IV Internazionale, con l’emendamento Deiana,
che pur sostenendo l’immediata confluenza di Dp nel Mrc, nega che vi siano
convergenze politico-strategiche tra Dp e Mrc. Deiana teme che nel processo
costituente si arrivi alla "liquidazione di un patrimonio di idee e di
esperienze e al semplice riciclaggio di un pezzetto di quel ceto politico
che anche la nuova sinistra ha abbondantemente contribuito a creare". Il
ruolo del Mrc è sì visto positivamente, in quanto ha dato
motivazione all’impegno politico di ampi settori popolari e di classe,
ma "è prevalsa fino ad oggi quell’impostazione autosufficiente e
autoreferenziale della rifondazione comunista che è tipica dei settori
continuisti". Deiana giudicò comunque positiva l’unificazione di
Dp e Mrc perché contribuirebbe a mutare gli orientamenti continuisti
del Mrc; quello che tiene a sottolineare sono i limiti politici di una
mancata valorizzazione del proprio apporto.
La relazione introduttiva fu tenuta da Luigi Vinci che illustrò
le tesi partendo dalla mutata situazione italiana e internazionale, per
arrivare alle prospettive e ai compiti che spettano ai comunisti. Il piano
internazionale è dominato dalle grandi vittorie capitalistiche (la
sconfitta del socialismo reale), la situazione interna è dominata
dalla resa politica e culturale del Pci, dopo la morte di Berlinguer, all’attacco
reaganiano. Una controtendenza a questo attacco è "il rifiuto di
tante compagne e tanti compagni a entrare nel Pds e l’impulso a costituire
il Mrc". È necessario appoggiare e ampliare questa controtendenza
per fronteggiare "un nuovo ampio attacco avversario, che si propone di
abolire la sinistra come sinistra di classe, il movimento dei lavoratori
come movimento di classe e come perno di un ampio blocco sociale e culturale,
di recare un altro colpo allo stato sociale e al salario. Si tratta di
un programma di destra globale, più ampio inoltre, di quello degli
anni ottanta reaganiani, che aveva soltanto obiettivi economici e sociali
e di ridimensionamento della sinistra: in quanto adesso la sinistra la
si vuole per certi aspetti distruggere e per altri radicalmente trasformare".
Perciò compito immediato della sinistra comunista è difendere
le garanzie democratiche affermate dalla costituzione, il primato delle
assemblee legislative e rappresentative, la proporzionale, lo stato sociale
e il salario, lottare contro la statalizzazione del sindacalismo confederale.
Netto è il giudizio sul Pds: la sua costituzione è la soluzione
da destra alla crisi del Pci, a esso bisogna opporre una via d’uscita "da
sinistra", cioè il Mrc, in cui Dp deve confluire. Da qui la necessità
di una confluenza immediata, afferma Vinci, per contrastare "l’arrembaggio
antidemocratico e antisociale in atto", che esige risposte immediate. Vinci
difese così la decisione della segreteria nazionale di procedere
alla confluenza in tempi rapidi, sostenendo che "una lunga e complessa
trattativa, schermaglie, iniziative di facciata" sarebbero state mero politicismo.
Vinci sostenne anche la convergenza politico-strategica, se non totale
almeno molto ampia, tra Dp e Mrc, criticando l’emendamento Deiana. Vinci
affermò queste convergenze basandosi sulla relazione di Magri al
seminario di Arco del settembre precedente, sulle dichiarazioni di Cossutta
di ripensamento dell’esperienza del socialismo reale e sulla volontà
di non andare al rinnovamento del vecchio Pci, ma ad una rifondazione generale
della presenza comunista in Italia, sulla necessità espressa da
Garavini di una riflessione critica sull’unità nazionale e su come
il Pci si rapportò al ‘68 e all’emergenza. Secondo Vinci la fase
costituente deve affrontare due questioni principali: l’impianto politico-programmatico
della nuova organizzazione e il tipo di partito da costruire. Su tali questioni
afferma che l’apporto di Dp può essere consistente, con "l’affermazione
del primato dell’iniziativa sociale e della lotta di massa rispetto alla
dimensione istituzionale dell’attività del partito". La relazione
si conclude affermando la validità dell’esperienza di Dp, pur con
tutti i suoi limiti: "È stata un’esperienza pesantissima, logorantissima,
dovendo andare tutti i giorni contro i flussi di fondo della società
per costruire una lotta di fabbrica, una manifestazione pacifista, un embrione
di organizzazione comunista e anticapitalistica […] Dp è stata quello
strumento che ci ha consentito, in tempi difficili, nell’incomprensione
generale, contro le correnti del reaganismo e delle nuove subalternità
dei ceti politici della sinistra, di continuare a lottare, a essere comunisti,
a camminare eretti".
L’intervento conclusivo fu tenuto da Russo Spena, che espresse il proprio
"malinconico entusiasmo". Egli afferma che la confluenza nel Mrc non è
una resa, né una liquidazione per stanchezza. Rilegge la storia
di Dp come espressione di quel filone della nuova sinistra che si è
sempre rifiutato di essere coscienza critica del Pci, ma nemmeno si è
mai considerato autosufficiente, il partito unico della rivoluzione in
Italia. Per questo, la decisione di confluire nel Mrc "non comporta nessuno
‘strappo’, nessuna operazione politicista rispetto alla nostra originaria
concezione". Per questo si può e si deve entrare nel Mrc, che esprime
un grande patrimonio di opposizione, "bisogni diffusi di radicalità,
un grande patrimonio democratico". È necessario opporsi al coro
dei "modernisti’ che intonano ‘guai ai vinti’", per contrastare la seconda
repubblica, vista come passaggio autoritario per consolidare il blocco
dominante che vuole imporre "un attacco antioperaio e antipopolare su salario,
occupazione, pensioni, stato sociale". Questione democratica e questione
sociale sono quindi profondamente intrecciate, ed entrambe vanno affrontate
rilanciando il conflitto, conflitto che è stato importantissimo
anche negli anni ottanta: Russo Spena ricorda le iniziative del Cobas dell’Alfa,
degli autoconvocati, di Democrazia consigliare, degli ospedalieri, dei
ferrovieri, dei portuali. Egli sostiene la necessità di partire
dal valore del conflitto per arricchire la rifondazione comunista con le
idee forti di democrazia consiliare, garantismo sociale, socializzazione,
autorganizzazione, autogoverno. Questo è necessario, secondo Russo
Spena, non solo per lottare "per gli stessi spazi di libertà e di
lotta", ma anche per "cominciare a lavorare seriamente all’organizzazione
di un punto di vista comunista". Non si può lavorare solo in difesa
perché non si è di fronte "solo ad un attacco autoritario
e devastante dell’avversario di classe, ma a un profondo mutamento sociale,
in cui il capitalismo ha creato dinamicamente una nuova realtà sociale,
cominciando dalla trasformazione del lavoro, dei lavori". Da qui la necessità
di "costruire l’anticapitalismo moderno proprio nei punti alti dello sviluppo,
laddove avviene l’incorporazione del sapere dentro la macchina […] Oggi,
quindi, il problema del comunismo è anche la capacità di
aggredire i temi della nuova qualità del lavoro". Il comunismo che
è morto è quello novecentesco, col suo modello di transizione
statuale, mentre rimangono tutte le contraddizioni che "mettono in causa
l’universalità dispotica della forma di merce e dei valori di scambio.
Non si tratta solo di piangere la povertà degli ultimi: si tratta
di scalzare i primi dai loro seggi di comando". Questo è necessario
fare per una battaglia comunista che abbia un senso concreto, non sia pura
testimonianza. A questa battaglia Dp può portare un ingente patrimonio:
"la critica garantista dello statalismo e dell’emergenza […] l’intreccio
tra democrazia consiliare e rappresentativa […] la radicalità eversiva
della critica ecologica alla produzione di merce per la merce […] la lettura
dell’alienazione contemporanea". Anche Russo Spena concluse il suo intervento
riaffermando l’importanza di cosa abbia rappresentato Dp: "E siamo orgogliosi
perché anche ora, sciogliendoci, ci stiamo dimostrando, ancora una
volta, dei rivoluzionari. Stiamo compiendo un atto di razionale generosità.
Anche perché crediamo, in maniera non arrogante, ma convinta, di
essere, nel nostro piccolo, indispensabili per l’esito migliore, per la
qualità stessa della costruzione del nuovo partito comunista".
Il congresso si concluse con una mozione approvata con 198 voti favorevoli,
4 contrari e 15 astenuti. La mozione indicò la necessità
della lotta contro il nuovo ordine mondiale, che comporta "una crescente
insofferenza del capitalismo verso le stesse garanzie democratiche affermatesi
con le rivoluzioni liberali e un progressivo deterioramento delle possibilità
di sopravvivenza delle popolazioni del Terzo mondo, come la guerra del
Golfo ha dimostrato". Per quanto riguarda la situazione italiana, "si è
concluso il processo di omologazione e di istituzionalizzazione di larga
parte della sinistra tradizionale e del sindacato con la loro inclusione
nell’apparato di consenso dello stato. Si è dunque determinato un
vero salto di qualità nei processi di trasformazione autoritaria
che pone in campo l’esigenza di costruire in tempi rapidi la più
vasta opposizione di massa per una controffensiva democratica, capace di
contrastare l’accelerata evoluzione di tali processi attraverso la formazione
di una nuova forza politica anticapitalistica e comunista in grado di supportarla.
Proprio la riapertura di una assai più vasta prospettiva politica
comunista e classista di opposizione organizzata e di massa consente lo
sviluppo di movimenti anticapitalistici e di autorganizzazione sociale,
in un rapporto di dialogo e di reciproca autonomia". Si decise perciò
"l’adesione immediata nel Movimento di rifondazione comunista, individuato
come processo costituente di una nuova forza comunista […] per valorizzare
il patrimonio politico di Dp, e per […] restituire alla politica attiva
parte di quel popolo della sinistra che se ne era ritratto, non convinto
a sufficienza da una piccola Dp né dalla deriva moderata del vecchio
Pci".
Riceve invece esattamente il contrario dei voti, 4 favorevoli, 198
contrari e 15 astenuti, la mozione per la "rifondazione demoproletaria",
presentata da Walter Sassi della federazione di Milano, secondo cui il
processo di ricostruzione di una forza comunista proposto dalle tesi è
"troppo subalterno a impostazioni di altri, a partire dai tempi e dalle
modalità di autoscioglimento", per cui si propone "una rifondazione
demoproletaria, per poi lavorare sì verso la costruzione di una
nuova forza comunista, ma con tempi e modalità che deciderà
la storia".
Al congresso intervennero, per il Mrc, Sergio Garavini, Ersilia Salvato,
Lucio Magri. Oltre alla mozione finale, vennero inoltre approvati ordini
del giorno di solidarietà al Cobas dell’Alfa, ai profughi albanesi,
per i diritti degli immigrati. Al congresso, così come verificato
dalla commissione verifica poteri, risultavano iscritti a Dp 8.453 persone.