Capita, a volte, che proprio dall'esterno dell'ambiente anarchico ci
giungano inaspettate testimonianze di come la storia del nostro movimento
si sia intersecata, indissolubilmente, con quella di un paese tormentato
e difficile come l'Italia. Oggi è un giovane giornalista reggino,
Fabio Cuzzola, obiettore di coscienza, attivo esponente dello scoutismo
cattolico che è riuscito a ricostruire con una dedizione commossa
una delle vicende più tragiche e misconosciute della storia recente
dell'anarchismo (Fabio Cuzzola, Cinque anarchici del sud. Una storia
negata, 2001, Città del Sole Edizioni, pagg. 126, 12.000
lire, Via Ravagnese Superiore 60, 89067 Ravagnese, meserv@libero.it).
Proponendosi di far riemergere una cronaca altrimenti destinata ad
essere dimenticata, l'autore ha anche voluto raccontare i momenti della
breve vita e della drammatica morte di cinque compagni, dei cinque anarchici
che nei "lontanissimi" anni settanta furono fra le vittime di una ragion
di stato criminale, che contrastava con stragi efferate e micidiali attentati
il procedere di una stagione di lotte, e di sogni, ormai irripetibile.
Grazie al suo paziente lavoro di ricerca di documenti ignorati o sepolti,
Cuzzola è riuscito a rendere drammaticamente decifrabile una vicenda
dai contorni enigmatici, e al tempo stesso a restituire la specificità
di vite vissute che furono, nella loro dimensione collettiva, il tratto
di un'intera generazione di ribelli.
La sera del 26 settembre 1970 cinque giovani anarchici, Gianni Aricò,
Angelo Casile e Franco Scordo di Reggio Calabria, Luigi Lo Celso di Cosenza
ed Annalise Borth, la giovanissima moglie tedesca di Aricò, trovano
la morte in un drammatico incidente nel tratto autostradale fra Ferentino
ed Anagni, alle porte di Roma. Come risulterà dalle indagini della
polizia, l'incidente è causato dall'improvvisa manovra di un camion
che taglia la strada alla Mini Minor dei compagni in corsia di sorpasso,
manovra che nella sua dinamica non riesce a trovare alcuna logica spiegazione.
Nonostante le evidenti stranezze e incongruenze subito rilevate dalla Stradale
e la drammaticità di un incidente che vede morire sul colpo ben
quattro persone ("Muki" Borth morirà in un ospedale romano dopo
venti giorni di coma profondo), le indagini vengono prontamente insabbiate
per poi essere archiviate nella comoda casella della tragica fatalità.
Il camion è guidato da due dipendenti del principe nero Junio Valerio
Borghese, il fascista al centro di tutte le trame nere di quegli anni.
Qualche mese prima, il 22 luglio dello stesso anno, nei pressi della
stazione di Gioia Tauro, la Freccia del Sud deraglia causando sei morti
e più di un centinaio di feriti. Anche in questo caso le indagini
arrivano a una rapida conclusione: il disastro è avvenuto a causa
della colposa negligenza dei macchinisti del treno. È da poco più
di una settimana che nella vicina Reggio Calabria è scoppiata la
rivolta, ampiamente strumentalizzata dai settori più reazionari
della società, che rivendica il ruolo di Reggio come capoluogo.
Saranno mesi contrassegnati da continue violenze di piazza, che vedono
tutte le componenti del neofascismo italiano impegnate a soffiare sul fuoco
di questa improvvisa jacquerie, dove le giuste istanze di un proletariato
meridionale sempre più emarginato si saldano con le finalità
eversive di ampi settori dello stato.
È all'interno di questi due drammi che si svolge la storia dei
nostri compagni. Infatti Aricò, Casile e Scordo, assidui militanti
del gruppo anarchico reggino, subito dopo il deragliamento si attivano
in un'attività di controinformazione – come si usava definire allora
il lavoro di indagine sulle verità nascoste dal potere – che li
porta ben presto a raccogliere prove consistenti sulla diretta responsabilità
nell'incidente del neofascismo locale. Che quindi non è più
un incidente, ma uno dei numerosi attentati di marca stragista che stanno
insanguinando l'intero paese. Ed è per portare queste prove, che
non verranno mai più ritrovate, che partono per Roma, dove hanno
appuntamento con i compagni di "Umanità Nova" e con l'avvocato De
Giovanni. Un appuntamento al quale non riusciranno mai ad arrivare.
Sono anni eccezionali quelli, e formidabili, come li ha definiti, non
credo a torto, uno dei più celebrati protagonisti dell'epoca. Sono
anni tremendi e meravigliosi, anni nei quali un movimento di massa torna
a dare l'assalto al cielo portando dentro di sé i possibili germi
della liberazione collettiva, anni nei quali lo scontro sociale assume
sempre più i caratteri di una vera e propria guerra di classe. Ma
sono anche gli anni delle stragi e delle trame di stato, gli anni in cui
il potere, inferocito e incarognito dall'attacco di un movimento di massa
che nelle fabbriche, nelle campagne e nelle scuole ne mette in discussione
i postulati, reagisce con gli strumenti del terrore e dell'omicidio pur
di salvaguardare la propria esistenza. Sordide trame di stato manovrate
dai servizi segreti, generali vigliacchi e felloni affiancati da una massa
di manovra fascista che è riduttivo definire come semplice manovalanza:
questi sono gli strumenti con i quali un potere assediato cerca di contrastare
la gioiosa vitalità di un'intera generazione.
Ed è di quegli anni, di quei sogni e di quelle lotte, non solo
della tragica morte dei cinque giovani, che ci parla questo libro. Per
chi ha vissuto quel periodo è chiaro come l'autore allora non fosse
ancora nato e come tutte le fonti a cui ha attinto siano documenti d'archivio
o testimonianze e racconti indiretti. Eppure il suo bisogno di comprendere,
per ricostruirlo, l'ambiente nel quale si muovevano i nostri protagonisti,
è riuscito a concretizzarsi in un affresco di rara sensibilità.
Pur nelle inesattezze che qua e là affiorano, soprattutto quando
vengono affrontate alcune specificità del movimento anarchico –
ininfluenti del resto rispetto al quadro complessivo con cui viene descritta
la quotidianità di quegli anni – penso che il merito maggiore dell'opera
di Cuzzola sia quello di essere riuscito a illustrare come, finanche l'attività
di un gruppetto di giovanissimi anarchici di una città tutto sommato
periferica, potesse interagire con i maggiori avvenimenti nazionali, inserendosi
perfettamente all'interno di un insieme di fatti ed azioni che riguardavano
il destino dell'intero paese. Del resto questa capacità di comunicazione,
che oggi può sembrare impossibile, era allora patrimonio di un'intera
generazione di giovani, anarchici, marxisti, capelloni, beatniks, contestatori,
comunisti, operai massa, cinesi e quant'altro che, partendo dalle capitali
del nord industriale per arrivare alle più piccole realtà
dell'enorme provincia italiana, riscrivevano le regole di una società
ingessata e paralizzata da trent'anni di dominio clericale e conservatore.
Tutto il paese era un'immensa periferia che circondava il nord industriale
e i centri del potere, un'immensa periferia che apportava, con la vivacità
e la freschezza tipiche delle periferie, il proprio contributo essenziale
nell'attacco al cielo partito dalle grandi metropoli.
Ma quelli sono anche gli anni del terrorismo nero, delle stragi di
stato, dei servizi deviati e delle mene di un potere arroccato su posizioni
di pura reazione. Un potere che, con la complicità di uno schieramento
politico di cui i fascisti sono solo la punta, cerca a tutti i costi di
bloccare gli assalti cui è sottoposto. E proprio Reggio Calabria,
la città di Aricò, Casile e Scordo, diventa il principale
laboratorio dell'eversione. È una rivolta popolare che scandisce
con i suoi tempi e le sue vergogne l'intera estate del 1970 e che vede
gli anarchici e gli extraparlamentari del luogo cercare di sottrarre alle
sirene del fascismo la rabbia di una città tradita ed espropriata.
Le pagine di Cuzzola raccontano quanto fosse dura la vita quotidiana
di questi compagni in un ambiente così inquinato, e come fosse coraggioso
il loro modo di vivere, di provocare, di contestare le convenzioni e lottare
in una città già difficile di suo e ora in preda ai furori
di una rivolta egemonizzata dagli scherani di Ciccio Franco. Ma le loro
conquiste personali, le loro rotture con l'ambiente, le loro scoperte,
i viaggi, le amicizie profonde, la rimozione di un vissuto soffocante e
conservatore, li avevano portati su una strada dalla quale era impensabile
fare dietro-front. E che hanno percorso, per dirla con le belle parole
della prefazione di Tonino Perna, con la determinazione "di chi, malgrado
le minacce, le intimidazioni, è andato avanti, senza paura, perché
credeva nel valore supremo del solo tribunale esistente: la propria coscienza.
Di chi credeva che la coerenza non sia solo una virtù, ma la prova
del fuoco della validità, concretezza e serietà di un ideale".
Ho sentito da poco Placido La Torre di Messina, il compagno avvocato
che tante volte si trovò ad assistere gratuitamente i giovani meridionali,
anarchici ma non solo, che regolarmente cadevano sotto le grinfie della
"legge". Conobbe e frequentò a lungo i giovani reggini, e ancora
oggi dopo tanti anni si commuove al ricordo di quelle giovani vite così
prematuramente perse. Anche lui, con calore e affetto immutato mi ha ricordato
il loro entusiasmo, la loro voglia di lottare contro tutte le ingiustizie,
la loro determinazione nel far coincidere l'impegno politico con le convinzioni
morali. Sono passati più di trent'anni da quella notte in autostrada,
ma il loro ricordo – grazie soprattutto a questo libro – non sbiadirà
più.
Massimo Ortalli, da "A rivista anarchica", N. 274, estate 2001