Aldo Agosti è uno storico che ha dedicato numerose pubblicazioni
alla storia del movimento
comunista ed in particolare all’Internazionale Comunista, tra cui alcuni
capitoli della “Storia del
marxismo” curata da Hobsbawm e una imponente raccolta commentata di
documenti del
Comintern.
E’ ora uscito un volume che traccia un profilo storico, sintetico ma
non superficiale, dei
“comunismi europei” seguendone la complessa vicenda dalla prima guerra
mondiale fino al crollo
dell’Unione Sovietica. Questo libro, che si propone innanzitutto come
testo di “alta divulgazione”
ma non elude alcuni dei problemi di interpretazione storica che il
tema propone, va salutato come
un utile contributo alla ripresa di una discussione e di una verifica
critica, in sede storiografica ma
anche di dibattito politico, dell’esperienza del movimento comunista
in Europa.
Negli ultimi anni la pubblicistica sulla storia del “comunismo” è
stata largamente occupata da
testi di demonologia ed esorcismo, piuttosto che di analisi storica,
come quello di Furet, “Il
passato di un’illusione” (che pure contiene anche qualche riflessione
stimolante) o peggio ancora il
“Libro nero del comunismo”, fino all’impresentabile “Archivio Mitrokhin”.
Dal punto di vista metodologico Agosti critica, seppur con molto garbo,
lo scomparso Furet,
sottolineando che “un bilancio della storia del comunismo non può
essere tracciato facendo
ricorso al procedimento della reductio ad unum, attraverso la lente
dell’ideologia, di un fenomeno
storico che presenta aspetti di estrema complessità. Il
comunismo - aggiunge Agosti - non è stato
soltanto un’”illusione”, travolta dal fallimento dell’Unione Sovietica
e dei sistemi politici, economici
e sociali ad essa collegati, né solo la galleria di orrori dittatoriali
e di miseria morale e materiale cui
si ha ora la tendenza a ridurlo: è stato un movimento collettivo
che ha riguardato la vita di milioni di
persone e che ha assunto con gli anni un carattere sempre più
differenziato e meno unitario (...).”
Respinta l’impostazione di Furet, Agosti esprime il proprio debito
di impostazione alla “scuola
francese” di cui è stata capostipite Annie Kriegel la cui chiave
interpretativa dei PC fa interagire
due aspetti: 1) quello “teleologico”, finalistico, che anima la dimensione
ideologica e l’integrazione
in un movimento internazionale; 2) quello della dimensione sociétale,
ovvero l’inserimento dei
partiti comunisti nelle rispettive realtà sociali, tradizioni
istituzionali e cultura politica.
Non c’è qui lo spazio per percorrere l’intero arco storico e
tematico che il libro esamina, mi
limito pertanto a segnalare qualche spunto interessante. Innanzitutto
l’autore accenna giustamente
al fatto che la formazione del movimento comunista, pur influenzata
da due grandiosi avvenimenti
storici come la prima guerra mondiale e la Rivoluzione d’ottobre, aveva
radici in una articolazione
del mondo dell’Internazionale socialista, tra la sua anima più
moderata e istituzionale e quella
rivoluzionaria, preesistente ad essi. Per ricorrere ad una formulazione
attuale (che Agosti non
utilizza) la formazione di due sinistre era già in fieri, e
ciò rafforza la convinzione che l’esistenza di
una sinistra anticapitalista (non solo comunista) proprio perché
precedente alla stessa Rivoluzione
d’ottobre non chiude la sua storia con il crollo del “socialismo reale”.
Il passaggio cruciale nella formazione dei partiti comunisti, che Agosti
affronta con efficace
sintesi, è quello che vede la sconfitta dei tentativi rivoluzionari
e quindi la necessità che partiti nati
per “fare la rivoluzione” (“fare come in Russia” si traduceva nel senso
comune proletario) si
adattassero ad una situazione non più rivoluzionaria. E’ qui
che si inserisce la cosiddetta
“bolscevizzazione” che diventa anche stalinizzazione dei Partiti comunisti.
Sono questi gli anni
formativi di un modello di partito che durerà fino al 1956,
per poi entrare progressivamente in
crisi. All’interno di questo trentennio i PC europei si definiscono
secondo due modalità strategiche
quella della proiezione unitaria (Fronti Popolari e Resistenza), e
quella che uno studioso americano
ha definito del “going it alone” del “fare da soli” (periodo ultrasettario
del socialfascismo, fase del
patto Molotov-Ribbentrop, guerra fredda).
Agosti descrive i passaggi salienti della fase successiva in cui entra
in crisi l’unità del movimento
comunista ed emergono tentativi di riformulare una strategia di trasformazione
in senso socialista
del capitalismo (XX Congresso e vie nazionali al socialismo, 1968 e
primavera di Praga,
eurocomunismo).
Alla fine si ha il crollo del blocco socialista ma già prima
si registra una crisi complessiva dei PC
nell’Europa capitalistica. Per Agosti gli sconvolgimenti degli anni
’80 mettono in discussione “la
sopravvivenza della classe operaia” e scuotono “dalle fondamenta la
cultura politica che essa
aveva espresso fin dalla fine del secolo scorso, con il suo progetto
sociale e politico
modernizzatore fondato su ideali di fraternità di eguaglianza
e di giustizia”. In conclusione, pur
avanzando questo giudizio in forma dubitativa, Agosti vede nel permanere
in Europa di forze di
ispirazione comunista una realtà residuale, e qui però
si apre una riflessione che esce dalla
competenza della storiografia e che ha bisogno di essere incrociata
altri strumenti d’analisi (ed è
una conclusione che personalmente non condivido).