L' Italia degli anni Settanta vista da Washington - e ricostruita sui
documenti del Dipartimento di Stato, della Cia, dell' Fbi, della Casa Bianca
e di diversi fondi presidenziali - è più rassicurante di
come ci viene raccontata oggi dagli "storici" di corte e, nonostante il
ripetuto allarme per la "questione comunista", meno caricaturale rispetto
al pericolo rosso ancora oggi rilanciato dai tarantolati dell' anticomunismo.
Un paese confuso, instabile, guardato con diffidenza, ma non privo di risorse
inattese. Un' Italia sospesa - recita il titolo del nuovo saggio di Umberto
Gentiloni Silveri, professore di Storia contemporanea all' Università
di Teramo - né eterodiretta dagli Usa o da Mosca né portatrice
di una peculiarità autonoma nella cornice dell' Europa postbellica,
ma fisiologicamente calata dentro il quadro della guerra fredda (sottotitolo,
La crisi degli anni Settanta vista da Washington, Einaudi, pagg. 238, euro
28). Tra i numerosi nodi di quel decennio, da qualche tempo sotto la lente
della storiografia più agguerrita, può colpire la parabola
dell' intelligence Usa sulla "questione comunista". Se il compromesso storico
viene inizialmente osservato con molta apprensione per i rischi connessi
all' ingresso del Pci nel governo italiano, la severità del giudizio
tende a mitigarsi a conclusione del decennio. Ancora nel 1977 il futuro
ambasciatore a Roma Richard N. Gardner viene dissuaso da Henry Kissinger
dall' accettare l' incarico diplomatico in Italia «per non passare
alla storia come l' ambasciatore Usa che perde l' Italia finita nel campo
avverso». La presenza in Italia del più grande partito comunista
d' Occidente - sintetizza Zbigniew Brzezinski, assistente di Carter per
la sicurezza nazionale - è avvertita come «il più grave
problema politico degli Stati Uniti in Europa». Anche al principio
del decennio, la nuova legge sul divorzio era stata accolta dall' amministrazione
Usa con atteggiamenti contraddittori: da una parte si elogia lo Stato italiano
che «dopo oltre un secolo dalla sua nascita è finalmente riuscito
a darsi una limitata legislazione in materia di divorzio» - si legge
in una nota dell' intelligence redatta il 3 dicembre 1970 - dall' altra
se ne temono le conseguenze sulla tenuta del quadro politico, l' esplosione
di una "guerra di religione", soprattutto un' insidiosa collusione tra
Dc e Pci (come recita un memorandum del Dipartimento di Stato scritto nell'
aprile del 1970). Pur mantenendosi vigile per la cospicua presenza comunista
nella penisola, nella seconda metà dei Settanta l' amministrazione
americana soprattutto sotto la guida di Carter - si caratterizza per una
più articolata lettura del Pci, tenuto sempre distante dalla cabina
di comando, ma valorizzato nella sua progressiva autonomia da Mosca. La
svolta, nel rapporto con i comunisti italiani, è rappresentata nel
marzo del 1978 dal sequestro di Aldo Moro, l' altro artefice dell' intesa
tra i due grandi partiti popolari. Le carte del Dipartimento di Stato restituiscono
una crescente preoccupazione degli osservatori a Washington: la politica
di Moro era stata liquidata come "un ponte verso l' ignoto", ora il suo
rapimento diventa un "ponte verso l' abisso". Può essere significativo
il memorandum redatto il 27 aprile del 1978, ancora in parti consistenti
secretato, presentato la prima volta da Gentiloni nel corso di un convegno
sull' Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta. «Il timore
dell' abisso», spiega lo storico, «si fonda su due elementi
molto evidenti: l' assenza di Moro dalla vita politica e l' incapacità
del governo di trovare il leader imprigionato». Alle critiche degli
anni precedenti sull' uomo "sfuggente" ed "enigmatico", subentra il rimpianto
per le capacità di Moro di "garantire l' unità della Dc"
e di svolgere un ruolo di controllo nella collaborazione con i comunisti.
I quali - nei rapporti dell' intelligence - dismettono i panni del nemico
da combattere, per diventare le sentinelle dell' ordine democratico minacciato
dal terrorismo. Prima del sequestro Moro - documenta Gentiloni - «le
carte americane si interrogavano sui possibili rapporti dei brigatisti
con il Pci e con le centrali del comunismo internazionale. Fino al 1977,
con osservazioni anche superficiali, gli Usa tentano di evidenziare il
nesso tra fenomeni terroristici e settori della sinistra storica. Sarà
la collaborazione tra Dc e Pci nell' emergenza di quelle settimane a spostare
l' ottica dell' intelligence americana». Soprattutto dopo l' assassinio
di Moro mutano toni e giudizi all' indirizzo del partito di Enrico Berlinguer,
del quale vengono elogiate "la fermezza" e "la capacità reattiva".
Il leader comunista italiano cresce in affidabilità democratica,
come attesta tra gli altri un documento redatto dalla Cia nel giugno del
1982, dopo il colpo di Stato di Jaruzelski in Polonia. «Le continue
polemiche tra il Pci e Mosca hanno portato la relazione tra i due partiti
a un punto molto critico, fino a una probabile frattura ideologica»,
recita la nota. In altre parole, «Berlinguer è molto distante
da Mosca e lo sarà ancor di più», come si legge in
un altro resoconto. L' Italia sospesa restituisce anche il paziente lavoro
di tessitura da parte del Pci nei confronti del Dipartimento di Stato americano.
Vi sono impegnati uomini di punta, da Giorgio Napolitano a Pietro Ingrao
e Franco Calamandrei. Nutrita la mole di documenti, conservata all' Istituto
Gramsci, che fotografa le difficoltà iniziali nell' incontro tra
mondi lontani, anche i non pochi ostacoli incontrati da Napolitano nell'
ottenere il visto per gli Stati Uniti (cui fa riferimento il 20 maggio
del 1975 una lettera di Joseph La Palombara, politologo dell' Università
di Yale). Soltanto nel marzo del 1978 - nei giorni del sequestro Moro -
il futuro presidente della Repubblica riesce ad arrivare sul suolo americano,
ospite delle più prestigiose università e sotto i velati
auspici dell' amministrazione Carter. Tra i documenti ancora inediti in
Italia, può colpire una nota della Cia all' indomani dell' elezione
di Karol Wojtyla, il 16 ottobre del 1978. Tempestiva appare l' analisi
degli agenti. «Un papa polacco», si legge, «avrà
un effetto di lungo periodo su una grande varietà di questioni legate
ai rapporti statochiesa». E ancora: «Avrà un effetto
profondo sui partiti comunisti di paesi cattolici quali Italia, Francia
e Spagna. I comunisti di questi paesi potranno forse sentirsi più
liberi di manifestare la propria indipendenza da Mosca». Insomma,
la comparsa sulla scena mondiale di Giovanni Paolo II appare subito un'
autentica svolta, capace di mettere in discussione «le linee portanti
della politica sovietica, a partire dalla conclusione della seconda guerra
mondiale». Una scintilla che potrebbe rivoluzionare il vecchio continente,
aggiunge l' intelligence. Più che un' analisi, una profezia.
Simonetta Fiori, "la Repubblica", 24 giugno 2009