Didi Gnocchi, giornalista, autrice, tra le altre opere, de Gli squadristi
del 2000 (Roma, Manifesto libri, 1993), studio sull’estrema destra, dopo
il crollo del comunismo, ricostruisce, con un lavoro difficile e faticoso,
l’esistenza, avventurosa e quasi epica, di Edmondo Peluso, comunista napoletano,
tra i fondatori del PCI, esule in URSS e come tanti altri, finito nelle
carceri staliniane, nell’illegalità dei processi, sino all’esecuzione,
avvenuta il 19 febbraio 1942.
Molti, ormai, dopo un colpevole silenzio durato decenni, i testi sulle
persecuzioni subite, nei tragici anni trenta, da italiani esuli in URSS.
Per tutti, quello di Emilio Guarnaschelli, Una piccola pietra (prima edizione
Parigi, Maspero, 1979) o quello di Mario Giovana, Il caso De Marchi (Milano,
Franco Angeli, 1992) o, ancora, le testimonianze di Dante Corneli Persecutori
e vittime (1979) e Elenco delle vittime italiane dello stalinismo (1982),
ambedue, significativamente, stampate a cura dell’autore. Ovvio il
riferimento letterario, più volte, non a caso, citato da Didi Gnocchi,
al drammatico Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler.
Di Peluso, sino ad un anno fa, si conosceva a malapena solamente il
nome. L’autrice ne viene a conoscenza, per caso, a Mosca, in una conversazione
con lo storico Frederik Firsov. Scatta in lei il desiderio di ricostruire,
pezzo per pezzo, una vita che si intreccia con le grandi vicende del movimento
socialista dei primi del secolo: l’emigrazione, le lotte sociali, l’antimilitarismo,
l’opposizione alla guerra (Peluso partecipa alle conferenze internazionali
in cui il socialismo di sinistra tenta di riorganizzarsi, dopo la bancarotta
della Seconda Internazionale), il convulso dopoguerra sino alla fondazione
del PCI, l’avvento del fascismo e la scelta dell’esilio nella “patria del
socialismo”. Peluso è un viaggiatore instancabile, spinto alla conoscenza
di altri mondi (spesso l’autrice compie un parallelo con il Che), dall’America
all’estremo Oriente, ma anche desideroso di avventura. Si parla, ma non
è documentata, di una sua presenza nel ’27 in Cina, nel drammatico
massacro del movimento comunista.
Conosce grandi figure, quasi mitiche, dagli italiani Gramsci, Bordiga,
Togliatti a cardini del socialismo internazionale come Rosa Luxemburg,
Kautsky, Liebknecht, Bebel, Lafargue e la moglie, Laura Marx, al romanziere
Jack London.
Didi Gnocchi ricostruisce la sua esistenza, quasi come nel gioco del
domino e molti fatti si svelano come in un libro giallo. Va a Napoli, ritrova
i suoi parenti, sparsi in tanti paesi del mondo, ricerca, con pazienza
certosina, i documenti, visita il carcere in cui il comunista italiano
viene rinchiuso nel 1938. Emergono i verbali dell’interrogatorio, le tecniche
degli inquisitori, la fierezza dell’accusato che rivendica il suo passato
cristallino, l’impegno politico di una vita, l’opposizione al fascismo,
anche le carcerazioni in Italia e in Svizzera.
Peluso confessa dopo torture fisiche e morali. Poi ritratta. Il suo
giudizio sull’URSS è già cambiato prima dell’arresto. Appaiono
quasi ingenue e commoventi le iniziali valutazioni sulla costruzione del
socialismo, presenti nelle lettere ai familiari. Le scelte economiche dell’URSS
sono necessarie anche se dolorose: lì non esiste la disoccupazione,
la collettivizzazione delle terre porterà cibo per tutti (mentre
nei paesi capitalistici si soffre la fame), esiste il problema della coabitazione,
ma sarà risolto in breve tempo, quando l’industria pesante porterà
benessere al paese intero.
Significativa pure la certezza dell’imminente rientro in Italia. Il
fascismo cadrà entro breve tempo, travolto dalla crisi del capitalismo
e sarà sostituito dal potere del proletariato.
Queste speranze, queste certezze proprie anche di tanti intellettuali
europei che negli anni Trenta esaltano l’URSS (fa eccezione il solo André
Gide), lasciano spazio a considerazioni amare: il socialismo si è
trasformato in un potere personale che si regge sul conformismo, sulla
paura, sulla forza, , il peso della burocrazia è totale, il lavoro
non è liberato, l’informazione è asservita; si è spenta
anche la spinta internazionalista. L’animo ribelle e libertario del comunista
italiano non può piegarsi al dispotismo.
Il testo riporta alcune parti della autobiografia di Peluso, significativamente
intitolata Cittadino del mondo. In seguito, ancora nel 1940, scrive una
memoria difensiva in cui ritorna su tanti episodi della propria vita.
L’autrice non la ripercorre in ordine cronologico, ma mostrando il
cammino compiuto (conversazioni, ritrovamento di documenti, indizi, testimonianze)
in uno singolare intreccio fra l’URSS di ieri e la Russia di oggi.
Il fatto che una significativa personalità come quella di Edmondo
Peluso sia stata stroncata dalla burocrazia, dal dispotismo, da un meccanismo
oppressivo che ha divorato una intera generazione di rivoluzionari è
quasi metafora della degenerazione di una grande potenzialità, della
“eterogenesi dei fini” che il comunismo ha prodotto nella involuzione vissuta
negli anni Venti.
E’ grande merito dell’autrice avere riportato alla luce una bella figura,
sepolta dal tempo e da silenzi colpevoli.
Sergio Dalmasso