Gianni Alasia, Il caso della Venchi Unica. Un patrimonio dilapidato, Emmelibri, 2000, pp. 90, L. 15.000
 
Gianni Alasia è stato segretario della Camera del lavoro di Torino dal 1959 al 1974, in seguito assessore regionale al lavoro e all’industria, parlamentare. Il suo viaggio nella sinistra, iniziato a diciassette anni con l’iscrizione al Partito socialista, è continuato nel PSIUP, nel PCI, in Rifondazione.
Proprio in veste di assessore, Alasia ha seguito la vicenda della Venchi Unica, industria dolciaria torinese di grande tradizione, che in meno di dieci anni è stata smantellata, con la distruzione di un prezioso patrimonio di conoscenze e la sconfitta di un pezzo della classe operaia torinese.
Alasia ricostruisce questa pagina attraverso il suo diario (1976-1980) su cui appunta le assemblee, gli incontri, le conversazioni, gli avvenimenti spesso incalzanti e le impressioni su una brutta vicenda, segnata anche da tanti personaggi, imprenditori, avventurieri, faccendieri spregiudicati che si gettano sulla crisi di questa industria nella speranza di ricavarne buoni affari.
Fra questi spiccano Marcello Dell’Utri e Antonio Rapisarda che chiedono di acquistare l’area per tentare un’operazione speculativa (cambio della destinazione d’uso nel Piano regolatore). Significative e lungimiranti le annotazioni sul diario del 14 febbraio 1978 (il giorno del fallimento della fabbrica): Le banche e le informazioni ci dicono che è gente con un sacco di miliardi. L’origine è un po’ meno chiara. Operazioni immobiliari a Milano e Palermo. Rapporti colla Sicilia. Soldi riciclati da dove? I due, Rapisarda e Dell’Utri son certamente due tipi singolari, alla siciliana. Non han l’aspetto dell’industriale. (pg. 43)
L’autore ripercorre le manifestazioni, i cortei, le proteste, la rabbia dei lavoratori, il continuo modificarsi degli scenari e delle prospettive. Testimonia l’impegno del sindacato, della sinistra, degli enti locali sul tema del lavoro, davanti alle ristrutturazioni industriali che hanno investito, fra gli anni Settanta e gli Ottanta, non solamente il Piemonte. Testimonia, e la figura di Alasia ne è l’esempio più evidente, come il ruolo di dirigente sindacale possa non avere alcun aspetto burocratico o ufficiale, ma essere la proiezione di bisogni, esigenze, esperienze “dal basso”.
E’ una risposta, indiretta certo, a quanti, nella CGIL e nella sinistra politica, accusano il sindacato torinese di essersi attardato su posizioni “operaiste”, datate, incapaci di comprendere il cambiamento. L’esperienza di Alasia e di tanti militanti di base può essere utile e preziosa, ancora oggi.

Sergio Dalmasso