In vista della
presentazione del piano programmatico, la FLC anticipa alcune considerazioni su
quanto accadrà nella scuola.
Il piano del ministro
Gelmini per devastare la scuola statale
18-09-2008 | Scuola
Il comunicato stampa di Enrico Panini
Scarica il volantino sulle affermazioni del Ministro Gelmini
Avvio anno scolastico: un fascicolo per saperne di più
Venerdì 19
settembre verrà ufficialmente presentato alle organizzazioni sindacali il piano
programmatico del Ministro Gelmini che attua l'art. 64 della legge 133/08.
Tale articolo
pianifica la cancellazione di 130.000 posti di lavoro nella scuola nei prossimi
3 anni, fra docenti e personale ATA secondo le seguenti quantità: 87.000
docenti in meno da ottenere tramite un intervento sugli ordinamenti, sulla
didattica e sull'organizzazione delle scuole, 44.500 ATA in meno, corrispondente ad un taglio del 17%
dell'attuale organico.
Si tratta
dell'attacco più violento portato al sistema della scuola pubblica statale, che
mai sia stato fatto. Un attacco su cui occorre distogliere l'attenzione dei
cittadini, che potrebbero preoccuparsi e dissentire dall'operazione, per
distrarre dunque, parlando d'altro, si scarica una mole di paccottiglia
ideologica che si spaccia per riqualificazione della spesa per la scuola, senza
alcun pudore di esibire incompetenza e arroganza, facendo piazza pulita di
tutto ciò che la ricerca pedagogica ha prodotto in questi anni.
Siccome
la scuola italiana non è priva di criticità, soprattutto nel settore della
scuola secondaria di primo e secondo grado, è fin troppo facile impugnare le sue
problematiche per giustificare interventi draconiani.
Interventi che non scaturiscono però da un progetto di innovazione didattica e
ordinamentale che la scuola secondaria aspetta da tempo, ma da pura esigenza di
contenimento della spesa e di riduzione del servizio scolastico, secondo una
scelta politica che non investe in stato sociale e nei diritti, e mira ad
indebolire il servizio pubblico che c'è.
Le numerose
dichiarazioni del ministro Gelmini vogliono accreditare l'immagine di un
governo efficiente che aggredisce i problemi della scuola con strumenti di
ordine, là dove il disordine, l'inefficienza e lo spreco regnano sovrani.
Non si preoccupa di falsare i dati che il Ministero stesso offre circa, per
esempio, la spesa generale dello Stato per l'istruzione, e continua a
ripetere che la spesa è fuori controllo e che si spende il 97% in stipendi,
come a suggerire che una massa di insegnanti nullafacenti sta sottraendo i soldi al
funzionamento della scuola, oppure usa i dati OCSE per dire che il numero dei docenti in Italia è nettamente superiore alla media
europea, e dunque il taglio si legittima perché tutto ciò che è in più è
spreco.
Ma i dati vanno
letti correttamente, lo abbiamo fatto e ne abbiamo ricavato che la spesa per
l'istruzione cala sistematicamente dagli anni '90, che per lo stipendio dei
docenti si spende il 78% della spesa totale e in quanto ai dati OCSE, a partire
dal fatto che sono difficilmente comparabili sistemi diversi, va tenuto conto
che negli altri paesi europei non è lo stato che paga gli insegnanti di
sostegno, non ci sono i docenti di religione cattolica e spesso il personale
ATA è pagato dalle comunità locali, così come alcune figure di insegnanti.
E' così che il
ministro Gelmini spera di far passare il massacro della scuola elementare e la restaurazione bacchettona sull'onda
di un "amarcord" a base di grembiulini, maestrine dalla penna rossa,
la minaccia della bocciatura, strumento assolutamente inefficace per chi ha
problemi di socializzazione, e un semplicistico ritorno ai voti al posto di una
valutazione più complessa, ma didatticamente più valida.
E' così che il
ministro riduce la scuola dell'infanzia e la scuola elementare a servizio
minimo, solo mattutino, mettendo in seria difficoltà le famiglie e, con uno
stratagemma, riduce le già poche risorse per l'istruzione degli adulti, abbassando ulteriormente la già
bassa soglia del nostro Paese, di adulti in formazione.
E' così che il
ministro taglia un numero impressionante di posti di lavoro, affermando che la scuola non è un
ammortizzatore sociale e che dunque la perdita di 130.000 posti di lavoro non è
un suo problema.
Venerdì dunque
il Ministro presenterà alle organizzazioni sindacali un piano programmatico di
tagli nella scuola, piano di cui si conosce abbondantemente il contenuto, e che
infierirà un colpo durissimo alla scuola statale, dunque alla delicata e
fondamentale funzione costituzionale che essa ricopre.
Il ministro ha detto esplicitamente che "Abbiamo bisogno di liberare
risorse per poter garantire la libertà di scelta alle famiglie", ecco la
scelta politica che sta a monte di tale decisione, chiudere con il peso
economico della scuola statale per tutti, per svenderla al privato.
La FLC Cgil non
è di questo avviso e farà tutto ciò che sarà possibile per impedire questa
deriva.
Roma, 18
settembre 2008
_____________________
Dal complesso
dei provvedimenti prefigurati dal Ministro Gelmini, sia tramite il D.Legge 112
convertito in legge 133/2008 sia tramite il D.Legge 137/2008 che attende la
conversione in legge, la scuola media statale esce impoverita e deprivata sia
sul piano culturale sia sul piano delle risorse.
Dal Decreto
legge 137/2008, se convertito in legge, alcuni cardini pedagogico-didattici che
hanno costituito un campo di innovazione e ricerca, su cui ancora molto è da
esplorare e che è terreno specifico di sperimentazione e ricerca, vengono
azzerati con un impossibile ritorno alla scuola che fu, e che fu prima della
scolarizzazione di massa e dei nuovi programmi del 1979.
Il voto
numerico come il voto in condotta, presentati come strumento di chiarezza e
di lotta al bullismo, eludono da un lato i problemi della valutazione, che è
fatto formativo per eccellenza e non fatto classificatorio e sanzionatorio,
dall’altro i problemi della “gestione colta e competente” della difficoltà
della preadolescenza, di per sé età di crisi, e in particolare della
preadolescenza del nostro tempo, sempre più smarrita e bisognosa di relazione
all’altezza delle sue complessità.
Voto decimale e voto di condotta sono un ritorno all’ordine, buono per una
politica, buono per una stagione e per una ”pulsione” del momento dell’opinione
pubblica, ma è fatto destinato a lasciare macerie dietro di sé, perché
inadeguato e anacronistico.
Lo specifico
insegnamento di “cittadinanza e costituzione” è sempre stato dentro i
programmi e le indicazioni di vario orientamento varate negli ultimi anni.
Una sua specifica quantificazione oraria e valutazione mal si concilia, però,
con due fatti: il primo è il disprezzo culturale per il “buon comportamento
civico” di larga parte dello schieramento politico che propone tale cambiamento
(per non parlare del vero e proprio disprezzo per la costituzione che percorre
i capi dell’attuale maggioranza); il secondo è la riduzione annunciata del
tempo scuola nella secondaria.
Nella scuola media, la quale, secondo i piani che incominciano a circolare,
deve avere 29 ore settimanale (e forse 27), occorre ritagliare nelle attuali
materie di storia e geografia la specifica ora di educazione alla cittadinanza.
Più materie e meno orario mal si conciliano. Senza parlare del fatto che
sarebbe bastato, mantenendo le 30 ore settimanali dell’ordinamento pre Moratti,
riformulare la scheda valutativa con specifica valutazione dopo aver
programmato un’apposito corso formativo per il corrispondente insegnamento.
Dalla Legge
133/2008 (ex 112) emerge la volontà di fare cassa per cui nessun segmento
dell’attuale ordinamento scolastico italiano si salverà: neppure la scuola media.
Dalle prime
bozze di “devastazione programmata” che circolano la scuola media deve
contribuire con una riduzione del tempo scuola.
Il modello di tempo normale pre Moratti di 30 ore, che con
l’insegnamento della seconda lingua straniera veniva portato a 33 ore, deve
cedere il passo ad un modello di 29 ore, bene che vada, o ad un modello di 27.
Nell’uno e nell’altro caso (29 o 27 ore settimanali) occorre ritagliare l’ora
di “cittadinanza e costituzione” e l’ora di religione cattolica: viene espunta
la seconda lingua straniera.
Il modello di tempo prolungato verrebbe ricondotto unicamente a 36 ore,
con prolungamento didattico per almeno tre giorni settimanali, e solo se i
comuni possono assicurare la mensa.
Fremo restando che il tempo prolungato ha senso solo se prevede almeno tre
permanenze pomeridiane, non è utile coartare le volontà e le possibilità delle
scuole e dei territori: si potrebbe scegliere anche un modello di 40 ore o un
modello senza mensa laddove vi è una richiesta reale delle famiglie e laddove
nei piccoli centri è possibile praticare il ritorno a casa per il pranzo.
L’organico arricchito del tempo prolungato (di 36 o di 40 ore) favorisce
l’individualizzazione dell’insegnamento e l’affrontamento delle ordinarie
emergenze delle scuole che lo richiedono nelle zone più deprivate (presenza del
deficit socioculturale, presenza di immigrazione, aree a rischio).
Il suo superamento non fa bene alla scuola italiana.
Pertanto, oggi i modelli, certamente da riqualificare soprattutto in funzione
della colmatura del deficit che fanno registrare i nostri preadolescenti nelle
rilevazioni internazionali, devono essere due: 33 ore comprensive della seconda
lingua comunitaria e 36 o 40 ore come tempo prolungato.
Affrontare le difficoltà della scuola media con i tagli (disinvestimento) è
quanto di più illogico e insano si possa concepire.
Le
dichiarazioni del Ministro Gelmini e le bozze non ufficiali, in circolazione,
del piano programmatico attuativo dell’art 64 del decreto legge 112/08,
convertito nella legge133/08, fanno emergere proposte di cambiamento della
scuola superiore fortemente preoccupanti, che dovrebbero essere attuate già
dall’a.s. 2009/10.
Questa tempistica è il primo degli elementi profondamente negativi del piano,
dato che tutte le profonde e devastanti modifiche lì ipotizzate non hanno un
anno di tempo per essere discusse,comprese e realizzate, come può apparire, ma
solo tre mesi, visto che le scuole secondarie devono definire la propria
offerta formativa entro dicembre 2008, per consentire poi ai giovani e le loro
famiglie di scegliere la scuola cui iscriversi entro gennaio del nuovo anno.
E’ evidente che se il Governo mantenesse quella tempistica, sarebbe il caos ed
il caso a presiedere le iscrizioni, vista l’assoluta impossibilità a praticare
quei cambiamenti in quell’arco di tempo!
I contenuti di questa massiccia operazione di “razionalizzazione”, ripensamento
dell’impianto della secondaria, “in termini di massima semplificazione” e di
“essenzializzazione” (termine di nuovo conio!!!), saranno definiti sulla base
dell’esigenza del risparmio della spesa, che implica una riduzione di tutti i
quadri orari, senza nessuna attenzione a scelte di carattere
pedagogico/didattico o sociale.
Ne risulta un massacro di organico che riguarda tutti gli indirizzi della
secondaria superiore, che non risparmia nessuno, dal momento che si dichiara
esplicitamente che quei criteri riguarderanno anche il sistema dei licei.
Il tutto è sapientemente mascherato da alcune argomentazioni di facile presa in
un’opinione pubblica ormai addomesticata dai processi di semplificazione che,
nascondendo la complessità dei problemi e delle soluzioni da adottare, rendono
più difficile il controllo sociale sulla reale portata delle decisioni che
finiranno per deprimere la qualità non eccelsa dell’attuale scuola secondaria,
per di più aumentandone il carattere selettivo sul versante sociale ed
educativo.
La riduzione di tutto (orari, discipline, risorse e personale), che il ministro
sta ipotizzando si traduce solo in una pesante penalizzazione per tutti sul
versante dei saperi ed in un aumento della selezione e della dispersione
scolastica per i più deboli, qualsivoglia sia la causa della loro condizione.
Ci troveremo a gestire tra tre mesi anche la definizione dei nuovi organici
determinati sulla base dei nuovi parametri in un clima di confusione derivante
degli accorpamenti delle classi di concorso.
Se, per un verso, ad esempio, c’è la necessità di intervenire rispetto ai circa
900 indirizzi oggi presenti nell’istruzione tecnica e professionale e sul
carico orario settimanale, in molti casi ridondanti e insostenibili per un
apprendimento proficuo, quel piano, ancora da definire nei suoi contenuti
specifici (quali indirizzi dell’istruzione professionale confluiranno
nell’istruzione tecnica; quali classi di concorso saranno accorpate; quali
discipline spariranno o vedranno ridotte il proprio orario; che fine faranno le
già scarse attività laboratoriali?) dice solo che sarà aumentato il rapporto
alunni/docenti, con il conseguente aumento del numero di alunni per classe,
saranno ridotte le ore di lezione ed il numero delle discipline, accorpate
classi di concorso, evidentemente con criteri da bilancino del farmacista, e
non sulla base di attente valutazioni sui saperi necessari per la cittadinanza
in una società complessa e sui contenuti epistemologici delle discipline.
Non è dato sapere i criteri che ispireranno la riduzione degli indirizzi e la
confluenza delle eventuali sovrapposizioni dall’istruzione professionale
nell’istruzione tecnica. Perché non il contrario?
L’istruzione professionale risulterà fortemente ridotta nelle tipologie,
contraddicendo l’impegno, assunto su altri tavoli, per il sostegno e la
formazione di professionalità in aree strategiche per il rilancio del processo
produttivo italiano.
L’ipotesi del monte ore settimanale di 32 ore, la revisione e la riduzione del
ruolo degli insegnanti tecnico pratici licealizza nei fatti i percorsi, facendo
venir meno la componente laboratoriale, tecnico – professionale, caratteristica
fondamentale di questi indirizzi.
Sostanzialmente si ritorna all’ipotesi della Moratti e del decreto 226 /05,
annullando il percorso di revisione e riqualificazione presenti nell’art 13
della legge 40/07, che prevedeva di mantenere nell’istruzione professionale,
d’intesa con le regioni, anche percorsi di durata triennale. Questa prospettiva
verrebbe del tutto smantellata, costringendo chi non è interessato al titolo
quinquennale ma ad una certificazione spendibile nel mondo del lavoro ad
assolvere l’obbligo d’istruzione nella formazione professionale.
Altro che libera scelta!
Il tutto diventa ancora più confuso con l’eventualità, al momento accantonata
ma comunque presente nel piano, di strutturare per il futuro l’intero percorso
superiore su 4 anni!
Saremo in presenza di percorsi già profondamente ridotti nella loro consistenza
oraria (30 ore settimanali medie per i licei e 32 per gli istituti tecnici e
professionali), che subiranno un’ulteriore prossima riduzione annua, senza
alcuna valutazione sulle ricadute sul percorso educativo dei giovani.
Tutte operazioni fuori da una visione strategica del ruolo della scuola
pubblica per la crescita democratica e lo sviluppo del Paese, fatte per
esigenze di risparmio e che pagheranno per primi i giovani ed i lavoratori della
scuola.
Ripetutamente
il ministro Gelmini, per giustificare i tagli drammatici che stanno
stravolgendo la scuola concertate con il duo Tremonti Bossi, ha dichiarato che
la spesa per la scuola in Italia rappresenta una anomalia rispetto al resto
dell'Europa, che sarebbe fuori controllo ed in costante aumento, che è
inaccettabile il fatto che ben il 97% della stessa sia destinate alle
retribuzioni del personale.
E’ falso. Infatti, secondo lo studio Ocse Oecd Education at a Glance 2008 con
l’aumentare in gran parte dei paesi dell’Ocse del numero degli studenti che
completano l’istruzione secondaria, la spesa per l’istruzione è notevolmente
cresciuta in tutti i paesi sia in termini assoluti che di percentuale di
bilancio”. Tra il 2000 e il 2005 questa crescita ha raggiunto il 19%. Ma
l’Italia è ben al di sotto di sotto. Infatti, sempre secondo questo studio
complessivamente l’Italia risulta nelle fila dei paesi che spende meno in
istruzione: soltanto il 9,3 % (dato del 2005). Infatti, al di là degli aumenti
per il rinnovo dei contratti, tutti sappiamo che le diverse finanziarie hanno
operato forti riduzioni su tutte le voci di spesa della scuola.
La spesa del bilancio del Ministero dell’Istruzione per l’istruzione per il
2008 risulta 42,4 miliardi. Di questi, secondo la Gemini il 42 miliardi (da qui
il 97%) sono dovute a spese di personale. Ma quando si parla di cifre bisogna
essere precisi. Infatti le spese di personale in realtà sono 40,1 miliardi come
si legge dalle tabelle sul sito Miur. Comunque anche questo dato nasconde una
mistificazione, infatti la Gelmini inserisce in questa voce anche i circa 3
miliardi inviati alle scuole per il miglioramento dell’offerta formativa.
Dunque, questa percentuale si riduce e scende sotto la media europea.
Ora, la verità è che la spesa per l’istruzione a carico dello stato (42
miliardi) è pari all'80,4% della spesa totale sulla scuola che nel nostro paese
è di circa 52 miliardi per l’apporto degli EE. LL: per mensa ed edilizia
scolastica.
Esattamente come in Europa, visto che la media OCSE - comprendente paesi anche
al di fuori dell'Europa, come Stati Uniti, Giappone, Corea- è pari al 79,9%.
Allora non vi è nessuna anomalia. L’anomalia sta nel voler far cassa e che per
far ciò si manipolino i dati o si falsificano.
MA CON LA
SCUOLA NON SI DEVE FAR CASSA E, COME E’ SEMPRE AVVENUTO, TUTTI GLI EVENTUALI
RISPARMI CHE NON POSSONO ESSERE IN OGNI CASO RAGGIUNTI CON LA DEVASTAZIONE
DELLA SCUOLA PUBBLICA, DEVONO RIMANERE ALLA SCUOLA
NON UN EURO DEVE USCIRE DALLA SCUOLA
E ANZI SI RICHIEDONO INVESTIMENTI MASSICCI PER L’ITALIA DELLA CONOSCENZA IN UN
MONDO DELLA CONOSCENZA
In conclusione
la spesa sulla scuola non è fuori controllo ma è aumenta bene al di sotto della
media solo per effetto dei rinnovi contrattuali. Un diritto sacrosanto dei
lavoratori.
Anzi essa è drasticamente e costantemente diminuita in questi ultimi dieci
anni.
Infatti la spesa sulla scuola negli anni novanta era circa il 3,9-4.0% del PIL
e nel 97-98 si era già ridotta a circa il 3.0% del PIL. Ora, 10 anni dopo, è
circa al 2,8% sempre del PIL.
Quindi è falso dire, come fa il Ministro che la spesa è fuori controllo, come è
falso anche dire che essa aumenta continuamente.
Il Ministro dovrebbe prima documentarsi e poi leggere attentamente i dati.
Infine invitiamo la Ministra ad essere precisi anche sul numero degli addetti.
Questi non sono 1.300.000 come va sempre dicendo ma non superano i 1.125.975
compresi i precari come si legge dalla pubblicazione del Miur “La scuola in
cifre”.
Il piano
programmatico del Ministro Gelmini comporterà lo stravolgimento della rete
scolastica. Questo significa che verranno chiusi molti punti di erogazione del
servizio (dove ci sono gli alunni) con ricadute pesanti sia sull’occupazione
che sull’organizzazione del lavoro. Già adesso, per effetto dei continui tagli,
i docenti aprono e chiudono direttamente le scuole nei piccoli centri. Un duro
colpo verrà dato alla sicurezza delle scuole dal momento che gli assistenti
tecnici non avranno più ore disponibili per mantenere in efficienza e in
sicurezza i laboratori dove gli alunni svolgono le esercitazioni didattiche. Ad
esempio dopo tutta l’enfasi sull’informatica non ci sarà nessun investimento
sul sistema informativo delle scuole che invece è sempre più determinante nelle
operazioni di gestione del personale e della didattica.
Le cifre – meno
44.500 posti - sono drammatiche e mandano un messaggio culturale negativo su
questo personale che invece ha un ruolo importante nell’innovazione per quanto
riguarda la vivibilità dell’ambiente e la qualità delle relazioni con gli
alunni, con i docenti e con i genitori. Ma così non sarà più se andrà avanti il
progetto della Gelmini che vuole affidare i servizi scolastici a ditte esterne.
Le ricadute sul
personale saranno molto negative. In concreto, oltre al soprannumero e alla
perdita del lavoro dei precari anche il concorso ordinario per Dsga non verrà
più bandito perché non ci saranno più posti liberi da coprire. Questo sarà un
grave danno alla professionalità di questa figura che da dieci anni non ha
avuto alcun ricambio. I tagli riducendo i posti disponibili manderanno in fumo
le aspettative di molti colleghi che da anni aspettavano i corsi concorsi per
passare ai profili superiori.
La FLC Cgil è
impegnata a fermare lo stravolgimento che si vuole operare in questo settore e
ritiene che per la qualificazione del sistema scolastico siano necessarie la
valorizzazione delle competenze e le specificità dei vari profili.
Infatti, la
scuola va concepita come un grande sistema unitario in cui tutti i soggetti
hanno un ruolo che va qualificato e differenziato.
Il comma 9
dell'art. 64 della L. 133/08 prevede che solo una parte dei risparmi derivanti
dai tagli nella scuola venga destinato ad "incrementare le risorse
contrattuali per la valorizzazione e sviluppo professionale della carriera del
personale" a decorrere dal 2010.
Come noto il taglio complessivo previsto nel triennio comporterà risparmi
complessivi nella spesa per l'istruzione di circa 8 miliardi di euro.
Ma solo una minima parte di questo risparmio e cioè circa 950 milioni di euro
verrà utilizzato per valorizzare il personale. In realtà si vogliono introdurre
elementi di meritocrazia.
Se, per via di ipotesi, ripartiamo tale cifra, sul 30% della categoria (quella
da premiare) l’aumento sarebbe di 150 euro lordi. Un piatto di lenticchie che è
difficile spacciare per "valorizzazione e sviluppo professionale della
carriera del personale".
E non bisogna dimenticare che lo stesso Ministro ha più volte dichiarato che lo
stipendio degli insegnanti va portato a livello degli insegnanti europei. Siamo
d’accordo. Ma allora c’è da dire che dividendo questa cifra per tutti gli
addetti l’aumento sarebbe di circa 70 euro lordi mensili. In questo caso non ci
si comprerebbero nemmeno le proverbiali lenticchie che almeno sfamarono Esaù,
ma sarebbero solo elemosina senza contare che ne è escluso il personale di
segreteria, gli assistenti di laboratorio e i collaboratori scolastici.
Se poi si tiene conto che il Ministro Gelmini ha già ipotecato una parte di
questi risparmi all’aumento del tempo pieno e all'aumento di orario frontale
del maestro unico per coprire l'orario a 24 ore degli alunni, è del tutto evidente
che ciò che rimarrebbe sempre per la " valorizzazione e sviluppo
professionale della carriera del personale" basterebbe al massimo per una
ciotola di cicoria amara e scondita.
Il piano
programmatico di attuazione del taglio di personale previsto dalla legge 133,
ha coniato un neologismo per nobilitare l'operazione e farla apparire neutra
rispetto al massacro che si propone.
La parola è "essenzializzazione" ed è da applicarsi ai piani di
studio e ai carichi orario, così verranno essenzializzati anche i posti, le
discipline, il tempo scuola, l'offerta formativa.
Per le risorse umane la formula è: "Razionale ed efficace utilizzo".
Nel rivedere
gli ordinamenti della scuola elementare, si darà attuazione all'art. 4 del DL
137, che prevede il ritorno al maestro unico a partire dal 1 settembre 2009 e
la riduzione del tempo scuola a 24 ore contro le attuali 30 dei moduli e 40 del
tempo pieno.
La scuola sa
che alla base della riforma degli ordinamenti che risale al '90 e che
introdusse i moduli in tutte le scuole elementari non funzionanti a tempo
pieno, vi fu una lunga e accurata ricerca didattica, che si è alimentata del
contributo di illustri pedagogisti, del consenso dei docenti, del contributo
culturale del tempo pieno, di anni di sperimentazione e di pratica sul campo,
che si è dimostrata efficace a garantire gli ottimi risultati di apprendimento
testimoniati dalle ricerche internazionali.
Oggi però i pedagogisti dell'ultima ora dicono che: "il modello
didattico e organizzativo del maestro unico appare più funzionale
all'innalzamento degli obiettivi di apprendimento, con particolare riguardo
all'acquisizione dei saperi di base, favorisce l'unitarietà dell'insegnamento
soprattutto nelle classi iniziali, rappresenta un elemento di rinforzo del
rapporto educativo tra docente e alunno, semplifica e valorizza la relazione
fra scuola e famiglia. ….inoltre…. si avverte il bisogno di una figura unica di
riferimento con cui l'alunno possa avere un rapporto continuo e diretto".
Pedagogia casereccia.
Se i risparmi
ottenuti con la riconduzione alle 24 ore di funzionamento, saranno consistenti,
se la dotazione organica lo permetterà, si potrà andare incontro alle richieste
delle famiglie per un orario di 27 ore o di 30 ore o addirittura per un
estensione di 10 ore settimanali, comprensive della mensa.
E il tempo pieno? È il modello spezzatino previsto dal D.lgs 59/04, già a suo
tempo rispedito al mittente da scuole e movimenti. Ma solo nella migliore delle
ipotesi, perché l'aumento dell'orario è comunque subordinato alle disponibilità
di organico.
In quanto
all'insegnamento della lingua inglese, basterà un piano di formazione di
150/200 ore tenuto dai docenti di lingua inglese della scuola media, per
considerare professionalmente pronti i docenti della scuola elementare ad
insegnare la lingua inglese. Nel frattempo, solo per un anno, potranno essere
ancora utilizzati gli insegnanti specialisti.
Ai figli del popolo deve bastare una scuola di 24 ore a cui si può aggiungere
qualche ora, se ci sono i soldi, e una infarinatura di lingua straniera. Quelli
che possono integreranno con mezzi propri.
Così la Costituzione, che si imparerà a scuola, verrà tranquillamente violata
in uno dei suoi principi fondamentali, quello dell'uguaglianza dei cittadini.
Tradotto in
numeri, le tabelle indicano che il primo anno dovrà garantire un risparmio di
14.000 posti comprensivi anche dei posti per la lingua inglese (4000), il
secondo anno un risparmio di 7900 posti (4000+3900) e il terzo anno di 3300
posti di lingua inglese.
Anche la scuola
dell'infanzia sta per essere pesantemente travolta (e stravolta) dalle misure
imposte dal ministro dell'economia con l'art. 64 del decreto Legge 112/08, che
troverà la sua attuazione nel piano programmatico che il ministro
dell'istruzione illustrerà alle Organizzazioni sindacali nell'incontro fissato
il 19 p.v..
Sembrava che la
scuola dell'infanzia potesse uscire, se non indenne dall'assalto che il governo
ha messo in atto contro la scuola italiana, almeno senza interventi tali da
cancellarla come invece sembra leggendo la bozza del progetto Tremonti. Sembra
incredibile che ciò stia accadendo davvero ma di fatto si rischia di cancellare
quarant'anni di buona scuola, il primo segmento del sistema formativo del
nostro Paese, riportando la scuola dei bambini dai tre ai cinque anni alle
prime esperienze della fine dell'800 con la nascita degli '"asili
infantili".
Nel piano
programmatico, infatti, la scuola dell'infanzia viene azzerata e se ne disegna
una con caratteristiche che, non solo rimandano agli asili infantili, che pure
furono esperienze pioniere, insieme a quelle di alcuni comuni, di un percorso
lunghissimo fatto prima di sola assistenza poi, via via nel tempo, di veri
confronti, approfonditi studi dell'età evolutiva del bambino, ricerche
pedagogiche e didattiche, sperimentazioni, coinvolgimento e condivisione di
lavoratori, istituzioni e società civile che ci ha portato alla scuola
dell'infanzia statale di oggi - sì, proprio quella che ci invidiano in tutta
Europa e che quest'anno compie i suoi primi (ed ultimi) quarant'anni. Davvero
un bell'anniversario!
Di seguito la
traduzione pratica del Tremonti-Gelmini pensiero per la scuola dell'infanzia:
- l'orario
obbligatorio diventa quello solo antimeridiano (definito oggi, a legge vigente:
"tempo ridotto") con l'impiego di una sola unità di personale
docente;
- l'"economia di ore" derivanti dall'azzeramento del tempo
normale di 8 ore comporterà un esubero di insegnanti che consentiranno di
attivare altre sezioni. Si spaccia, nel modo più spudorato, questa
operazione come una progressiva generalizzazione della scuola dell'infanzia;
- oltre al ripristino dell'anticipo per i bambini di 2 anni, previsto dalla
legge Moratti n. 53/03 e abolito dalla L.F. del 2007, nei piccoli comuni e
piccole isole, come nelle situazioni dove non esistono strutture educative per
la prima infanzia, per poter arrivare al numero utile per l'apertura di una
sezione si iscriveranno i bambini di 24-36 mesi;
- la prosecuzione e lo sviluppo delle cosiddette "sezioni primavera"
per soddisfare ulteriori richieste di servizi. Questa esperienza, frutto di
un (travagliato) accordo tra Stato e Regioni, è limitata al solo a.s. 2008-2009
e per la sua prosecuzione necessita di uno nuovo e specifico accordo.
Non solo il
ministro dell'istruzione avanza inesistenti (e suggerite) motivazioni
pedagogiche per nascondere le vere ragioni del ritorno al maestro unico, anche
nella scuola dell'infanzia ma, nel farsi portavoce delle scelte dei ministri
che contano, cerca di vendere come innalzamento della qualità della scuola,
compresa quella dell'infanzia, la vergognosa scelta di fare cassa anche sulla
pelle dei bambini più piccoli, cittadini che non hanno voce per reclamare
diritti e per i quali può bastare il ricovero mattutino nella rinata "scuola
materna".
A proposito, che dirà il ministro Gelmini alle famiglie che non potranno più
contare su una vera scuola per i loro figli, in termini di qualità e di tempo
scuola adeguato? Forse risponderà che i cittadini devono capire che si sta
lavorando per il futuro dei loro figli, soprattutto di quelli che hanno i
genitori separati (!) e che devono partecipare in prima persona a questo grande
progetto: che chiamino una baby sitter o iscrivano i figli a scuole private che
garantiscono tempi lunghi di funzionamento (anche con i soldi pubblici!),
oppure si riuniscano in fondazioni private e assumano tate o comunque qualcuno
che "tenga buoni" i piccoli fino al rientro di mamma e papà. Non
avete soldi per tutto questo? Allora, potrebbe consigliare: "non fate
figli, sareste dei genitori irresponsabili"!
I centri di
educazione per gli adulti, ristrutturati in Centri provinciali per l’istruzione
degli adulti dal decreto Fioroni del 25 ottobre 2007 e non ancora applicato,
sono oggetto di rivisitazione alla luce delle indicazioni presenti nel dl
112/08.
Il piano programmatico del Ministro Gemimi prevede, infatti, il dimensionamento
delle istituzioni scolastiche nel rigido rispetto dei parametri previsti dalla
normativa vigente, ed in tale contesto va inserito anche il conferimento
dell’autonomia ai neo centri provinciali per l’istruzione degli adulti.
Da ciò discenderà un ampliamento del bacino di intervento dei neo centri
provinciali, con una centralizzazione territoriale di un’offerta che, al
contrario, avrebbe necessità di essere garantita in modo diffuso per consentire
all’utenza più debole di raggiungere agevolmente le sedi in cui si eroga
formazione.
L’autonomia scolastica si concretizzerebbe, così, solo in termini di dirigenza
scolastica, in particolare nelle piccole province non corrisponderebbe ad un
ampliamento dell’offerta formativa per gli adulti, che è la necessità da cui si
è partiti per la riorganizzazione dei centri territoriali.
Lascia esterrefatti, inoltre, delle proposte ministeriali, la razionalizzazione
delle già scarsissime risorse umane in questo settore.
Verrà riconsiderato, infatti, l’assetto organizzativo dei centri, prevedendo
“un numero contenuto” di materie d’insegnamento, ancora più ridotto rispetto a
quello già previsto nel precedente decreto, che aveva riportato l’organico solo
su discipline strettamente legate all’ordinamento, tanto che anche il nome dei
centri era stato modificato da “centri per l’educazione degli adulti” in
“centri per l’istruzione degli adulti”.
La totale sottovalutazione, da parte dell’attuale ministro all’istruzione,
della rilevanza civile, sociale ed economica di questi percorsi formativi per
gli adulti è confermata dalla precisazione, contenuta nel piano, che gli
organici saranno determinati “in funzione della serie storica degli alunni
scrutinati e non quelli iscritti, privilegiando percorsi brevi ed essenziali” e
che gli eventuali docenti soprannumerari non potranno essere utilizzati in
corsi non ordinamentali. Altro che formazione funzionale!
Viene così confermata l’intenzione di non considerare in alcun modo le esigenze
formative delle fasce deboli della popolazione adulta (i precari, gli
immigrati, gli anziani) a cui sicuramente non interessa di “essere scrutinati”
ma di apprendere per poter esercitare pienamente il diritto alla cittadinanza
attiva.
Il piano programmatico
è l'ultimo tragico regalo che il governo Berlusconi fa ai precari della scuola.
Con il taglio di 130.000 posti di docenti e ATA nei prossimi anni i primi a
pagare saranno i supplenti per il quale si prospetta un vero e proprio
licenziamento in tronco.
Non si tratta di entità astratte ma di persone in carne ed ossa che da
settembre 2009 non percepiranno più lo stipendio. E non si tratta di poche
unità, ma di migliaia di lavoratori che, da anni, garantiscono il funzionamento
delle scuole e che da un giorno all'altro saranno brutalmente espulsi senza
nessun ammortizzatore.
Dai primi calcoli, solo nel 2009, 27.000 docenti e 9.000 ATA non lavoreranno
più. Diventeranno più povere le loro famiglie e diventerà più povera la scuola
che non potrà contare su risorse nuove perché il piano Tremonti/Gelmini azzera
nei fatti le immissioni in ruolo previste dal Governo Prodi.
Ha un bel da dire la Ministra che riaprirà le graduatorie per i docenti del IX
ciclo SSIS: per fare cosa? per allungare la schiera di aspiranti docenti che
non troveranno lavoro per i prossimi decenni, visto che non ci saranno più
assunzioni!
Altro che merito e ringiovanimento della scuola: sarà una vera e propria
restaurazione ai danni dei bambini e dei lavoratori precari che dopo anni di
attesa vedranno delusa ogni aspettativa di stabilizzazione e perfino di lavoro.