Ha iniziato il Ministro Brunetta annunciando
che presenterà una proposta per alimentare una "virtuosa" concorrenza
tra atenei. Si è detto d'accordo il Ministro ombra Linda Lanzillotta (Pd) e a
portare il tema in Parlamento ci ha pensato la Lega.
Tecnica della scuola: Abolire il valore legale
del titolo di studio? Sì bipartisan e il dibattito si accende
11-01-2009
di Alessandro Giuliani |
Ha iniziato il Ministro Brunetta annunciando
che presenterà una proposta per alimentare una "virtuosa"
concorrenza tra atenei. Si è detto d'accordo il Ministro ombra Linda
Lanzillotta (Pd) e a portare il tema in Parlamento ci ha pensato la Lega. Ad
opporsi molti studenti, docenti e rettori: il timore è l'esplosione di corsi
privati dall'incerta qualificazione in un "mercato formativo"
sottomesso a logiche economiche. |
Sale il numero di fautori
dell’abolizione del valore legale del titolo di
studio: al punto che nelle passate settimane si sono schierati a suo favore
rappresentanti politici di fazioni opposte. Ha iniziato il Ministro della
funzione pubblica, Renato Brunetta, annunciando che per arginare il
proliferare delle cattedre nelle università e ottimizzare la gestione delle
risorse presenterà “una proposta per l'abolizione del valore legale del
titolo di studio”: l’azzeramento del titolo di
laurea comporterebbe una "virtuosa" concorrenza tra gli atenei. Con
un certo stupore, qualche giorno dopo, si è detto pienamente d'accordo con
Brunetta il Ministro ombra, sempre della funzione pubblica, Linda Lanzillotta
(Pd). Il Ministro in carica non si è di certo lascito sfuggire l’occasione ed ha subito invitato Lanzillotta a firmare la
proposta di legge “assieme”.Prima di Brunetta ci ha pensato però la Lega Nord
a passare ai fatti presentando il 9 gennaio un ordine del giorno in
Parlamento e ricevendo l’assenso a precedere. A spiegare le ragioni del
partito guidato da Umberto Bossi ci ha pensato Paolo
Grimoldi, primo firmatario dell'ordine del giorno: secondo cui l’attuale
titolo di studio, legalmente riconosciuto, sarebbe alla base della
"falsa concorrenza agli atenei del Nord da parte delle università
meridionali che si sono trasformate in laureifici". Per gli esponenti
della Lega la sua abolizione indurrebbe, invece, una
concorrenza virtuosa tra gli atenei che darebbero sempre maggiore importanza
alla qualità della didattica. La mancanza, inoltre, della necessità del
"pezzo di carta" per accedere al mercato
del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle università solo
da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento
dell'offerta formativa.Da un punto di vista giuridico i titoli di studio sono
attestazioni di idoneità che si conseguono al
termine della frequenza di un corso formativo e sono rilasciati a seguito di
esami, atti di giudizio e valutazioni: secondo gli esperti si tratta in
pratica di “atti – scrive D. Croce - che, emanati dall'autorità scolastica,
nell'esercizio di una funzione statale, ed a seguito di appositi
procedimenti valutativi prescritti dalla legge, determinano una certezza
legale circa il possesso, da parte dei soggetti che ne siano muniti, di una
data preparazione culturale o culturale e professionale insieme". La richiesta abolizionista si rifà in prevalenza al
modello statunitense, dove non vi è alcun controllo statale sui contenuti di
studi svolti, come sulla competizione tra le istituzioni formative, sulla
valutazione del valore dei titoli affidata interamente al mercato.Ad opporsi
all’abolizione del titolo di studio si sono schierati molti studenti e
docenti. Ma anche i rettori: come Ferdinando di Orio,
a capo dell’università dell'Aquila, secondo cui individuare nella legalità
del titolo di studio "la causa di formalismi e rigidità che pesano sul
nostro sistema universitario" dovrebbe "preoccupare fortemente
tutti coloro che hanno a cuore le sorti del sistema universitario
pubblico"."Queste motivazioni – scrive Iorio in una lettera
pubblicata dal periodico telematico Step1, edito della Facoltà di
Lingue dell'università di Catania - sembrano tuttavia dimenticare
che l'università italiana già compie una spietata selezione degli studenti in
funzione di varabili che poco hanno a che vedere con il merito in senso stretto:
si laurea l'81,4% di studenti con genitori laureati" e "il 30,2%
con genitori con la licenza elementare. E che il nostro Paese non può
assolutamente permettersi di continuare ad essere la cenerentola del Paesi Ocse nel numero di laureati (solo il 17% della
popolazione tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea a fronte di una
media Ocse del 34%)".Per il rettore l'abolizione
del valore legale del titolo di studio indurrebbe verso un sicuro
"declino culturale" perché "determinerebbe esclusivamente una liberalizzazione
del sistema formativo che, accompagnata dalla sua privatizzazione,
comporterebbe un'esplosione di corsi privati dall'incerta qualificazione in
un ‘mercato formativo’ fatalmente influenzabile da logiche economiche. Con la
conseguente necessità di istituzione di un sistema
in grado di verificare la qualità dell'insegnamento di ogni sede,
certificando percorsi formativi e contenuti didattici". Il risultato
finale sarebbe quindi, sempre secondo di Iorio, opposto agli intenti: "un provvedimento nato per garantire il superamento di
‘formalismi e rigidità’comporterebbe di fatto una ulteriore burocratizzazione
dei percorsi formativi e di tutta l'attività universitaria" derivante da
"un corto-circuito logico che, classificando gli atenei in diverse categorie
di eccellenza, finirebbe per discriminare gli studenti".Secondo il rettore la prospettiva di annullare la legalità del titolo
deriverebbe da spinte in prevalenza molto politiche e poco accademiche:
"in un sistema di generale precarizzazione del mondo lavoro, la migliore
garanzia in grado di assicurare reali condizioni di uguaglianza per tutti i
cittadini nell'accesso al mondo delle professioni. Il sospetto è che il vero
obiettivo non sia tanto il miglioramento della qualità della didattica e della
ricerca universitarie quanto piuttosto l'ulteriore
liberalizzazione proprio del mercato del lavoro". Questa scelta politica
sarebbe anche in contrasto sia con il dettato costituzionale sia con le
direttive comunitarie "recepite peraltro dal
decreto legislativo 206/07, secondo le quali – conclude il rettore - i paesi
membri dell'Ue sono tenuti a riconoscere il valore legale di titoli e
qualifiche di ciascun altro Paese". |