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(1800 - 1900)

 

Silvia

GIACOMO LEOPARDI, A Silvia

 

Nella primavera del 1828, Leopardi sente rifiorire in sè il desiderio e l’ impeto poetico: sulle ali della memoria rievoca una fanciulla della sua adolescenza, cui dà il nome di Silvia, anche se con probabilità si tratta di Teresa, la figlia del cocchiere di casa Leopardi.

Un tempo, in anni passati, Silvia e il poeta hanno vissuto in attesa della giovinezza, nutrendosi di sogni e di speranze: hanno faticato, lei al telaio canticchiando, lui piegato sui libri, alzando ogni tanto gli occhi, attirato da quella voce femminile, ma si sono abbandonati fiduciosamente nell’ attesa di un domani bello e piacevole. Purtroppo, però, la vita non ha dato nulla di tutto questo ai due giovani: Silvia infatti è morta giovanissima e il poeta ha visto intristire e svanire ogni speranza. (foto: Overbeck, Vittoria Caldoni)

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Con questo scritto, Leopardi si impegna nel recupero memoriale del passato e, in particolare, nel ricordo delle care illusioni della giovinezza perduta.

Silvia, nella poesia, è una delicata fanciulla che diventa simbolo della giovinezza, della speranza e dei suoi sogni traditi dalla natura che, secondo l’autore, è matrigna, perché inganna i propri figli. Ella lascia che essi si costruiscano illusioni che in futuro produrranno solo delusioni.

Questo personaggio è la figura che Leopardi "utilizza" per cantare la gioiosa speranza e l’ignara giovinezza destinata sempre a finire. 

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie d’intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all’opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

 Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte
d’in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch’io sentiva in seno.

 Che pensier soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perchè non rendi poi
quel che prometti allor? perchè di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d’amore. 

Anche peria fra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovinezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell’età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
i diletti, l’amor, l’opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
questa è la sorte dell’umane genti? 

All’apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

 

Il poeta, che ha circa 30 anni, sente ormai lontane le illusioni della gioventù, che vengono filtrate attraverso il ricordo e le riflessioni filosofiche della maturità; persino Recanati, da cui finalmente è potuto partire, non è più l’odiato "barbaro paese", ma un luogo della memoria dove continuano a vivere le immagini della giovinezza, e tra esse Silvia.

L’identità della ragazza è stata accertata per quella di Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tubercolosi in giovane età.

Ma non è senza significato che l’autore abbia scelto un nome letterario. Diventa un simbolo delle illusioni giovanili, così come la sua morte lo è del destino di quelle illusioni.

La poesia si apre con l’apostrofe "Silvia" e ci conduce subito nella dimensione della memoria. Silvia continua a vivere nel ricordo del poeta ed è l’interlocutrice di un dialogo interiore che mette a confronto due momenti della vita: l’età delle speranze e l’età del vero. Nella prima parte viene descritta, con rapidi ed efficacissimi tratti, l’immagine della ragazza alla soglia della gioventù.

Come Silvia, anche il poeta era pieno di speranze tanto grandi che non si possono esprimere a parole. Egli lasciava i suoi studi per ascoltare il canto della fanciulla.

Alla morte di Silvia, vinta dalla malattia, corrisponde la morte della speranza per il poeta: anche a lui, come a Silvia, é stata negata la giovinezza.

La semplicità di quelle attese che non diventeranno realtà (i complimenti dei ragazzi, i discorsi delle compagne) fa apparire più crudele la natura e accresce la compassione del poeta.

Anche la morte di Silvia é inquadrata nella cornice simbolica di una stagione, quella che precede l’arrivo dell’inverno, che è, in senso metaforico, l’età del vero in cui muoiono le speranze.

 

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LEOPARDI GIACOMO

Nato a Recanati nel 1798, morto a Napoli nel 1837.
Primogenito del conte Monaldo, crebbe in un ambiente culturalmente ristretto e conformista. A soli quindici anni compose un’ opera erudita La storia dell’ astronomia; successivamente Leopardi sviluppò una concezione pessimistica della vita che esprimerà nelle sue liriche e nello Zibaldino. Dopo aver composto i primi idilli nel 1822 uscì per la prima volta da Recanati alla volta di Roma, Milano, Firenze e Pisa, dove compose A Silvia. Tornato nella sua città natale, scrisse I grandi idilli come Il passero solitario e La quiete dopo la tempesta. Trasferitosi a Napoli compose le sue ultime poesie come La ginestra e Il tramonto della luna. Morì nel 1837 a causa di mali di cui era da tempo affetto.

 

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