La tesi sostenuta da Tom Behan in questo libro è che l’ascesa
al potere del fascismo e del suo leader Benito Mussolini poteva essere
contrastata efficacemente ed impedita, sconfiggendo il fascismo innanzitutto
sul piano militare. Come è noto, con le loro azioni squadristiche,
i fascisti hanno distrutto centinaia di case del popolo, di cooperative,
di sedi di sindacati, partiti e giornali della sinistra, e tra il 1917
ed il 1922 hanno ucciso circa 6.000 militanti della sinistra (p. 111).
Le guardie regie ed i carabinieri quasi mai hanno cercato di fermare le
violenze fasciste e di far rispettare le leggi impedendo i crimini commessi
dai fascisti. Spesso chiudevano entrambi gli occhi, quando non aiutavano
esplicitamente le squadracce di picchiatori. Con un simile atteggiamento
da parte dei “tutori dell’ordine”, le vittime delle aggressioni fasciste
non avevano alcuna possibilità di difendersi. L’unica possibilità
era l’autodifesa. Il libro si concentra ad analizzare gli Arditi del Popolo,
la più significativa organizzazione di autodifesa del proletariato
italiano.
La prima parte del libro inquadra le vicende della sinistra italiana
dalla fondazione del Psi nel 1892, fino all’indomani della prima guerra
mondiale, al biennio rosso 1919-1921 ed alla scissione del Pcd’I dal Psi.
La seconda parte riguarda invece le vicende dalla fondazione del fascismo
nel 1919 alla nomina di Mussolini a primo ministro nel 1922. Episodi centrali
considerati dall’autore a sostegno della propria tesi sono le tentate aggressioni
fasciste a Sarzana e a Parma, respinte da una massiccia reazione popolare,
organizzata e diretta dagli Arditi del Popolo.
Gli Arditi del Popolo nascono per iniziativa di alcuni reduci, che
durante la guerra avevano combattuto negli Arditi, reparti d’assalto formati
da volontari, a cui spettavano i compiti più rischiosi.
Alla fine della guerra il maggiore problema dell’Italia consisteva
nella smobilitazione e nel reinserimento nella vita civile di milioni di
ex soldati, impossibilitati a trovare una sistemazione dignitosa perché
la situazione economica era dominata dall’inflazione e dalla disoccupazione.
Le posizioni politiche dei reduci coprivano l’intero arco dell’offerta
politica dell’epoca, dagli anarchici ai nazionalisti. Gli ex Arditi si
dividevano anch’essi tra le simpatie verso la sinistra (Psi, Pri, anarchici)
e quelle verso la destra nazionalista e fascista, con curiosi mix di simpatie
verso la sinistra e al contempo un forte sentimento di orgoglio nazionale;
quest’ultima posizione, fortemente influenzata dal futurismo e dal dannunzianesimo,
aveva portato alcuni militanti della sinistra (anarchici e socialisti,
tra cui lo stesso Togliatti) a partecipare come volontari alla guerra,
vista come una occasione di cambiamento dell’ordine sociale, oppure dopo
la guerra a partecipare sotto la guida di D’Annunzio all’occupazione di
Fiume.
Tentativi di organizzare politicamente i reduci furono compiuti dal
Psi, che nel 1918 diede vita alla Lega Proletaria, che ebbe notevole successo,
arrivando ad organizzare un milione di ex soldati e 130.000 vedove di guerra
(p. 54). La Lega Proletaria era una organizzazione para-sindacale, mentre
gli Arditi del Popolo erano una organizzazione ben differente negli obiettivi
(sconfiggere militarmente le squadracce fasciste) e nei metodi (l’azione
paramilitare). Gli Arditi del Popolo erano una vera e propria organizzazione
armata paramilitare che aveva il preciso scopo di combattere il fascismo
sull’unico terreno in cui era possibile combatterlo, quello dell’autodifesa
con le armi, dal momento che dalle forze dell’ordine e dai tribunali non
era possibile aspettarsi alcuna difesa.
Gli Arditi del Popolo vengono fondati a Roma il 22 giugno 1921, in
una assemblea promossa dall’ex tenente degli Arditi Argo Secondari. Una
caratteristica politica fondamentale degli Arditi del Popolo era la trasversalità
politica all’interno della sinistra. Tra i dirigenti e i militanti degli
Arditi del Popolo vi erano infatti socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani.
Il Psi e il Pcd’I ebbero sempre un atteggiamento non molto benevolo verso
gli Arditi del Popolo, e questa secondo Behan è una delle cause
che li indeboliranno. Nel Pcd’I risultò prevalente l’opinione di
Bordiga, allora il maggior dirigente del Pc’I, secondo cui il partito doveva
creare proprie organizzazioni di autodifesa, senza “annacquarsi” in altre
organizzazioni che non avessero per scopo la rivoluzione proletaria. Gramsci
ebbe invece un atteggiamento di maggiore apprezzamento, mentre a livello
locale diversi comunisti appoggiarono attivamente gli Arditi del Popolo.
Similmente il Psi, mentre a livello nazionale, soprattutto dopo la
firma del patto di non aggressione coi fascisti successivo agli scontri
di Sarzana, dichiarò ufficialmente di non sostenere gli Arditi del
Popolo, a livello locale invece alcuni socialisti li appoggiarono.
I due maggiori scontri di cui gli Arditi del Popolo furono protagonisti
furono quelli di Sarzana e di Parma, in cui le popolazioni locali, organizzate
e guidate dagli Arditi del Popolo, sconfissero le spedizioni fasciste,
rispettivamente nel luglio 1921 e nell’agosto 1922. Le conseguenze politiche
più significative furono in seguito agli scontri di Sarzana: Mussolini
decise di sottoscrivere coi socialisti un patto di non aggressione. I fascisti
erano divisi tra la posizione di Mussolini e quella di coloro che non accettavano
il patto, mentre i partiti della sinistra avevano meno da temere le aggressioni
fasciste. In quel periodo Mussolini parlò della sua possibilità
di abbandonare il fascismo, ma alla fine il movimento fascista riuscì
a ricompattarsi e a riprendere l’offensiva. Parma invece fu lo scontro
militare più significativo, si trattò di un vero e proprio
assalto militare alla città, difesa militarmente con trincee e barricate.
I fascisti ebbero 39 morti e 150 feriti, gli antifascisti 5 morti e 30
feriti (p. 85). La difesa di Parma fu un fatto di massa, che riguardò
non solo i militanti dei partiti di sinistra; infatti, ad esempio, le donne
si occuparono del rifornimento di cibo, mentre alcuni parroci consentirono
ad usare i campanili delle proprie chiese come posti di osservazione. Per
dare un’idea del carattere popolare che ebbe la difesa della città,
che non riguardò solo i militanti dei partiti della sinistra, basti
pensare che uno dei cinque caduti fu un consigliere comunale del Partito
Popolare.
Difficile dire, conclude Behan, “se una maggiore unità tra gli
Arditi del Popolo e la sinistra avrebbe potuto fermare il fascismo” (p.
109). Ma questo non avvenne soprattutto per il settarismo del Pcd’I e per
le divisioni del Psi.
Behan fa un esplicito paragone tra la situazione di allora e quella
di oggi del movimento no-global, sostenendo che oggi come allora è
importante partecipare ai movimenti di massa da parte di quei militanti
che pure li criticano per l’indeterminatezza delle proposte o per il riformismo,
perché è il solo modo di costruire una alternativa anticapitalista.
Fabrizio Billi