Stefano Pivato, "La storia leggera. L’uso pubblico della storia nella canzone italiana", Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 246, euro 14.00
Come già sapevano i sociologi e gli antropologi, anche gli storici
si stanno accorgendo d’avere occhi non solo per leggere documenti, ma per
vedere foto, immagini dei cinegiornali, manifesti murali, e orecchie per
sentire i “rumori della storia”: musiche, slogan, discorsi registrati,
assemblee chiassose e agitate, cortei scandenti slogan, canzoni, canzonette.
E’ noto, infatti, che manifesti murali e canzoni sono parti importanti
della ricostruzione del contesto storico che non sempre, però, ricevono
il dovuto riconoscimento come fonti. Capita che il noto, proprio perché
noto, non sia veramente conosciuto. Conoscere un fenomeno non vuol dire
essere vagamente informato della sua esistenza, vuol dire carpirne la sua
importanza inserendolo, assieme ad altri fattori, nel contesto esplicativo.
In questo senso sia il manifesto sia la canzone leggera, che sono i temi
trattati nei due libri segnalati, stentano a trovare, tra gli storici,
la dignità di fonte e, quando anch’essa è riconosciuta, un
uso adeguato, appropriato, contestualizzato.
Capita che il manifesto murale sia usato nei libri di storia o per
farne una copertina accattivante, oppure –se l’editore ha soldi da spendere-
inserito assieme a fotografie nelle pagine del testo con una piccola didascalia
sottostante. Si tratta, comunque di un uso indiretto, che stenta ad essere
inserito e letto, come le altre fonti scritte e documentarie, organicamente
dentro la narrazione storica. Un po’ meglio le cose vanno per i manuali
di storia delle superiori, dove però foto e immagini iconografiche
sono spesso vissute come specchietti per le allodole per studenti non troppo
invogliati alla storia, messe lì per spezzare la seriosità
del procedere della narrazione.
Comunque, al manifesto è riconosciuta una dignità e un’autorevolezza
che la canzonetta non ha ancora acquisito, in quanto è stato utilizzato
fin dall’inizio come strumento di lotta politica e ha conquistato nei decenni
successivi alla rivoluzione francese il ruolo definitivo di strumento di
denuncia e d’agitazione attraverso una gamma di soggetti che variano dalla
critica politica alla satira. Esso è diventato parte dell’universo
di simboli e miti che hanno accompagnato e autorappresentato la storia
del movimento operaio e anarchico. Il titolo del catalogo dei manifesti
del circolo culturale di Carrara –Gli anarchici non archiviano- tratto
da un manifesto del 1987, sta a significare che la funzione di una documentazione
è d’essere utilizzata al fine di non archiviare la storia, ma di
raccontarla e narrarla con la maggior quantità di fonti possibili.
La sua pubblicazione rappresenta la conclusione della prima parte dell’intervento
di trattamento della documentazione, che comprende materiale bibliografico
e archivistico, raccolto e conservato presso la Biblioteca del Germinal.
Il fondo di circa 700 manifesti è merito del lavoro svolto con
costanza, meticolosità e passione da Gogliardo Fiaschi, nato a Carrara
il 21 agosto del 1930 e già, a quindi anni, nell’aprile del 1945
assieme ai partigiani che sfilano per le strade di Modena. Nel 1957 giunge
a Bercellona e progetta un attentato contro il Caudillo Franco. Arrestato
e incarcerato fino al 1965, è estradato in Italia dove subisce un’ulteriore
detenzione fino al 1974. Libero, ritorna a Carrara e comincia il lavoro
d’archiviazione e catalogazione che dura fino al 2000, anno della sua morte.
I manifesti coprono il periodo dalla meta degli anni 70 al 2000. Trattano
dei principali temi della propaganda anarchica: antimilitarismo, antielettoralismo,
anticlericalismo, denuncia della repressione statale, resistenza, antifascismo,
ma anche tematiche internazionali: dittature sudamericane, sovietiche,
transizione democratica in Spagna, sciopero minatori inglesi contro la
Tatcher, la lotta di Solidarnosc in Polonia, la guerra nel Golfo. E poi
manifesti locali del 1 maggio, funebri per compagni scomparsi, celebrazione
di compagni e personaggi storici, ecc.
Come scrive Franco Bertolucci nella prefazione al catalogo, attualmente
sono poche a livello nazionale le strutture che possono vantare la conservazione
e, soprattutto, la catalogazione e la fruizione di collezioni di manifesti;
tuttavia esistono alcune interessanti raccolte specialistiche presso biblioteche,
archivi o centri appartenenti a partiti politici, organizzazioni sindacali,
comuni. Merita in tale contesto segnalare l’iniziativa dell’istituto Gramsci
di Bologna che ha costruito un archivio multimediale dei manifesti politici
che conserva realizzando la prima banca dati on line iconografica italiana
sul manifesto politico e sociale del ventesimo secolo. E’ possibile consultare
in linea il catalogo dei manifesti, circa 500, all’indirizzo del sito web
www.manifestipolitici.it . In questo contesto la catalogazione del Germinal
e la pubblicazione dell’inventario dei manifesti assume un’importanza rilevante
per gli studiosi.
Meno fortunata delle immagini iconografiche e dei manifesti, la canzone
leggera è stata considerata palude della superficialità e
della banalità. Neanche l’interesse per l’uso pubblico della storia,
che ha animato la comunità degli storici e non, ha contribuito a
sdoganare la canzone e la musica come produttrice di senso comune storico,
a differenza della televisione, della carta stampata, del cinema che sono
stati oggetto d’analisi in quanto veicoli della comunicazione storica.
Eppure, come sottolineano i dati Istat, citati da Stefano Pivato nell’introduzione,
la musica ha per i giovani una potente funzione per ciò che riguarda
la formazione dell’identità culturale a livello individuale e collettivo.
E allo storico non può sfuggire come la musica e le canzoni possano
diventare “produttrici di senso comune”, soprattutto a cominciare dalla
metà del Novecento, quando si verifica un manifesto conflitto generazionale,
una separazione tra mondo degli adulti e dei giovani e la musica diviene
uno dei linguaggi che meglio interpreta la distanza e in certi casi la
separatezza fra la generazione adulta e quella della baby boom generation.
Inoltre, prosegue l’autore, per un giovane degli anni Settanta la storia
contemporanea costituiva un retroterra primario (quindi indispensabile)
della formazione e dell’identità politica, civile e ideale in senso
lato. Oggi invece si vive in tempi in cui allo storico è richiesto
più di raccontare che d’interpretare e nella narrazione egli si
sente sovente scavalcato dal giornalista, dall’opinionista. Si ha una perdita
d’identità e crisi dello storico, mutazione dei linguaggi e dei
canali di comunicazione della storia. C’è da chiedersi, allora,
se anche la musica, assieme alla televisione e ai giornali popolari, “venga
ad assolvere nei confronti della storia una funzione di surroga a fronte
di quello che ormai viene definito il tramonto della storia o, perlomeno,
l’affievolita importanza dei canali tradizionali del sapere storico”. Sorge
a questo punto un interrogativo che Pivato propone con la forza della provocazione.
Sarebbe il caso di domandarsi, scrive, se nell’ambito della comunicazione
di massa e dei linguaggi giovanili hanno fatto opinione storica e civile
“Renzo De Felice, Ernesto Ragionieri, Paolo Spriano, Rosario Romeo e tutta
la generazione degli storici negli anni Sessanta e Settanta, oppure Jovanotti,
Manu Chao, Francesco De Gregori e Paolo Conte?” (29).
Scopo del libro non è trattare la storia della canzone, ma la
storia della società italiana fatta utilizzando le canzoni e la
musica come documenti e come fonti per la conoscenza storica, indagando
come la canzone popolare “ha letto, tratto ispirazione o citato la storia
del Novecento”. La ricerca inizia con un prologo dedicato ad uno dei primi
esempi di uso pubblico della storia nella canzone, dato dall’inno nazionale
Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli, risalente al 1847; prosegue trattando
del “prima della canzonetta”, cioè del Risorgimento, (il melodramma
come una delle prime e più palesi forme di uso pubblico della storia),
dell’innodia politica e sociale di fine Ottocento inizio Novecento e dell’uso
pubblico della storia fatta dal regime fascista, esemplificato da Faccetta
nera. Segue la trattazione della canzonetta e della canzone d’autore tra
San Remo e Bressanes, i grandi temi sociali dell’Otto-Novecento: emigrazione,
Guerre Mondiali, Resistenza, il boom economico, il mito e l’antimito americano,
il comunismo, il sessantotto, il beat, il rock, il riflusso degli anni
Ottanta, i gruppi rap degli anni Novanta, fino al recupero musicale della
memoria della destra con canzoni che richiamano i miti del fascismo e della
mitologia medievale del Nord Europa, per giungere a lambire quelle che
costituiscono le colonne sonore e le identità formative del nuovo
movimento dei movimenti.
Pivato distingue tre gruppi di canzoni: quelle che ricorrono consapevolmente
all’uso pubblico della storia, quelle di attualità politica che
nel tempo si trasformano in documento storico, la canzone che non contiene
riferimenti storici e politici ma che si presta vuoi per allusività
e per caratteristiche varie, ad essere considerato specchio di un’epoca.
Nel suo lavoro ha privilegiato quei testi i cui versi contengono riferimenti
alla storia del Novecento. Uno dei limiti, che l’autore riconosce, è
quello di proporre i testi e non la musica, costruendo così un contesto
e un rimando parziale perché incapace di riproporre “le sensazioni
e le emozioni che una canzone restituisce appieno solo quando i versi sono
accompagnati da tutto un complesso corredo, a cominciare da quello più
elementare: la musica”.
Lo storico che si accinge a considerare con serietà e dignità
di fonte le canzoni, anche quelle della “cattiva coscienza”, come diceva
il titolo di un libro del 1964, scritto contro le canzonette alla Rita
Pavone o Celentano, incontra almeno due difficoltà: la massa enorme
del materiale da consultare e la problematicità nel reperirlo. Rispetto
a quest’ultima lo stato di conservazione e documentazione della canzone
leggera ci pare molto arretrato. Dove trovare i testi delle canzoni? Dove
recarsi per ascoltarle? Perché leggere il testo non è sufficiente,
indispensabile è anche sentire la musica che lo accompagna. Il soccorso
viene più da Internet che dalle istituzione e dagli istituti di
documentazione.