Sono usciti recentemente due libri che hanno intenzioni e modalità espressive diverse ma che parlano tutti degli stessi argomenti: la stagione dei movimenti, l’antifascismo militante dei gruppi della nuova sinistra, i servizi d’ordine.
Una storicizzazione del ’68 italiano
Elena Petricola in I diritti degli esclusi nelle lotte degli anni Settanta.
Lotta Continua, ha lavorato con l’intenzione dichiarata di contribuire
alla “storicizzazione del 68 italiano”, inserendosi in quel filone di studi
e di ricerche tese a considerarlo non un momento magico ed eccezionale
che durerà pochi mesi, ma un processo che investirà gli anni
settanta determinando quella che felicemente è stata definita la
“stagione dei movimenti”. Un lavoro minuzioso il suo, da storica appunto,
con una vasta trattazione e considerazione delle fonti, con l’ausilio discreto
e non invadente della memoria di alcuni protagonisti, usata con equilibrio
e ponderazione. Il tema specifico affrontato è quello del rapporto
tra movimenti sociali antisistemici e l’organizzazione Lotta Continua descritta
dal suo nascere nel 1969, fino al 1973, anno in cui questa formazione politica
cominciò a comporsi come “partito” a livello nazionale.
Come altre formazioni extraparlamentari di quegli anni, essa nasce
nel corso di “caotiche” e propulsive assemblee operai-studenti, prendendo
il nome da slogan scritti sui volantini o urlati durante i cortei che diventano
titoli di giornali e poi nome delle organizzazioni: Lotta Continua, Potere
Operaio, Avanguardia Operaia. Una nascita che non ha nulla di paragonabile
con le tradizionali cerimonie di fondazione dei partiti del movimento operaio
novecentesco, di cui è anche difficile individuarne la data precisa,
il documento fondativo, lo statuto (Potere Operaio non né avrà
mai uno, Lotta Continua se ne darà uno solo nel congresso del 1975).
Un’origine e una vita movimentista e movimentata, caratterizzata ciò
da una militanza dei suoi aderenti volontaria e a tempo pienissimo, capace
di invadere tutta la vita quotidiana di chi vi partecipava. Nel libro quindi
s’intrecciano aspetti di storia politica e di storia sociale sull’esempio
di due storici, Paul Ginsborg e Silvio Lanaro, che hanno ispirato la ricerca
dell’autrice, la quale però, segnala, più di una volta, la
presenza di “culture” tradizionali sulla questione della donna in un’organizzazione
che, invece, dimostrava flessibilità, creatività, disponibilità
e aperture verso i nuovi soggetti sfruttati che esulavano dal tradizionale
concetto di classe operaia o di lavoratori tout court.
Queste formazioni nascono in continuità col movimento degli
studenti del ’68 e quello degli operai del ’69, molti dei loro quadri,
infatti provengono dalle lotte universitarie o da quelle operaie di quel
biennio e ripropongono la metodologia d’intervento politico imparata in
quelle circostanze. Elena Petricola non cade nella trappola di chi vede
solo la foresta (i movimenti) o solo gli alberi (i gruppi della nuova sinistra),
dimostra col suo lavoro che gli elementi non sono separabili, che Lotta
Continua vive, si può dire, in simbiosi e in azione comune coi movimenti,
perché anch’essa si percepisce come un movimento. Ricostruite queste
premesse storico-politiche il libro analizza, alla luce della parola d’ordine
“prendiamoci la città”, l’intreccio che venne a determinarsi tra
questa organizzazione e la nascita di movimenti di protesta e di contestazione
che coinvolgevano settori sociali ed istituzioni scarsamente toccate, fino
allora, dalla presa di coscienza politica: il movimento di protesta dei
soldati che sfocerà nella costituzione dei Proletari in divisa,
quello dei detenuti (i Dannati della terra), quello per la casa. Si ha
così un ritratto storico concreto di quella che si chiama la stagione
dei movimenti che mette in luce modalità nuove di partecipazione
politica e sociale intesa anche come trasformazione della vita privata
dei coinvolti: vita in comune, mense collettive e asili autogestiti nell’occupazione
delle case, forte senso di solidarietà e di reciprocità tra
i soldati e i detenuti costretti ad operare in ambienti allora assolutamente
impermeabili alla democrazia e ai diritti riconosciuti dalla Costituzione.
La metodologia dell’intervento consiste nel dare voce ai protagonisti,
nel favorire la “presa della parola” da parte di soggetti sociali, spesso
marginali e marginalizzati dal processo produttivo di fabbrica, stando
dentro i movimenti e non alla loro testa.
Sono gli anni in cui Lotta Continua si prepara allo scontro generale,
criticando il parlamentarismo e la partecipazione elettorale, il tutto
riassunto nello slogan, coniato in occasione delle elezioni amministrative
del 1970 e poi di quelle politiche del 1972, “è la lotta e non il
voto che decide”. Una posizione astensionista che trova riscontro anche
in Avanguardia Operaia e in Potere Operaio e che caratterizza tutta una
fascia e una fase di crescita della sinistra extraparlamentare. Una posizione
che sarà ribaltata nel 1975 e nel 1976 quando Lotta Continua alle
amministrative darà indicazione di voto al PCI e l’anno dopo, alle
politiche, confluirà nel caratello elettorale di Democrazia Proletaria
assieme al PDUP-Manifesto, ad Avanguardia Operaia e altre formazioni minori.
Stato, politica, violenza, antifascismo
Partendo da un testo ritrovato, Parma 1922. Una resistenza antifascista,
scritto per la RAI nel 1973 da Nanni Balestrini, che riproponeva in forma
di radiodramma le giornate della rivolta di Parma contro le squadre fasciste
guidate da Italo Balbo nel 1922, pochi mesi prima della marcia su Roma,
è possibile sprofondare nella situazione politica e sociale dei
primissimi anni Settanta italiani. Pochi anni erano passati dalla strage
di Piazza Fontana, dalla defenestrazione di Pinelli, si scoprivano trame
nere, connivenze tra apparati (deviati?) dello Stato e neofascisti, perquisizioni,
arresti, denunce, schieramenti di polizia che affrontavano le manifestazioni
facevano temere che fosse in atto una svolta autoritaria, che lo Stato
avesse scelto la via della repressione dei movimenti e della protesta.
In questo clima, cui fa continuamente riferimento anche Elena Petricola,
maturava il lavoro di Balestrini.
Parlando dei fatti accaduti a Parma cinquant’anni prima Balestrini,
come evidenziano nell’introduzione Margherita Becchetti, Andrea Zini, Giovanni
Ronchini, proponeva e coglieva alcun caratteristiche dello scontro di classe
in corso. La nuova sinistra, sostiene con ragione Margherita Becchetti,
negli anni Settanta riscopriva l’antifascismo, non quello celebrativo-istituzionale
alla 25 aprile, commemorato assieme a preti, vescovi, ministri democristiani,
banda del comune, e partiti dell’arco costituzionale, ma quello insurrezionale,
combattivo, tradito nelle sue aspettative rivoluzionarie e socialiste,
dagli equilibri interni al CLN, dalla realpolitik della divisione del mondo
in zone d’influenza, dal moderatismo e dal tecnicismo politico della svolta
salernitana di Togliatti. Antifascismo, per i giovani degli anni Settanta,
divenne lotta pratica e quotidiana contro il fascismo, inteso inizialmente
come attacco ad ogni autoritarismo nascosto o evidente nelle istituzione,
poi come contrapposizione decisa al neo fascismo del MSI e dei gruppi dell’estrema
destra e denuncia della loro connivenza con settori statali. Ecco perché,
alle paludate celebrazioni della ricorrenza resistenziale, quei giovani
preferivano contrapporre l’antifascismo del primo dopoguerra rintracciando
in quegli anni (1919-1922) più di un’analogia col loro tempo presente.
La paura prodotta nella borghesia italiana dalle lotte del 1968-1969 non
era forse paragonabile a quella indotta dalle occupazioni delle fabbriche
nel 1920. E la sua risposta non poteva essere, forse, una nuova riproposizione
della repressione fascista? E ancora, come nel primo dopoguerra i riformisti
erano stati incapaci di contrapporsi all’involuzione reazionaria, così
l’appello alla legalità istituzionale della sinistra tradizionale
sembrava debole e inefficace contro le aggressioni e le stragi. Non era
quindi un caso che Lotta Continua giornale quotidiano, pubblicato a partire
dal 1972, riproducesse nella testata l’immagine di una barricata di Parma
dell’agosto ’22.
Così, nel lavoro di Balestrini emergeva chiaramente l’allusione
alla connivenza tra gruppi di fascisti e i settori dello Stato che avrebbero
dovuto garantire la legalità invocata dai riformisti e dai dirigenti
confederali. Il loro “attendismo” e pacifismo poteva essere paragonato
alla vigilanza democratica e al rifiuto delle provocazioni invocate dalla
sinistra, in particolare dal PCI. E la critica di alcuni Arditi del popolo
al riformismo di Turati, sembra voler essere una critica alla strategia
del compromesso storico che il PCI, di lì a poco avrebbe varato,
prendendo come spunto il golpe in Cile del 1973. A questo inganno era contrapposta
la validità dell’antifascismo militante praticato degli Arditi del
popolo, visti come antisegnani dei servizi d’ordine della formazioni della
nuova sinistra.
Certo, qui siamo ancora e solo, nel campo delle indicazioni, delle
ipotesi e delle suggestioni, ma, come spesso accade, è proprio a
partire da queste che nascono le ricerche storiche. Che ben vengano.
Diego Giachetti