Dieci anni dopo la nascita di Rifondazione Comunista giunge puntuale
il libro di Sergio Dalmasso sulla storia del partito che ricostruisce,
con la pazienza verso i fatti che si dovrebbe pretendere sempre dagli storici,
i passaggi politici più importanti di questa vicenda inserendola
nella cornice nazionale e internazionale. Un’opera meritevole, la
prima che affronta in termini esaurienti e complessivi l’intero percorso
compiuto in questo decennio denso di avvenimenti nazionali e internazionali
che hanno accompagnato la nascita e il percorso del PRC.
Poco finora si è scritto sul PRC e la sua storia, e quel poco
è stato spesso stimolato da bisogni di affermare la propria identità
politica che hanno stravolto quella che è la serena, per quanto
possibile ai contemporanei, ricostruzione dei fatti e delle loro successioni
intrinseche. Nell’introduzione l’autore cita due di questi esempi: il libro
dei fratelli Diliberto, Oliviero e Alessio, La fenice rossa (Robin, 1998),
e quello di Alessandro Valentini, La vecchia talpa e l’araba fenice (Città
del sole, 2000), entrambi testi di “storia militante” di una stessa corrente,
quella cossuttiana, spaccatasi in due dopo la scissione operata da Cossutta
e Diliberto nel 1998. L’attuale segretario del PdCI e suo fratello promettevano
in quarta di copertina di svelare la “storia segreta della nascita del
PRC. Gli antefatti, gli incontri clandestini, chi era dentro, chi era fuori.
I documenti riservati, gli appunti dei capi”. La pubblicazione offriva
il pretesto ad Alessandro Valentini per mettere mano a carte e documenti
e scrivere un saggio al fine di confutare imprecisioni, inesattezze e superficialità
contenute nell’opera dei fratelli Diliberto, i quali avrebbero prodotto,
secondo il parere di Claudio Grassi, “un piccolo bignami dell’opportunismo”
(«Liberazione», 5 febbraio 2000).
Fuori di quest’ambito, tutto interno alla ricostruzione della storia
della corrente cossuttiana e del suo ruolo giocato nella fondazione del
PRC, si muove il lavoro di Dalmasso che ha come scopo primo l’esposizione
e la narrazione dei fatti e degli eventi. Il libro inizia delineando la
crisi interna che lacera il PCI prima del cambiamento del nome, il sorgere
delle correnti (fenomeno maledetto e combattuto come “frazionismo” nei
decenni precedenti) che costituirono il Movimento per la Rifondazione Comunista
e il PRC nel corso del primo congresso del 1991. Prosegue analizzando il
dibattito interno al partito, sempre vivace e prolifico, soprattutto in
concomitanza con le varie assisi congressuali, la prima vittoria delle
destre nel 1994, il passaggio da Berlusconi al governo dell’Ulivo e la
desistenza elettorale praticata dal PRC nelle elezioni del 1996, la rottura
successiva col governo Prodi del 1998, la scissione dei comunisti italiani,
il difficile riposizionamento del partito, la seconda vittoria delle destre
e al ritorno di Berlusconi a capo del governo, i fatti di Genova del luglio
2001 e, infine, il dibattito attorno alle tesi dell’ultimo congresso. Capitolo
dopo capitolo sono raccontate le vicende che hanno attraversato, tra slanci,
delusioni e scissioni, la storia di questo partito nato dalla crisi del
PCI e, più in generale, dei partiti italiani i quali, nel 1991,
stavano per essere travolti da tangentopoli.
Il termine Rifondare connotava già fin dall’inizio l’intenzionalità
dell’opera. Non si trattava di ricostruire il partito comunista, ma di
rifondarlo, considerando in ogni modo conclusa quell’esperienza nata e
sorta in un arco storico del secolo 900 che, con la fine dell’URSS (1991),
stava esaurendosi. La stessa chiusura della formula PCI era l’espressione
delle trasformazioni strutturali, politiche e culturali della società
italiana negli anni Ottanta e della crisi in cui precipitava il movimento
dei lavoratori dopo l’ascesa degli anni Settanta, che si accompagnava all’inadeguatezza
della strategia del compromesso storico e dei governi di solidarietà
nazionale nel garantire un processo di trasformazione dei meccanismi statali
e capitalistici. Un pezzo di storia nazionale che si affiancava alla destrutturazione
dell’equilibrio internazionale stabilito ai tempi della guerra fredda,
provocato dalla crisi e dalla caduta dei regimi cosiddetti socialisti.
Il crollo del muro di Berlino e quella dell’URSS rappresentavano per i
comunisti italiani la fine di un’epoca che si era aperta a Yalta con la
spartizione del mondo in zone d’influenza. Infine, si delineava una ridisegnazione
del funzionamento del capitalismo internazionale che apriva la via alla
globalizzazione dell’economia.
Per anni la politica del PCI aveva dovuto tener conto della convergenza
di tre grandi variabili: la presenza dei movimenti di massa, la politica
estera della direzione sovietica e gli interessi specifici di autoconservazione
degli apparati di partito. Alle soglie degli anni Novanta, la dinamicità
dei movimenti di massa era molto ridimensionata, l’URSS scompariva dallo
scenario internazionale, rimanevano gli interessi specifici di un ceto
politico e degli apparati di partito che provavano a giocare la carta della
ricollocazione in un “nuovo mercato” politico liberandosi di un nome e
di una tradizione che giudicavano conclusa e ingombrante. Un’operazione
non facile nel breve e nel lungo periodo, ne sono d’esempio le ultime sfortune
elettorali dei Democratici di Sinistra; così come non era semplice
rifondare il comunismo.
Superato, non senza difficoltà, l’atteggiamento di chi pensava
che tutto fosse come prima, una volta scrollatosi di dosso la polvere provocata
dal crollo del muro di Berlino, iniziava un difficile cammino in un contesto
sociale e politico che non facilitava certo l’impresa. Non a caso e opportunamente,
fin dal titolo, siamo avvertiti della difficoltà insita nell’opera
intrapresa; rifondare è stato ed è difficile perché
il processo politico di costruzione del partito avviene in un quadro nazionale
e internazionale segnato, nell’ultimo decennio, da una netta inversione
dei rapporti di forza tra le classi a tutto vantaggio di quelle dominanti,
sotto il segno del nuovo imperialismo nella versione modernissima della
globalizzazione. Una rifondazione che cerca di combinare resistenza e offensiva
politica, che deve fare i conti con le lotte e la pratica quotidiana per
tenere in vita il partito e la ricerca teorica e ideologica, indispensabile
in una situazione storica e politica completamente nuova rispetto agli
assetti che regolavano il mondo dopo la seconda Guerra mondiale.
Un partito e una rifondazione che hanno dovuto imparare a rapportarsi
con sedimentazioni di culture politiche non sempre omogenee tra loro, perché
provenienti da forme organizzative e ideologiche diverse, di cui Dalmasso
segnala citando riviste e appartenenze, il contributo, a volte critico,
apportato. Un processo di ricostruzione politica e organizzativa che ha
comportato, in determinati e difficili passaggi, rotture, lacerazioni nei
gruppi dirigenti e nella base.
Un libro da cui partire per capire la storia del PRC, riflettere sulle
vicende accadute per cominciare a trarre un bilancio; un libro che si spera
sia di stimolo anche alla riflessione storica, alla ricerca, alla nascita
di una memoria collettiva del proprio passato, feconda di identità,
solidarietà e appartenenza; in questo senso, fa ben sperare la decisione
finalmente presa, come si è letto su «Liberazione» nei
giorni del quinto congresso, di costituire un archivio centrale che raccolga
tutti i materiali e i documenti prodotti dal partito e dalle sue varie
sensibilità e/o tendenze.
Diego Giachetti