Il 12 settembre 1919, il poeta Gabriele D’Annunzio parte da Ronchi alla
testa di un manipolo di arditi e di disertori per occupare Fiume e annetterla
al Regno d'Italia: erano in molti a pensare che, negli accordi che
si andavano facendo dopo la fine della Grande Guerra, la città
dovesse comparire nell’elenco delle città redente. L’azione di D’Annunzio
sfrutta l’impeto e l’adrenalina che la guerra aveva acceso in molti combattenti
ed arriva a sorpresa con un effetto altamente mediatico: quella che ci
si appresta a recitare, per ben sedici mesi, nella città occupata
è la spettacolare festa della rivoluzione cui si allude nel titolo.
Fra i documenti trattati per la ricostruzione ci sono i testi scritti da
poeti, letterati e artisti che a fianco del poeta vissero questa breve
ed esaltante avventura: le memorie di Giovanni Comisso, Léon
Kochnitzky, Mario Carli ma anche le trasposizioni narrative che a quell’evento
si ispirarono come gli Arabeschi fiumani e il romanzo Trillirì
sempre di Carli, Il Porto dell’amore di Comisso. Il risultato è
una ricostruzione che intreccia personale e politico in un affresco molto
vivace anche dal punto di vista espositivo.
Fra gli argomenti trattati il difficile e conflittuale rapporto con
Marinetti e i futuristi, fra i primi a rispondere all’appello in un momento
in cui il Futurismo è attraversato dal dibattito sugli sbocchi politici
che molti artisti sentono di dover dare alla loro esperienza estetica;
la frattura che si viene a creare fra futuristi e fascisti dopo il secondo
congresso fascista che porta alle dimissioni di Marinetti e di Carli; i
legami che intercorrono con altre forze insurrezionaliste: Randolfo Vella
di «Umanità Nova» è il primo dei giornalisti
sovversivi ad arrivare a Fiume per studiare il fenomeno fiumano. In novembre
Marinetti, Carli, Somenzi e Cerati invieranno due telegrammi a nome della
direzione del movimento futurista e di un Club futurista milanese al ministero
degli Interni per protestare contro l’incarcerazione di Errico Malatesta
e in segno di protesta per la reclusione di tutti i detenuti politici.
I tormentati rapporti fra futuristi ed anarchici, analizzati in un bel
libro di Alberto Ciampi dell’’89 -Futuristi e Anarchici, quali rapporti?-
e di recente in una tesi di laurea da Laura Iotti -Futuristi e anarchici,
dal primo manifesto di Marinetti all’entrata in guerra dell’Italia (1909-1915)-,
naufragarono come è ovvio sulle posizioni militariste e nazionaliste
di quella parte del movimento futurista che poi convergerà nel partito
fascista, ma anche su una visione della violenza che per gli anarchici
aveva valore di necessità e di progettualità politica mentre
per i futuristi rivestiva un valore soprattutto estetico.
In realtà a Fiume convivono con notevoli difficoltà due
anime, una fortemente tradizionalista e nazionalista e una trasgressiva
e immaginifica che solo l’autorevolezza e il carisma di D’Annunzio riescono
a tenere insieme.
La città occupata diventa un laboratorio per sperimentare nuove
forme di governo, di vita, militari.
La sopravvivenza economica dei rivoltosi, persa la speranza in un aiuto
istituzionale, si avvale di donazioni di ricchi mecenati e ammiratori del
poeta; finanziamenti sostanziosi, nei primi tempi, arrivano anche dalla
massoneria, ma soprattutto l’economia fiumana è un’«economia
pirata» che vive di spettacolari “espropri” ai danni di navi e piroscafi
che vengono dirottate a Fiume e i cui carichi vanno a far parte del bottino
di una guerra che si combatte in difesa di tutti i popoli che combattono
contro nazionalismi, capitalismo, militarismo. Nell’ottobre del 1919 sul
piroscafo Persia, appartenente ai Lloyd di Trieste, carico di munizioni
e di viveri destinate a Vladivostok si imbarcano, clandestinamente, tre
«fiduciari» fiumani, e convincono l’equipaggio della nave a
sbarcare «volontariamente» a Fiume. «I mezzi che dovevano
servire a combattere la libertà e la redenzione del popolo russo
seviranno per la libertà e per la redenzione del popolo fiumano.»
si legge nel comunicato che il capitano Giulietti fa stampare per far luce
sull’episodio e smentire le versioni tendenziose e inesatte della stampa
ufficiale.
Sotto il governo di un poeta-guerriero la città diventa il crocevia
di sperimentazioni trasgressive: si fissano nuove regole, ad esempio, nei
rapporti fra esercito e stato maggiore, che diventa un rapporto basato
sulla fiducia che i sottoposti accreditano al loro “Comandante”, le divise
stesse diventano oggetti da reinventare: alcune donne vestono «alla
maschietta» con casacche grigioverdi e pantaloni miltari, gli uomini
de «La disperata», una delle compagnie più colorate
e originali, reclutati dall’aviatore Guido Keller fra i legionari più
giovani e trasgressivi, marciano per la città a torso nudo e in
pantaloncini corti; Guido Keller, uno dei personaggi più stravaganti
dell’impresa fiumana, è un cultore del nudismo e del naturismo e
si distingue per alcune imprese pittoresche e beffarde fra queste famosa
quella in cui in un’escursione aerea getta su Montecitorio un pitale pieno
di carote e di rape e progetta, ad un certo punto, di rapire il presidente
del consiglio Giolitti, idea abbandonata perché troppo rischiosa.
A Fiume viene praticato il libero amore e le donne stesse ottengono il
diritto a manifestare col voto il loro parere, partecipano alle manifestazione
collettive e alle parate anche se il mondo fiumano rimane comunque essenzialmente
maschile ed è diffuso il rapporto omosessuale che Marinetti stesso
aveva definito «gusto rispettabilissimo» e che viene considerato
un modo per opporsi alla morale bigotta e «passatista». Nella
città occupata si incontrano nazionalisti e internazionalisti, monarchici
e repubblicani, conservatori e sindacalisti, clericali e anarchici, imperialisti
e comunisti.
La Costituzione dello Stato Libero del Carnaro, redatta da D’Annunzio
e dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris, riconosce «la
sovranità di tutti i cittadini senza divario di sesso, di stirpe,
di lingua, di classe, di religione», viene sottolineata l’uguaglianza
fra i sessi e l’affrancamento della donna rispetto all’autorità
«maritale», viene introdotta la pratica del divorzio
e il diritto di voto e di lavoro per la donna. Nella Carta del Carnaro
si sottolinea l’importanza delle libertà di stampa, di riunione,
ed associazione e della garanzia di un «salario minimo» per
tutti i cittadini.
Regole e convenzioni vengono stravolte, comizi e cortei si formano
istantaneamente, composti da donne e da uomini, mulinello di gioventù,
di patriottismo, che grida, che salta, che turbina, ricorda Carli,
trascinando con sé i pochi tiepidi o i vecchi che vorrebbero far
da spettatori, bambini di quattro cinque anni tengono comizi sulla scalinata
di casa che si chiudono con il fatidico «Eja,eja,eja!Alalà».
Il Comandante stesso comizia quotidianamente la popolazione fiumana, dando
il via a quella spettacolarizzazione della politica che poi il regime fascista
metterà a punto di lì a qualche anno, riprendendone i riti,
le parate, la pulsione a capovolgere l’ordine costituito, gli slogan come
i famosi «me ne frego!», «Chi non è con me è
contro di me!», l’Alalà di saluto, persino «Giovinezza!Giovinezza!»,
canzone nata ai tempi della guerra del Piave diventa oggetto di riappropriazione
e viene riproposta nella kermesse fascista.
L’interminabile festa fiumana finisce dopo sedici lunghi ed indimenticabili
mesi nel «Natale di sangue» del 1920 quando l’esercito governativo
sconfigge rapidamente l’esercito di ribelli.
L’avvento del fascismo getterà sulla lettura di quell’episodio,
che preannuncia indiscutibilmente la marcia su Roma e l’avvento del regime
fascista, una luce torbida e nera.
Con la condanna del regime negli anni successivi alla Liberazione si
cancellarà con un colpo di spugna il ricordo imbarazzante dell’episodio
fiumano, buttando così con l’acqua sporca del regime fascista tutto
quello che aveva avuto legami ideali o formali con la dittatura, senza
porsi il problema di analizzare le varie componenti che caratterizzarono
quell’evento. La stessa sorte toccò al movimento futurista, uno
dei più vivaci movimenti di avanguardia del Novecento, che non a
caso ebbe molta più risonanza all’estero che non Italia, dove solo
di recente è stato rivalutato dal punto di vista della notevole
spinta trasgressiva e rivoluzionaria che ebbe nella elaborazione
di un pensiero estetico autenticamente innovativo e di portata internazionale.
La lettura di Claudia Salaris della provocazione fiumana tende
a porsi essa stessa come atto provocatorio, quasi un détournement
situazionista proprio per la caparbietà e la sottigliezza con cui
l’autrice cerca di mettere in contraddizione vecchi pregiudizi e schemi
di lettura per aprire nuove spiragli interpretativi su un episodio a lungo
travisato e interpretato strumentalmente da una certa critica del Novecento,
va ricordato che già Hakim Bey nel suo T.A.Z. Zone temporaneamente
autonome aveva, peraltro, citato l’episodio di Fiume come una delle
ultime utopie pirata o addirittura una delle prime TAZ della modernità.
Come in altri testi della Salaris anche qui si cerca di inserire le
vicende dell’avanguardia futurista in una lettura più ampia
accennando a eventi successivi e paralleli, come il dada, la contestazione
sessantottesca, il movimento del settantasette e riconducendo il tutto
ad un comune fil rouge trasgressivo/insurrezionale dove l’arte si lega
in maniera indissolubile con l’impegno politico e subisce, infine, la sorte
della damnatio memoriae che è innanzitutto condanna politica: il
“guai ai vinti” è, in fondo, categoria interpretativa trasversale
e atemporale.