Home SEMINARI EDITORIA NDE - RIP QUESTIONARI ADRIANA VELARDI LINKS DOC. VELARDI BIBLIOGRAFIA EREMO RONZANO CONVEGNI OLD EVENTI 2017/2018 EVENTI OLD EXTRA EVENTI ATTO DI RICON NEWS SERA JEY ENGLISH ARTE PSICHICA

 

DOCUMENTI VELARDI

 

 

In questa pagina sono trascritti documenti (articoli, conferenze e altro) scritti da Adriana Velardi o che si riferiscono a lei.

 

 

 

 

 

La massima espressione dell’Amore divino è la Compassione, sentimento che va di pari passo con l’Umiltà.

Amare disinteressatamente il prossimo è possibile.

Cercate d’amare in modo simile, almeno le persone alle quali più tenete.

 

Adriana Velardi

 

 

bullet

La Modernità che fa male - Conferenza, 2009

bullet

La Biopsicosintesi: Conflitti Subpersonalità - Conferenza, 2008

bullet

L’arte visiva muta sostanzialmente, quando è praticata in stato di rilassamento psico-fisico, unito all’ascolto musicale - Articolo

bullet

Vivere non basta - Conferenza, 2006

bullet

Rispetto (dignità) di Sé e dei propri Simili, nell’Esistere e nel Morire  - Conferenza, 2005

bullet

Piero Cassoli ha lasciato il corpo - Articolo, 2005

bullet

Marco Margnelli ha lasciato il corpo - Articolo, 2005

bullet

"QUADERNI DI PARAPSICOLOGIA" - Notiziario n° 13 del C.S.P.  di Bologna - Resoconto conferenza, 2003

bullet

Consapevolezza di Sé - Dispensa seminario omonimo, 2002

bullet

Come eravamo  - Articolo, 1999

bullet

Fatture New Age - Articolo

bullet

Contatti MED gratuiti - Articolo

bullet

I Superdotati - Articolo

bullet

Medium-Medianità  - Articolo

bullet

Psicoscopia - Chiaroveggenza Tattile - Articolo

bullet

Telepatia - Articolo

LE NOTE A PIÈ DI PAGINA, SONO IN FONDO AD OGNI DOCUMENTO

 

LA MODERNITA' CHE FA MALE - Conferenza del 10 Dicembre 2009, tenuta in Bologna, organizzata dalla Associazione Italiana di Biopsicosintesi .

Fui molto onorata quando l’Avvocato e Psicologo Sergio Erasmo Dati, Presidente dell’Associazione Italiana di Biopsicosintesi, mi chiese di tenere una conferenza.

Il tema da lui scelto però mi parve immediatamente complicato, per differenti ragioni, tra le tante: avrei potuto rischiare di intessere argomentazioni che, ad un giovane pubblico, avrebbero potuto far affermare che “è un “male” generazionale, trovar difetti nell’attualità, ricordando con nostalgia i bei tempi andati, dimenticando di memorizzarne i difetti”.

Ho conseguentemente voluto riportare alla mente come ero io quando, giovane, mi trovavo nel periodo del “boom della modernità”, l’epoca che la mia generazione visse come una sorta di stravolgimento (positivo) socio culturale e morale.

Altre considerazioni, mi hanno poi indotta a pormi la seguente domanda: “Se ora mi duolgo per i svariati “mali” che osservo nel quotidiano esistere, qualcuno potrebbe dirmi che penso e vivo, come una persona vecchia in età?”.

Certamente mi si potrebbe ritenere immodesta se affermo che attualmente, di vecchio in me c’è il mio corpo, mentre la mia mente è lucida, volitiva e sicuramente maggiormente saggia e conseguentemente più abile di un tempo.

Non posso ritenermi presuntuosa se sostengo che, la mia generazione e quelle a me precedenti o di poco successive, pur non avendo goduto nell’infanzia, nell’adolescenza e in gioventù, dell’utilizzo di mezzi tecnologici sofisticati, di delizie per il palato provenienti (ogni giorno) da ogni parte del mondo, di informazioni visive ed uditive, riguardanti luoghi enormemente distanti (che io sicuramente in questa vita non visiterò mai), non è affatto obsoleta.

Quando ero giovane, essere moderni significava anche poter vivere meglio in salute fisica e mentale, si credeva che una migliore e maggiore agiatezza per i più, avrebbe contribuito a far evolvere le menti ed anche le anime degli umani.

L’attualità dimostra che non è così ed ha assolutamente ragione, la Saggezza Popolare Perenne che, tramite un semplicissimo aforisma, sostiene che “il troppo stroppia” ovvero devia, rovina, distrugge.

A sostegno di quel che dicono gli Antichi, prenderò in considerazione alcuni dei più noti e/o diffusi “vantaggi” della modernità attuale, relativi ad alcune specifiche sfere dell’esistere.

L’alimentazione

Oggi è meno sana; anche se nel nostro Paese c’è crisi economica (come in gran parte del mondo), sono sempre meno le persone che all’interno delle proprie abitazioni cuociono il proprio cibo; molte mangiano panini imbottiti, alimenti precotti, congelati, surgelati, tutti preparati da altri, in luoghi sconosciuti, con modalità non sempre cristalline.

Le tecnologie elettroniche

Molte persone avevano creduto che l’utilizzo di strumenti quali il computer, il telefono cellulare ed internet, avrebbero potuto favorire un maggiore dialogo con il prossimo ed anche sviluppare maggiormente l’intelletto. In realtà, nella maggior parte dei casi, questi mezzi hanno contribuito ad isolare le persone, hanno tolto valore alla propria lingua scritta ed orale, hanno permesso ad ogni individuo (che li utilizza con continuità) di ingigantire in modo mostruoso, le “maschere” inconsce che allontanano principalmente da se stessi ed ovviamente dal mondo. L’utilizzo esagerato del computer può essere fatto rientrare nell’ambito delle patologie derivanti dall’uso delle droghe. E’ recente la notizia (mercoledì 4 novembre 2009) che nel Policlinico Gemelli di Roma è stato attivato un reparto per curare persone dipendenti, più precisamente drogate da Internet, le quali come quelle che si drogano con alcool e altre sostanze legali ed illegali, tendono a dissociarsi, adottando un atteggiamento autistico, creando un proprio mondo illusorio, che li  spinge a non vivere più nella realtà e a dimenticarsi del proprio lavoro, dei propri affetti, figli compresi.

Le droghe legali

Si tratta di quei “meravigliosi” prodotti chimici che si possono acquistare in qualunque farmacia, a volte anche senza ricetta medica, che si consumano fin dai primi mesi di vita, per non sentir dolore fisico oppure psicologico. Ciò che turba è il fatto che, in svariati casi, vengono somministrati “calmanti chimici” ai neonati, perchè i genitori non hanno voglia di stare alzati la notte a vegliare i figli. Forse molte persone non sanno che ora esiste anche lo psichiatra per il cane, il quale somministra agli animali psicofarmaci perché i padroni li vogliono calmi, tranquilli, come lo sono i pupazzi di peluche. Non è certamente infrequente che molti genitori pensino ai propri figli come fossero oggetti, bambolotti (e non bamboccioni), di cui non desiderano occuparsi (tranne per elargire somme per il loro sostentamento ed anche divertimento) e che vogliono affidare ad altri: le tate, le baby sitter, le maestre/i, i professori/esse, gli allenatori di squadra di calcetto, di pallavolo, di piscina, oppure ai maestri di danza, di teatro, alla  play station e alla televisione che, fino ad oggi, risulta essere il mezzo elettronico più economico. Insomma, ciò che importa per questo tipo di persone è che la responsabilità educativa e a volte anche affettiva, nei confronti dei propri figli, la prenda un altro individuo, non il genitore naturale o biologico. Va infine precisato che per molti genitori è faticoso dover scegliere di non piacere ai propri figli, in particolare quando (in loro specifiche età evolutive) essi devono loro dire svariati “no”.

L’Alcool e le droghe illegali

Sono proprio i genitori deresponsabilizzati che più di tutti si meravigliano, quando apprendono da altri (ad esempio dai tutori dell’ordine che inviano a casa multe salate, oppure dagli assistenti sociali, dagli insegnanti, dagli psicologi e/o psicoterapeuti, ecc.) che i loro figli si ubriacano oppure utilizzano droghe illegali.

Oggi le droghe illegali ed anche l’alcool, sono utilizzati fin dalle classi elementari; tutti sono avvertiti, lo sanno però la totalità dei genitori pensa che non siano i propri figli a compiere tali esperienze ma quelli del “vicino”. I ragazzi sono informati fin da quando frequentano la scuola materna, sul perchè e come sia dannoso l’utilizzo di specifiche sostanze, ciononostante troppi di essi si dedicano all’utilizzo delle droghe illegali e dell’alcool. Quando non possono fare uso di droghe illecite, preparano cocktail con farmaci trovati in casa oppure acquistati in farmacia; c’è poi chi, per inebriarsi, utilizza la colla, le gomme delle automobili e tanti altri materiali o sostanze che, per poche ore, permettono ai ragazzini/e di “sballare”, di allontanarsi dalla realtà.

Sono concorde con il filosofo e psicologo Umberto Galimberti, il quale ne “L’ospite inquietante – il nichilismo e i giovani[1], dice:

“… Resta da dimostrare che le droghe lecite, quelle autorizzate dallo stato – alcol e tabacco, per non parlare di quella droga chiamata “gioco” – mietano meno vittime di quelle illecitehashish, eroina, cocainaproibite dallo stato… il mondo della droga che, oltre ad essere ben più vasto e variegato, è scarsamente leggibile sulla base della distinzione elementare tra “droghe pesanti” e “droghe leggere”, non perché la differenza non esista, ma semplicemente perché la cultura giovanile non rispetta questa differenza …. Le une e le altre sono di continuo mescolate nella pratica quotidiana, per cui se quasi tutti fumano gli spinelli, molti tra di essi al sabato sera in discoteca si fanno di ecstasy, quando capita si calano un acido, e se non si bucano, difficilmente rifiutano di sniffare un po’ di cocaina e all’occasione anche un po’ di eroina, per non dire, per i meno fortunati, delle ubriacature dei fumi di benzina in mancanza d’altro”. 

La libera sessualità

Ho sempre ritenuto che essere liberi, significhi decidere da sé del proprio sentire interiore e del conseguente agire esteriore. Non è errato sostenere che oggi, anche il fare sesso con libertà, non sempre è dettato da una autonoma scelta, ma spesso da un input di moda, esattamente come bere e drogarsi con sostanze illegali e internet.

La maggior parte di giovani (ma anche gli adulti in età), fa sesso libero, per non essere considerata antico/a. La gran parte dei ragazzi e ragazze, fa esperienzeextra”, per mera curiosità o per essere moderna. A d esempio molti giovani maschi, trovano moderno fare sesso con i transessuali, come molte ragazze fanno esperienze di omosessualità per mera curiosità, non necessariamente finalizzata alla comprensione del proprio orientamento sessuale.

In tempi recentissimi[2] il noto settimanale “Panorama” ha evidenziato in copertina un’inchiesta esclusiva dal titolo: “Caterina, 15 anni , così mi vendo ai compagni di scuola” – con sottotitolo: “Milanese, famiglia benestante, ha iniziato a fare sesso a scuola per pochi euro. Ma non è un caso isolato. Come raccontano i suoi racconti shock e quelli dei suoi coetanei”. All’interno del servizio giornalistico curato da Alessandro Calderoni, sono contenuti differenti paragrafi, segnalati da interessanti titoli e sottotitoli che ora vado ad elencare:

 

1) a pag. n° 48:La Figlia – Non mi pareva una cosa tragica”. Ovvero fare sesso a pagamento con i compagni di scuola;

2) a pag. n° 50: Il padre – Ci è crollato il mondo addosso”. Vale a dire: i genitori non ne sapevano nulla!

3) a pag. n° 49: Il sesso corre sul web - Adolescenti: il rapporto con il loro corpo è sempre più distaccato. Ci sono quelle che si spogliano a tariffa sul telefonino, quelli che si passano film porno a 12 anni e quelli che si portano in classe le Barbie per masturbarsi in gruppo”.

 

Non è certamente una novità apprendere simili notizie dai giornali, già nel 2007 la giornalista, Marida Lombardo Pijola,  condusse una serissima inchiesta che le permise di realizzare un utilissimo libro, il cui titolo è “Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa[3].

Nel libro sono contenute numerose storie di ragazzi e ragazze, appartenenti a differenti sfere sociali. La quasi totalità degli intervistati, racconta di avere fatto esperienze sessuali in età preadolescenziale, queste esperienze sono quasi sempre andate di pari passo con l’utilizzo di droghe illegali e di alcool. Ad esempio nella pag. 87 è descritta la storia di Giulia che di seguito sintetizzo. Quando il padre abbandonò definitivamente la famiglia, Giulia aveva dodici anni, il fatto accadde di mattino e nel pomeriggio la ragazza uscì con Roberto che aveva 18 anni. Giulia raccontò alla giornalista di aver: - “scopato con lui  - Roberto - sul prato dietro la vecchia fabbrica, era la prima volta e mentre scopavo, non ho sentito niente, proprio niente” -. Giulia precisa: - “Mi sono innamorata di Roberto quando facevo la quinta elementare. Avevo dieci anni e lui sedici” -.

Quello che suscita interesse nella lettura di tale specifica inchiesta, non è la descrizione -“confessione” delle modalità tramite le quali, ad esempio una giovane adolescente racconta di aver abortito clandestinamente (spendendo oltre 1000 €), oppure quella del ragazzo di famiglia molto agiata che vende droga, per essere autonomo ed arricchirsi, o di un altro sempre di buona famiglia che da grande vorrà fare pappone perché si guadagna bene senza troppa fatica.

Ciò che rende illuminante questo libro (che può essere considerato un vero e proprio saggio, la cui lettura dovrebbe essere raccomandata a genitori e insegnanti, sia delle classi inferiori che superiori), è l’elenco delle ragioni che hanno spinto ogni singolo giovane ad adottare specifici comportamenti. Nella maggioranza dei casi, è emerso che le motivazioni che spingono i giovani a trasgredire, hanno a che fare con il loro non sentirsi adeguatamente considerati dagli adulti, a cominciare dai genitori.

È molto diffusa l’idea, in una gran parte di adolescenti che gli adulti sono nemici che si debbono “tenere buoni” unicamente per ottenere da loro quel che necessita per il proprio sostentamento economico. In merito all’eventuale impegno professionale futuro, la quattordicenne Giulia specificò: - Lavorare? “Non è tra i miei progetti. Da grande voglio farmi mantenere e non ridurmi a uno straccio bagnato come” mia madre “che lavora in cartoleria fino alle otto, e invecchia sulle penne e sui quaderni, e si sgualcisce, e appassisce, e quando torna” a casa “si perde i mariti” -. Ed è sempre Giulia che in merito al suo attuale stato economico racconta: - “… Da grande io mi farò le canne tutti i giorni, le spaccerò per farmi un po’ di soldi per lo shopping e non sarò più una dilettante come ora, che me ne fumo soltanto un paio a settimana e per pagarle vendo un po’d’erba a scuola, ma ci guadagno poco e non basta” -.

Desidero nuovamente ritornare a quanto di recente è stato pubblicato all’interno di Panorama, precisamente nella pag. n° 53, dove si trova l’articolo curato da Terry Marocco titolato: “E in casa è un dialogo fra muti – Età evolutiva: padri e madri oggi sanno poco o nulla dei loro figli. E spesso sono essi stessi adolescenti mai cresciuti, incapaci di comunicare e di dare risposte nell’età più critica dei ragazzi”. L’articolo prosegue nella pag. n° 54, nella quale, evidenziato in carattere grassetto e collocato al di sotto di una fotografia (che mostra il lato “B” di due ragazze che indossano jeans), si legge: Sesso come cibo - gli adolescenti hanno una precocità sessuale che annienta i genitori”.

I genitori che sostengono che i loro figli e in particolare le figlie, non corrono rischi perché non escono di sera, forse non sanno (oppure non vogliono credere) che esistono discoteche, spesso gestite da minorenni,che aprono di pomeriggio, dove i ragazzini vanno ad acquistare droga ed alcool e le ragazze fanno le cubiste. Ciò è, confermato da Arianna, un’altra intervistata da Marida Lombardo che frequentava la “terza media e ballava nella disco già da quasi un anno”, che descrive quel che accade nelle discoteche pomeridiane frequentate da adolescenti e maggiorenni: Sei fai la cubista puoi trescare con i dj, con i gestori, con quelli dello staff che hanno potere, fascino, e sono simpatici, strafichi. Trescare serve per far carriera, e poi ti diverti. I gestori hanno sedici, diciassette, diciotto anni. Fuori dal locale non si filerebbero mai una che va in seconda. Ma se fai la cubista sei una donna. Non più una ragazzina. Con i clienti della disco treschi soltanto se ti va. E puoi farti pagare, se vuoi, così ti diverti  e ci guadagni!! È come se fossi già grande, come se avessi già un lavoro. …. Cosa dico ai miei genitori? …nulla. Dici che esci con le amiche e ti fai venire a prendere alle sette e mezzo davanti a un cinema, oppure a casa di un’amica. Esci vestita normalmente e poi ti cambi lì, al locale…”.

Nel libro di Marida Lombardo Pijola vi sono numerose fotografie scattate all’interno delle discoteche aperte il pomeriggio, dove le ragazze fanno le cubiste con i loro speciali "abiti" di scena.

Anche se si potrebbero elencare molti altri aspetti nocivi della modernità attuale, descritti dalla stampa o all’interno di libri inchiesta, per il momento termino con le citazioni perchè desidero illustrare le mie ipotesi, partendo dalla frase:

- Molti ragazzi vanno con i transessuali perché va di moda”-.

Si tratta di una affermazione, a me spontaneamente confidata da un ragazzo che conobbi in Genova nel mese di ottobre 2008[4], quando non era ancora scoppiato il caso “Marrazzo”; egli era uno dei soci fondatori dell’associazione culturale fatta di giovanissimi che erano riusciti a convincere numerosi loro coetanei (ragazzi e ragazze), che aveva senso sacrificare il sabato pomeriggio, per ascoltare una conferenza, che trattava della “Ricerca del Sé”.

I giovani (ma anche adulti in età) che partecipano a conferenze di tal tipo, come quelli che praticano Yoga, tecniche meditative, frequentano gruppi buddhisti o di altre filosofie e discipline di derivazione orientale e non, non sono differenti da quelli che si drogano e bevono sostanze alcoliche o fanno sesso “strano”, si può sostenere che, in gran maggioranza, sono gli stessi.

Ciò accade perché il potere del business economico (ma a volte anche semplicemente narcisistico o idealistico) connesso all’insegnamento di discipline, nate per favorire la disinteressata evoluzione spirituale degli umani, induce la maggior parte degli organizzatori a chiudere un occhio, a non verificare se gli studenti o adepti oppure frequentatori di palestre, fanno uso di droghe o alcool. Questo atteggiamento è a mio parere dannoso oltre che errato.

Non si aiutano le persone facendo loro credere che basti praticare esercizi di rilassamento o meditativi, recitare specifici mantra, praticare digiuni e rituali, per risolvere i propri problemi interiori oppure per ottenere successo professionale. Due anni fa, una giovane di circa trenta anni (da poco laureata al DAMS di Bologna) si rivolse a me perchè incuriosita dalla tecnica di rilassamento psico -fisico da me denominata RIP (Regressione Ipnotica Prenatale), tramite la quale avrebbe voluto trovare una soluzione a sue specifiche fobie e conflittualità interpersonali. La giovane mi raccontò che alcuni mesi prima, si era gettata dal terzo piano, mentre era sotto l’effetto di droghe “leggere” (sopravvivendo senza gravi conseguenze fisiche). Successivamente elencò l’elevato numero di droghe illecite che aveva assunto, soltanto dalla età di 17 anni, alcune delle quali continuava a consumare “per spirito di ricerca scientifica”.

Poiché la tecnica RIP può essere applicata soltanto a chi non utilizza droghe di alcun tipo (illegali o legali) né deve far uso di alcool, suggerii alla giovane che la terapia più semplice ed economica, che avrebbe potuto darle sicuro giovamento, era il lavoro fisico ed in particolare andare a lavorare nei campi, a zappare la terra. Questa pratica quotidiana, le sarebbe stata più utile del praticare le tecniche meditative da lei conosciute, oppure dall’aver seguito i corsi di tarocchi ed anche di altro genere, condotti da un famoso maestro mago. La giovane donna mi rispose: “In effetti avevo proposto a mio fratello di trasformare una proprietà che i miei genitori hanno nella campagna veneta, in un agriturismo di lusso”. Risposi alla giovane: “Perfetto, cominci però dallo scavare la terra”. Ovviamente quella donna non comprese il mio parlare (che non voleva essere sarcastico e neppure ironico). Non la rividi più perchè era maggiormente attratta dalla frequentazione del maestro e mago  il quale, affinché la giovane potesse risanare il conflitto con il proprio padre, le consigliò di compiere un  pellegrinaggio a Lourdes, portando in omaggio alla Madonna il proprio liquido mestruale. La ragazza, in quel unico incontro mi disse che seguì con grande entusiasmo quel particolare consiglio. Si recò in pellegrinaggio, l’esperienza fu molto emozionante, ma precisò che, quel singolare rito non le permise di risolvere il conflitto con il proprio genitore, né di mettere fine alle sue numerose fobie (gran parte delle quali sicuramente sorte a causa dell’utilizzo di specifici allucinogeni).

Questa breve digressione, per farvi meglio comprendere che molti tra i giovani attuali, associano l’essere moderni alla trasgressività sessuale o di altro genere. Ciò avviene soprattutto laddove essi si muovono in gruppo, oppure come evidenziano molti sociologi e psicologi, in branco. Non è errato sostenere che tale agire, ha come matrice principale, la mancanza di un adeguato referente familiare e sociale. Restando al referente familiare, i genitori, si può osservare che anche questi ultimi, si muovono perseguendo l’ideale della modernità, più precisamente: nel timore di non essere considerati moderni.

A causa della paura di apparire vecchi, moltissimi genitori si omologano all’agire dei più. Conseguentemente, i grandi in età (“non adeguatamente cresciuti[5]” interiormente) travestiti da giovani, non si preoccupano (o non sono in grado) di trasmettere ai figli o ai nipoti, l’esperienza dell’esistere.

Questi pseudo adulti, preferiscono assumere il ruolo di compagno/a di giochi o di pseudo amico/a con cui competere, ad esempio scegliendo di andare a ballare con i propri figli o nipoti, anche per cercare insieme a loro, partner sentimentali o sessuali, a volte anche la “roba” con cui prepararsi le “canne”.

I falsi giovani o gli esteriormente moderni vecchi, si vestono in modo simile ai propri discendenti, praticano lo stesso sport, si recano dallo stesso chirurgo estetico e, le cronache recentissime ce lo evidenziano, vanno anche con i transessuali.

Oggi, un sempre maggior numero di genitori e nonni, non cerca quindi di avere con i figli e nipoti un reale confronto esistenziale, ma si limita a dar valore all’agire esteriore e poco si preoccupano della propria crescita psicologica e spirituale e ancora meno di quella dei propri discendenti. A tal proposito, siccome mi piace citare fatti e non solo teorie, desidero narrarvi una ulteriore e particolare vicenda familiare, accaduta alcuni mesi fa, e a me raccontata da una cara amica. In una giornata normale, all’interno di una famiglia normale, appartenente al ceto medio alto, composta da marito cinquantenne, moglie coetanea e due figli (il maschio di anni 18 e la femmina di qualche anno minore), il padre si presentò a casa in compagnia di una ragazza di 25 anni, vestita alla moda, con minigonna e l’ombelico in bella vista. Dopo aver salutato i familiari, l’uomo rivelò loro quanto segue: - “Questa è la mia compagna, ora faccio i bagagli e vado a vivere con lei” -. A questa esagerata violenza psicologica, che l’uomo impose alla famiglia (?), seguì la reazione del primogenito, il quale picchiò con altrettanta violenza, fisica, il padre. Quest’ultimo una volta uscito di casa, si recò nel più vicino Commissariato dei Carabinieri dove sporse formale denuncia nei confronti del figlio.

Anche questa recentissima vicenda, super sinteticamente descritta, avvalora le argomentazioni da me fino ad ora esposte ed in particolare quelle concernenti la deresponsabilizzazione dei genitori.

Sostengo che il male oscuro dell’umanità attuale è l’errato concetto di modernità. La paura di non essere moderni, non più giovani, conseguentemente sempre più vicini alla morte, spinge la gran parte degli individui (di qualunque età, sesso, ceto sociale, credo religioso, etnia) a non cercare nell’altro da sé considerazione, stima, affetto, simpatia, comprensione, amore, compassione.

Come fuggono dal dolore fisico (e psicologico), tramite l’utilizzo di droghe legali e illegali, le persone fuggono dal contatto diretto e reale con il prossimo perchè, dall’attuale umanità, il confronto con l’altro, è soprattutto mediato dalla insana competizione e non dalla volontà di conoscere, di fare esperienze per capire maggiormente se stessi e conseguentemente i propri simili. La fuga dal prossimo, altro non è che una fuga da se stessi.

Sostanzialmente, le persone fuggono dal naturale intimo bisogno di amare ed essere amate. Il bisogno di amare può essere ricondotto ad un istinto primordiale, cui neppure le specie animali ritenute a noi inferiori sfuggono; infatti, esse manifestano palesemente amore, tra di loro e nei confronti dell’umano che li adotta. Gli animali necessitano di dimostrare il proprio amore a chi li ha adottati, ma allo stesso tempo vogliono essere palesemente considerati ed amati tramite carezze, baci, buone parole, da chi considerano il proprio capo branco. Ribadisco che il male della modernità attuale, sta nell’errato concetto di modernità, la quale nega all’individuo la possibilità di vivere liberamente i propri sentimenti, i quali spesso sono percepiti dai più come debolezze.

È risaputo che molte donne e uomini, preferiscono non fare sesso oppure lo fanno rinnegando la componente emotiva e sentimentale; essi prediligono chiamare il proprio partner “amico” o “amica”, volendo così sottolineare che, in tal relazione non vi è responsabilità finalizzata alla costruzione di un nucleo familiare, ma anche perchè si convincono che, nel caso in cui la relazione non vada avanti, essi soffriranno meno se, fin dal principio, negano l’esistenza della componente sentimentale, affettiva.

Per correttezza, debbo sottolineare che quanti si occupano di tematiche psicologiche e psichiatriche, sanno che in molti casi, tal tipo di modello comportamentale è da ricondursi a specifiche forme depressive, che sfociano in nevrosi ansiogene e in altri particolari sintomi psicologici.

Le persone che adottano simili comportamenti, illusoriamente intendono evidenziare che nella relazione con l’altro, il loro corpo è un oggetto che deve essere palesemente usato per fare sesso mentre i sentimenti debbono essere collocati in altri ambiti, magari “chattando” in internet. Proprio questo modo di ragionare (ovvero di proiettarsi quasi patologicamente al di fuori di sé, negando a se stessi necessità intime, non necessariamente riconducibili alla mera sessualità) incrementa in modo esponenziale i fenomeni legati alla depressione (fenomeno che si stima essere percentualmente il triplo rispetto ai nati nel 1945), malattia che è strettamente connessa con la scarsa considerazione di se stessi, con la mancanza di fiducia in sé e nel prossimo, ma soprattutto con l’inadeguata cultura che, come sottolinea U. Galimberti,  porta la maggior parte di persone a non capire che “…è difficile pensare di poter governare la propria vita senza un’adeguata conoscenza di sé[6], ovvero senza tenere in considerazione anche gli aspetti più sottili, intimi del proprio e dell’altrui esistere. Paradossalmente, proprio perchè sono convinte che il corpo è modificabile, restaurabile, queste persone lo considerano eterno e quindi tendono a volersi immaginare eterne, per cui ricorrono in modo palese, senza troppe paure agli interventi di chirurgia estetica e a tutto quanto concerne la salute esteriore del corpo fisico.

Si può certamente sostenere che “il mondo va alla rovescia; un tempo si esagerava nell’attribuire sacralità al corpo, ma oggi si esagera quando lo si considera un oggetto solo perché può essere modificato, restaurato.

La sacralità del corpo dovrebbe essere tenuta in grande considerazione, non relativamente agli aspetti meramente materiali ed estetici, ma per il fatto che esso è il contenitore di quella Parte o Essere davvero prezioso e sacro, che secondo la tradizione indovedica (un tempo anche per quella cristiana) sopravvive alla morte. Chi crede a questa ipotesi, infatti non afferma: “la tal persona è morta”,  ma dice che la persona “ha abbandonato il corpo”, volendo in tale modo sottolineare che il vero proprietario del corpo (da differenti culture definito Anima, Atman, Spirito, Sé Superiore) è una sorta di inquilino il quale, non avendo più una casa che lo soddisfa perchè invecchiata e malsana, va ad abitarne un’altra nuova e confortevole.

In merito all’esistenza dell’anima e alla tesi reincarnazionistica, mi torna alla mente George I. Gurdjieff[7], Maestro di Saggezza, il quale sosteneva che l’anima è un lusso che non tutti possiedono e che l’esperienza del vivere, ha proprio a che fare con la possibilità di conquistarsi tale speciale apparato. Gurdjieff spiegava che, quando il corpo dell’uomo e della donna super robotizzati, automatizzati (come lo siamo tutti noi) termina di esistere, essi non conquistano altrettanto automaticamente e/o immediatamente, la possibilità di avere un’anima tramite la quale potersi reincarnare (mantenendo la memoria di quel che avevano precedentemente vissuto), ma diventano semplicemente concime, a meno che non abbiano precedentemente studiato per ottenere una maggiore ed adeguata consapevolezza di sé.

Mi piace ricordare e conseguentemente informare chi non ha studiato le teorie di Gurdjieff (che era chiamato Maestro di Quarta Via, più semplicemente filosofo e psicologo nonché esoterista) che agli inizi del ‘900, all’interno del libro dal titolo “Incontri con uomini straordinari[8], profetizzò che i giornalisti avrebbero creato danni all’evoluzione umana, perchè avrebbero sempre deformato le verità loro confidate o da loro stessi apprese. Tutti siamo testimoni che quel che predisse Gurdjieff, in tempi in cui non esisteva la televisione e neppure internet ma soltanto qualche raro giornale, è reale ed enormemente attuale, moderno.

Gurdjieff infatti fu (ed è, tramite le sue teorie) un uomo molto moderno perchè oltre a mantenere in sé la memoria degli Antichi Saggi, finché visse, si preoccupò soprattutto di studiare e insegnare teorie e mezzi utili all’evoluzione psicologica e spirituale degli umani, dando un adeguato e non prioritario valore, alle questioni meramente materialistiche.

L’evoluzione personale, come quella di una comunità, si attua soprattutto applicando a se stessi regole precise che, pur tenendo conto delle proprie priorità strettamente legate al tipo psicologico umano cui si appartiene, non dovrebbero ledere i diritti dei propri simili anche perchè, nessun essere umano è uguale ad un altro.

Per queste ragioni affermo che, dove c’è esagerata omologazione, non c’è evoluzione; insieme a Gurdjieff sostengo (avendolo ogni giorno applicato nella mia vita) che, per crescere in intelligenza e in spirito, occorre distinguersi non agendo mai come fanno gli altri, più precisamente: non aderendo pienamente ai modelli, che solitamente l’attualità definisce “moderni”. Sulla modernità che fa male, vi sarebbe molto altro da dire, per esempio sui nuovi modelli genitoriali, sul perchè le persone hanno sempre più vergogna di apparire esteriormente vecchie, sulle ragioni per cui vi sono sempre più suicidi tra i giovani e non soltanto tra gli anziani, sulla comunicazione che è sempre meno vera, sia sul piano interpersonale che pubblico, sul fenomeno del bullismo maschile e femminile, sul perchè i giovani si divertono a far cadere massi dai ponti che sovrastano le autostrade, sugli stupri fatti in gruppo e ovviamente singolarmente, sul perchè la gente corre per realizzare inutili chimere. Sono però consapevole che occorrerebbero molte ore per analizzare seriamente anche soltanto uno di questi argomenti, per cui preferisco concludere la mia relazione perché si  apra un dibattito che permetta di sentire le opinioni di chi mi ha fino ad ora cortesemente ascoltata, dopo però avervi letto quel che Gurdjieff scrisse nel prologo del suo libro “La Vita Reale[9], in parte perchè corrisponde al mio agire quotidiano, interiore ed esteriore ma soprattutto perché richiama quello che sosteneva Roberto Assagioli (il Padre della Psicosintesi)[10]:

 

Io sono … Dove è andata a finire quella sensazione di me tutto intero, che ero solito provare una volta quando pronunciavo queste parole in stato di <<richiamo>>?

È forse possibile che questa attitudine interiore acquisita al prezzo di tante rinunce e di mortificazioni di ogni genere, oggi che la sua azione sul mio essere sarebbe più indispensabile dell’aria che respiro, sia sparita senza lasciare traccia?

No, questo non è possibile.

C’è sicuramente dell’altro… oppure tutto, nel mondo della Ragione è privo di logica.

No – il potere di compiere sforzi coscienti e di assumermi una sofferenza volontaria non si è ancora atrofizzato.

Tutto il mio passato e tutto quello che ancora mi aspetta esigono che IO SIA ancora.

Lo voglio… sarò ancora.

E a maggior ragione poiché il mio <<essere>> è necessario non solo al mio personale egoismo, ma al bene dell’umanità intera. Il mio <<essere>> è più necessario agli uomini che non a tutte le soddisfazioni o tutta la felicità che essi possono procurarsi oggi.

Voglio ancora <<essere>>… Io <<sono>> ancora.

horizontal rule

NOTE A PIE' DI PAGINA

 

[1] U. Galimberti, "L’Ospite inquietante" – Serie Bianca Feltrinelli, ottobre 2007, nona edizione2008 – pagg. 86 e 92.

[2] Precisamente: Panorama del 01 Ottobre 2009 n° 40 (2263).

[3] Marida Lombardo Pijola, "Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa" - Bompiani, Grandi Saggi, 2007.

[4] Precisamente: il giorno 11 Ottobre 2008, l'Associazione Culturale PIRRI, organizzò in Genova, la conferenza dal titolo “La Biopsicosintesi: conflitti e subpersonalità”.

[5] Terry Marocco, in Panorama del  01.10.2009, pag. 53.

[6] U. Galimberti, "L’Ospite inquietante" – Serie Bianca Feltrinelli, ottobre 2007, nona edizione2008 – pag. 45.

[7] G. J. Gurdjieff, nacque ad Alessandropoli (J. I. Gurdjieff, la sua data di nascita è incerta, avvenne a Kars, sul confine Turco-russo, mentre si sa che morì il 29 ottobre 1949, alla età di 83 anni), in Russia, vicino alla frontiera persiana. Gurdjieff, è conosciuto come Maestro di "Quarta Via". Per molte persone, incontrarlo ha voluto dire: "cambiare la propria vita", imparare a essere. Fra i personaggi che lo conobbero in vita si ricordano René Dumal, Katherine Mansfield, il filosofo Ouspensky. Giunse in Francia, nel 1922, accompagnato da un piccolo gruppo di seguaci e dopo poco tempo, presso Fontainebleau, al Prieuré, fondò l' "Istituto per lo sviluppo armonioso dell'uomo", nel quale insegnava - tramite l'ausilio di tecniche collegate ad antichissime dottrine orientali - a risvegliarsi da una vita di automi addormentati. Così egli giudicava la vita normale degli occidentali. Dopo la sua morte, avvenuta a Parigi nel 1949, l'insegnamento di Gurdjieff ha continuato a diffondersi capillarmente, toccando le persone più diverse e, tutt'oggi, quelle che si ispirano a lui, sono sparse in ogni parte del mondo. Lo scritto riportato in appendice, sintetizza gli scopi del suo insegnamento e del suo essere.

[8] G. I. Gurdjieff, “Incontri con uomini straordinari”, Edizioni Adelphi.

[9] G. I. Gurdjieff, “La vita reale”. Ne sono state stampate varie edizioni, tra esse: 1) 1987, Manilo Basaia Editore, Roma – traduzione di Maria Grazia Giovannini. 2) 1995 FME. 3) 199 Libritalia – L’Antro delle ninfe (Raccolta di testi esoterici) a cura di F. Laganà - traduzione di Maria Grazia Giovannini.

[10]  Roberto Assagioli (nacque a Venezia il 27 febbraio 1888; morì a Capolona il 23 agosto 1974 in provincia di Arezzo). Laureatosi in Medicina all’Università di Firenze nel 1910, con una tesi sulla Psicoanalisi preparata all’Ospedale Psichiatrico Burghölzli di Zurigo, successivamente si specializzò in psichiatria e si dedicò alla Psicoterapia utilizzando vari metodi e sviluppando, poi, un suo metodo integrale, la Psicosintesi. Nel 1929 fondò a Roma l’Istituto di Psicosintesi, che dopo la guerra fu trasferito a Firenze. Fin dal 1905 aveva cominciato a pubblicare articoli in varie riviste e particolarmente in Psiche, da lui fondata nel 1911. I suoi scritti in oltre otto lingue, ammontano a più di trecento, no dei più importanti è "L'atto di Volontà", edito da Astrolabio. Tenne numerose conferenze in vari paesi europei e negli U.S.A. ove promosse la creazione della “Psychosynthesis Research Foundation” con sede in new York. Altri Istituti, Centri e Associazioni nei quali viene insegnata la psicosintesi esistono negli U.S.A., Argentina, Francia, Svizzera, India, Grecia. In Italia, oltre all’Istituto di Psicosintesi, il pensiero di Assagioli è promosso dalla Associazione Italiana di Biopsicosintesi (sorta quando Assagioli era ancora in vita e con il suo benestare) con Sede unica in Bologna, il cui attuale Presidente è l’Avvocato  e Psicologo Sergio Erasmo Dati.

 

LA BIOPSICOSINTESI: CONFLITTI E SUBPERSONALITÁ - Conferenza tenuta l'11 Ottobre 2008 in Genova, organizzata dalla Associazione Pirri.

La Biopsicosintesi è una metodologia psicologica (derivata dalla Psicosintesi) che ha come obiettivo la maggiore coscienza tramite la volontà, per gestire con maggiore consapevolezza le dinamiche della propria personalità. In questo studio, da molti conosciuto anche come “Ricerca di se stessi” (che si attua principalmente con la osservazione dei propri automatismi che riguardano la sfera della esistenza materiale, intellettuale ed emotiva), quando si pronuncia il termine SE', si intende denominare quella parte che é più lontana dalla propria personalità (o aspetto esteriore), da quelle parti sottili (inconsce) presenti in ogni essere umano. Queste parti furono definite da Roberto AssagioliSubpersonalità”, da George. J. Gurdjieff furono chiamate “Falsi Io” e da altri più semplicemente “identificazioni”.

Roberto Assagioli è il padre della psicosintesi, ma non è noto in Italia quanto lo è invece in altre parti del mondo, i suoi libri sono tradotti in ben nove lingue. Era medico, psichiatra, filosofo, educatore, scrittore, esoterista. Splendido individuo che seppe parlare a tutti, persino ai più acerrimi positivisti, riuscendo a fare accettare e comprendere le proprie teorie, non soltanto a coloro che già sperimentavano specifiche discipline introspettive, ma anche a chi totalmente le ignorava. Assagioli superò i concetti freudiani e junghiani, affermando che: PRINCIPIO DELL'EVOLUZIONE UMANA E' LA VOLONTA' CONSAPEVOLE e scrisse numerosi libri contenenti indicazioni, esercizi, che ognuno può sperimentare da sé. Egli coniò il termine “psicosintesi” e sostenne che: l'unico ideale, l'unico scopo esistenziale, è il raggiungimento del proprio SÉ. Ad esso si può arrivare armonizzando il proprio Essere nei suoi diversi aspetti, primo fra tutti occorre stimolare l'attenzione uditiva, visiva, cinestetica, per riattivare quel che è sopito o/e sconosciuto. Poche persone riescono ad adoperare contemporaneamente i linguaggi uditivo, visivo e cinestetico, alcune fortunate ne hanno attivati due, farli funzionare tutti e tre è sinonimo di grande realizzazione. Assagioli insegna che l’autosservazione è utile, non soltanto per armonizzare se stessi (tale armonizzazione si attua su un principio d'amore) ma per il riconoscimento di specifiche barriere interiori. Conoscendo meglio se stessi, si impara ad amare nel giusto modo il prossimo perchè, finalmente si accettano parti di sé che si volevano dimenticare o ignorare.

Assagioli individuò vari metodi, adoperabili da tutti ed utili per osservare se stessi: l’esercizio più significativo, necessario per “iniziarsi” a tal tipo di cammino introspettivo, è quello denominato di IDENTIFICAZIONE E DISIDENTIFICAZIONE (di differenti subpersonalità). E' di grande aiuto e rappresenta senz'altro uno dei primi passi che ogni persona ha il dovere di effettuare, per tentare di smascherare le subpersonalità o “falsi io”, più evidenti. Diviene necessario capire per quale ragione non si è in armonia con se stessi, ovvero perchè si è in conflitto con se stessi? Tutti nasciamo puri, incontaminati, pura essenza, ma appena fuori dal ventre materno, veniamo contaminati (altri ci danno un nome, ci impongono una morale, una religione, ecc.). Ogni umano è una macchina perfettissima, che rammenta ogni frazione di secondo del proprio vivere quotidiano. L’origine della gran parte dei propri problemi esistenziali, deriva dall’essere educati a recepire la realtà esterna (le informazioni dirette ed indirette derivanti dall’esterno) ma anche quella interiore (le emozioni in particolare ed i propri pensieri di natura meramente intellettuale) in modo automatico. Più precisamente facciamo nostre anche quelle realtà esistenziali che non ci dovrebbero riguardare. Ciò accade perché il sistema in cui si vive sostiene che tutti debbono essere educati nello stesso modo, vestiti in un preciso modo, andare in vacanza in specifici siti, possedere un telefonino e così via. La gran parte di individui, da adulti, invece giunge a vivere la seguente esperienza: l’illusoria eguaglianza, si rivela una mera ed enorme diversità. Allora, le persone entrano in crisi esistenziale, e si domandano: perché ho studiato, scelto quel lavoro, sposato quella donna, quell'uomo? La crisi si manifesta da adulti, in età in cui si è ammalati fisicamente e psicologicamente o contemporaneamente in entrambe le sfere. Cosa motiva il desiderio della “ricerca del sé” dello studio dei propri “falsi io”? Per quale ragione una persona, comincia a desiderare di ritrovare sé stessa? In generale perché non sta bene interiormente; come mai non sta bene interiormente? Sicuramente perché ritrova in sé, una o svariate disarmonie. Si sente divisa, sente che dentro sé, rispetto ad un interrogativo, si presentano molteplici risposte e non sa più quale scegliere. Per quale motivo accade ciò, perché spesso si pensa di fare una cosa e poi se ne va a fare un'altra? Tale situazione disarmonica si riscontra nei momenti in cui il proprio vero io, il Sé, riesce a mandare messaggi che oltrepassano la barriera delle tante subpersonalità. Questa informazione è recepita come conflitto, sofferenza interiore che spesso si manifesta anche fisicamente. Ogni persona spesse volte parlando con altri e con se stessa, nel momento in cui ha desiderato spiegare e giustificare suoi particolari atteggiamenti, può avere affermato di sé: io sono emotivo, io sono razionale, io sono sportivo. Con queste affermazioni, le persone (inconsapevolmente) rendono nota la loro maggiore identificazione, la più evidente. Chi desidera capire chi è ed intraprende la via biopsicosintetica o qualunque altra disciplina introspettiva, quando si appresta ad individuare le proprie subpersonalità, scoprirà che quelle più evidenti (più facilmente intercettabili) in realtà sono le meno pericolose; capirà che solo quando si è in grado di riconoscerle, è possibile procedere al passo successivo e tentare di smascherare i “falsi io” più sottili che son soliti nascondersi dietro i primi. Andare alla ricerca di “sé stessi”, significa che una persona comincia a fare un lavoro di “pulizia” interiore e conseguentemente di armonizzazione, di riequilibrio delle parti di sé che fino a quel momento ha creduto essenziali, non automatiche. Attuando questa “pulizia”, arriverà a comprendere ciò che realmente le appartiene e quello che invece è frutto dell'educazione ricevuta da genitori, nonni, scuola, amici, conoscenti e tivù.

 

L’ARTE VISIVA MUTA SOSTANZIALMENTE, QUANDO  É PRATICATA IN STATO DI RILASSAMENTO PSICO-FISICO, UNITO ALL'ASCOLTO MUSICALE

Il cervello umano, come l’Universo, ha potenzialità inesplorate, possiede capacità cognitive inutilizzate, latenti, di cui si ignora l’esistenza. Il cervello coordina tutte le funzioni corporee e quelle di astrazione ed è soprattutto capace di conoscere. Da tempo è stato compreso che il Pensiero è Energia ed Impulso e si sa che, per scambiare energia ed impulso è necessario un cervello elastico, non pigro ed inerte. Il cervello è composto di materia la cui natura principale è l’inerzia e, per questa ragione, tende ad avere un comportamento automatico che può essere modificato, grazie ad uno specifico e costante allenamento. Ogni individuo ha in sé le potenzialità che gli permettono di rendere il proprio cervello elastico, ma per ignoranza e soprattutto per mancanza di volontà propria, la maggior parte di persone, non è in grado di realizzare questo scopo. Da tempi remoti, differenti Scuole Filosofiche ed Esoteriche (in Occidente e in Oriente) hanno elaborato tecniche, tramite le quali è possibile cambiare la frequenza delle onde cerebrali. Il cervello costantemente allenato, diventa una sorta di antenna ricevente e trasmittente ed è in grado di sviluppare maggiormente la creatività, l’immaginazione, l’intuizione[1], tutte le qualità che risiedono nell’emisfero destro del cervello. Queste antiche tecniche, hanno trovato riscontro su un principio scoperto dalla teoria della Relatività Generale e dalla Teoria Quantistica. La Fisica Quantica in particolare, ha portato un’enorme rivoluzione all’idea che per molti secoli si è avuta, a proposito della Visione tradizionale della Realtà. La Fisica Quantica sostiene che, la consapevolezza dell’osservazione, è fondamentale all’osservazione stessa. La realtà è ciò che si osserva perché il soggetto osservatore partecipa a co-creare la realtà e la scena sulla quale questa si svolge, più semplicemente: è l’osservazione umana che rende “reale” la realtà. Si può quindi conoscere, solo se si crede di poter conoscere e, conseguentemente, non è sbagliato sostenere che la conoscenza obiettiva, può essere conquistata tramite un consapevole e personale Atto Volitivo. È proprio da questa scoperta che anche il mondo occidentale ha compreso che per vivere nella realtà, è necessario essere consapevoli e che (per esserlo veramente) occorre sviluppare tutte le potenzialità del cervello, le facoltà latenti. É altresì accertato da tempo che gli umani sono limitati nel vedere fuori, ma molto dotati nel sentire dentro. Quel che entra dentro, è sempre un nuovo pensiero del quale prima non si era consapevoli, si tratta di una idea che può essere espressa in musica, immagine, concetto astratto, che realizza una prospettiva che non è soltanto diversa da quella precedente, ma tale da profilare un nuovo modo di interpretare il fenomeno che si sta cercando di comprendere. Ecco perché ogni essere umano può scegliere se credersi vittima o artefice del proprio destino, può riconoscersi o meno di essere il coautore responsabile della propria esistenza, nonché della realtà che lo circonda. Per conoscere la realtà, si deve divenire consapevoli di ciò che si è e di quel che si vuole essere. Si può riuscire a realizzare questo traguardo, cambiando il metodo automatico che induce la totalità degli umani, a non guardare al proprio interno ma sempre e soltanto al di fuori di se stessi. Socrate aveva sottolineato che la chiave della conoscenza è nel soggetto e non nell’oggetto. La conoscenza, dipende dal soggetto che sceglie a quale verità credere perchè tutte le verità, anche le più contraddittorie, possono apparire vere. Conseguentemente, per comprendere la realtà e sviluppare parallelamente la creatività e l’intuizione, occorre cominciare ad osservare dentro se stessi, passando dallo stato di Coscienza (soprattutto) esteriore a quello di Auto-Coscienza. L’osservazione interiore dà inizio ad un cambiamento, permette di scoprire un Nuovo Mondo, una nuova realtà, anche se nell’individuo si svela soltanto ciò che, di volta in volta, egli scopre dentro se stesso. La scoperta di poter avere una differente percezione del mondo, stimola chiunque a modificare la realtà attorno a sé. Le condizioni essenziali per scoprire la vera natura umana sono:

bullet sapere di non sapere
bullet avere il coraggio di credere nelle proprie capacità, di trasformare se stessi ed il mondo
bullet non arrendersi all’apparenza e cercare di Esistere, di Essere in modo autentico.

La volontà, la passione per la conoscenza e, soprattutto, la fede in sé e nelle proprie capacità, permettono di ottenere cambiamenti radicali che, a volte, sorgono in momenti di grande crisi esistenziale. Tramite la Relatività Generale, si è scoperto che lo spazio-tempo della Terra è curvo e non piatto o euclideo e, secondo alcuni studiosi non è affatto impossibile ipotizzare che la stessa distorsione, valga per i nuclei degli atomi che costituiscono i corpi degli umani e tutto quanto ruota attorno ad essi. Infatti, conoscere se stessi implica una nuova visione dell’esistere e dell’Universo, consta di un superamento dello spazio-tempo, di quelle categorie mentali, all’interno delle quali si è erroneamente convinti di essere racchiusi. Questa breve premessa perché fino ad oggi la mia vita personale e le mie ricerche anche in ambito PSI (Parapsicologico), sono state sostanzialmente fondate su questi principi. Per agevolare una migliore comprensione del metodo da me ideato e applicato all’arte visiva (tramite il quale è possibile ottenere un maggiore sviluppo della creatività ed intuizione), per prime descriverò le ragioni che mi fecero decidere di sperimentare su me stessa, specifici procedimenti introspettivi. Fin dalla infanzia ho utilizzato il mezzo pittorico, i colori e la scrittura, per tradurre su carta o tela, le mie emozioni e considerazioni esistenziali. In particolare, dall’adolescenza e per più di venti anni con costanza e concretezza, mi impegnai nello studio psicologico di me stessa e parallelamente, nello studio dell’arte pittorica. Grazie all’utilizzo di metodiche introspettive, apprese anche per via diretta e in gran parte basate sui principi che sono il fondamento della Psicosintesi di Roberto Assagioli[2] ed di George I. Gurdjieff[3], riuscii ad ottenere profondi mutamenti interiori ed esteriori che, sostanzialmente, migliorarono la mia vita. Assagioli (ed anche Gurdjieff) sosteneva che fortificando la volontà "buona", è possibile sviluppare l'attenzione uditiva, visiva, cinestetica e giungere ad una maggiore armonizzazione della propria interiorità, con il corpo fisico e con tutto ciò che lo circonda (persone e mondo). Quando iniziai ad applicare esercizi psicosintetici su me stessa (tramite i quali riuscivo ad avere maggiore chiarezza sui miei processi interiori), ero convinta che in me fosse maggiormente sviluppata l’attenzione visiva (fin da bambina avevo disegnato con colori e matite). Per quel che concerneva l’attenzione cinestetica (il movimento) sapevo che in me era minimamente sviluppata (ho ancora una naturale tendenza alla pigrizia fisica), mentre non avevo ben chiaro quanto fosse alto il mio grado di attenzione uditiva. Dopo aver più volte eseguito (giornalmente) alcuni esercizi assagioliani, abbastanza semplici, potei constatare che in me era maggiormente sviluppata l'attenzione uditiva e non quella visiva, l’attenzione fisica restava ultima. A seguito di questa specifica scoperta intuii che, se il mio fare pittura fosse  stato realizzato a seguito o durante l’esecuzione di certi esercizi o tecniche di rilassamento psicofisico, avrei potuto maggiormente sviluppare l'emisfero destro del cervello e sicuramente sarei stata in grado di produrre opere pittoriche, differenti da quelle in cui fino a quel momento mi ero identificata. Così feci ed il risultato fu un notevole potenziamento della mia creatività artistica; questo fatto si palesò concretamente con il radicale mutamento del mio stile pittorico, metamorfosi che fu osservata dalla totalità delle persone a me vicine. Mi convinsi che i risultati da me ottenuti non erano casuali o semplicemente accaduti perché ero una persona che utilizzava da tempo il mezzo grafico–pittorico. Per questo motivo, in tempi immediatamente successivi, decisi di far sperimentare ad altre persone, quel che avevo riscontrato su me stessa, con la convinzione che in esse sarebbe subentrato un identico cambiamento. A questo punto sorge spontaneo domandare: in quale modo avevo condotto la sperimentazione su me stessa? Che cosa in realtà avevo fatto di così straordinario?  Di straordinario nulla, avevo semplicemente mutato l’approccio interiore, avevo pensato che in me, oltre ad una mente, due occhi e due mani che mi permettevano di disegnare e dipingere, vi era qualcos’altro. Fino al momento precedente l’inizio dell’esperimento, avevo disegnato e poi dipinto come tutti fanno, stando in un normale stato di attenzione interiore ed esteriore, mettendomi davanti al foglio o alla tela, su cui intendevo realizzare una nuova opera (come quelle più sotto riprodotte). Nel corso della sperimentazione, suddivisa in due differenti fasi, introdussi alcuni fondamentali procedimenti: dopo essermi rilassata fisicamente e psicologicamente, mentre ascoltavo specifici brani musicali, disegnavo ad occhi chiusi. Durante la prima fase della sperimentazione, procedetti nel modo seguente:

  1. preparavo la tela o foglio sul quale avrei lavorato ed anche i colori
  2. accanto a me, posizionavo un registratore nel quale avevo precedentemente inserito una cassetta musicale (in genere di musica Classica)
  3. mi mettevo seduta davanti al cavalletto o tavolo da disegno, tenendo tra le mani una matita
  4. chiudevo gli occhi ed effettuavo un esercizio di rilassamento psicofisico, che ottenevo con una semplice tecnica di respirazione, simile a quella denominata Pranayama, che mi permetteva di entrare, consapevolmente, in un leggero stato modificato di coscienza
  5. terminato l’esercizio di respirazione controllata, continuavo a tenere gli occhi chiusi ed azionavo il registratore
  6. sempre con gli occhi chiusi, lasciavo che la matita che tenevo con le dita della mano destra, si muovesse liberamente sul foglio o sulla tela. La mano si spostava sulla superficie, dando ascolto alle emozioni che in parte erano stimolate dall’ascolto musicale
  7. quando ritenevo di aver terminato il disegno, aprivo gli occhi e cominciavo a colorare.

 

Adriana Velardi – Titolo: “Nudo dal vero”

Tecnica: acquarello su cartoncino cm 30x40

Bologna, 1978

Adottando il semplice metodo sopra descritto, ottenni sostanziali cambiamenti. Quando per la prima volta procedetti in tal modo, tra i tanti segni tracciati sul foglio bianco, emerse la vocale “E” che, secondo un’antica tradizione esoterica[4], oltre a corrispondere al colore giallo, significa crescita, attività mentale, vitalità. In quel momento, quel semplice (ma per me straordinario) fatto (aver disegnato, a mia insaputa poiché tenevo gli occhi chiusi, una grande lettera E), attestò visivamente e concretamente, che in me vi era la volontà di crescere interiormente, di incontrarmi maggiormente con la parte più profonda di me stessa. Mi comportai in questa maniera per una decina di volte, poi diedi inizio alla seguente seconda fase:

  1. decisi di lavorare senza tenere gli occhi chiusi perché ero convinta di poter essere in grado di raggiungere il medesimo stato coscienziale (ottenuto nella fase precedente), di non permettere alla visione esteriore, di interferire con la creatività
  2. eseguii l’esercizio di respirazione, identico a quello della prima fase
  3. inserii il sottofondo musicale
  4. tenni gli occhi aperti e lasciai libera la mano di muoversi e disegnare

In questa seconda fase, ebbi nuovamente l’opportunità di scoprire sensazioni interiori, simili a quelle vissute quando avevo disegnato ad occhi chiusi; produssi liberamente e senza alcuna incertezza elementi grafici e utilizzai colori, mai prima inseriti nei miei lavori pittorici. Lavorai in questo modo tutti giorni, per circa due mesi e constatai che in un così breve periodo, l'immaginazione, la fantasia, in me erano notevolmente aumentate. Elaborai ulteriori e differenti stili pittorici, sperimentai diversi materiali, prima mai considerati. In quel particolare periodo, quel che per me più contò fu che, finalmente, ero riuscita a tradurre simbolicamente, il mio sentirmi Essere, Entità cosmica ed anche i miei sogni onirici, in pittura. Dopo di allora, non fu più necessario rilassarmi con tecniche di respirazione, né tenere gli occhi chiusi, per realizzare prodotti artistici totalmente differenti da quelli prodotti in precedenza, fu sufficiente (e lo è ancora) aver la volontà di entrare in quella specifica “atmosfera” interiore. L’unico elemento che ho continuato ad utilizzare, seppur saltuariamente, è l’ascolto musicale ché favorisce la concentrazione (e l’immaginazione) ed ha anche una funzione tonica. Terminata la sperimentazione su me stessa, decisi di applicarla su altri soggetti, adottando (in parte) i canoni del metodo conoscitivo logico-sperimentale (sorto circa quattro secoli fa con Galileo Galilei e tuttora dominante), che è basato sull’esperimento ripetibile in laboratorio, sulla elaborazione teorica dei risultati sperimentali e sulla verifica della teoria stessa. In quel periodo, non mi interessava condurre accurate analisi psicologiche sulla preferenza dei colori, oppure sui significati inconsci dei segni, delle immagini o di quanto i singoli partecipanti all’esperimento, avevano ogni volta riferito a voce e per iscritto. Volevo soprattutto veder confermate le seguenti ipotesi:

bullet dimostrare che i partecipanti all’esperimento (persone che nel corso della loro intera vita non avevano mai dipinto né disegnato ad occhi aperti e tantomeno chiusi), tramite l’utilizzo di semplici tecniche di rilassamento psico–fisico, l’ascolto di specifici brani musicali (classici e moderni), l’emissione sonora della loro voce, l’impiego dei colori, lo scrivere di sé, avrebbero potuto sviluppare maggiormente le potenzialità dell'emisfero destro del cervello, e aumentare sostanzialmente il loro potenziale creativo (anche grafico pittorico).
bullet dimostrare che tramite l’utilizzo di semplici regole introspettive, i partecipanti all’esperimento potevano attivare la propria personale volontà consapevole
bullet rilevare quali strumenti introspettivi (tecniche di rilassamento, sottofondo musicale, ecc.) utilizzati nell’esperimento, favoriscono maggiormente il potenziamento dell’emisfero destro del cervello e la conseguente, significativa, evoluzione grafico-pittorica o letteraria

 

Adriana Velardi – Titolo: “Le spirali di Maela”

Tecnica: acquarello, matite e carte colorate

su tela cm 80 x 100 - Bologna, 1991

Per la prima volta, nel 1988, nel corso di una conferenza pubblica, resi noti i fondamenti reali delle mie ricerche psicologiche applicate all’arte[5] ed in particolare quelle relative allo studio introspettivo, denominato “Ricerca del Sé”. In quello stesso anno, nei mesi invernali, condussi anche la prima ed unica sperimentazione[6] che chiamai “Pittura e Musica per la ricerca interiore”. L’evento ebbe una forte risonanza pubblica perché fu preceduto da una mia conferenza (resa nota dalle maggiori radio, televisioni e quotidiani locali e provinciali), alla quale parteciparono più di cento persone, la maggior parte delle quali a me totalmente sconosciute. In tale occasione, individuai il campione di persone (ventitré di differente cultura, età, sesso[7]), che spontaneamente decise di partecipare all’esperimento. Diressi la sperimentazione in maniera simile a quella condotta su me stessa  e preciso che, dai singoli soggetti, l’esperimento fu vissuto in stato di costante veglia diurna, che non si trattò di sperimentazione ipnotica, né di disegno automatico. L’esperimento fu suddiviso in due differenti e significative fasi nelle quali, ogni singola persona, oltre all’elemento pittorico e musicale (terminata la fase grafico pittorica) doveva descrivere, per iscritto, quello che aveva interiormente vissuto, che cosa era accaduto al proprio interno, sia organicamente che psicologicamente, quali pensieri e immagini erano stati generati, durante la fase dedicata all’esercizio di respirazione controllata che, per un certo numero di incontri, comprese anche esercizi di evocazione sensoriale (emissione sonora della propria voce), tramite l’utilizzo delle vocali A,E,I,O,U[8]. Desidero a questo punto soffermarmi sugli effetti che il suono auto prodotto, ha sulla psiche e sul corpo. Numerosi studiosi (sparsi in differenti parti del mondo) hanno potuto stabilire che il suono è una energia, che si può organizzare in forme e proporzioni matematiche (ritroviamo quel che sostiene la Fisica Quantica) come accade nella musica, nel linguaggio e nelle espressioni di dolore e felicità. Il suono è ciò che i nostri antenati chiamavano “il principio”, è l’OM orientale e il VERBO occidentale (è anche l’AMEN). Il suono può creare forme che influenzano la salute ed i comportamenti. L’ingegnere e medico Svizzero Hans Jenny, ha dimostrato che il suono può creare figure geometriche complesse; le forme che si possono creare con il suono sono infinite e possono variare semplicemente cambiando la tonalità, le armonie tonali e il materiale che si sta vibrando. Con l’aggiunta di accordi, è possibile generare la armonia oppure il caos. Un basso suono “OM”, ad esempio, produce alcuni cerchi con un punto al centro, un “EEE” alto, molti cerchi con contorni tremolanti. Queste forme cambiano all’istante, quando si suonano note o toni diversi. Suoni vibranti formano disegni e creano campi energetici nello spazio circostante. A seconda delle onde, i suoni possono avere effetti ricaricanti o rilassanti. Alcuni suoni a carica positiva sono prodotti dalle nostre stesse voci. Tali suoni possono rilassare la mascella e la gola, allentare la tensione del corpo e aiutare le persone ad avanzare verso nuovi livelli di realizzazione interiore[9]. Ogni vocale (quando viene utilizzata negli esercizi denominati di evocazione sensoriale ed anche nel Canto degli Armonici) è utile per sviluppare maggiormente l'attenzione uditiva, visiva, cinestetica e per fortificare la Volontà. Secondo la maggior parte di scuole ad indirizzo spirituale, ad ogni vocale è associato un valore simbolico, emozionale ed un colore. E' provato che il suono della voce (più specificatamente il sistema di suoni interno – le orecchie, la voce – e il repertorio di musica o suoni autogenerati, è il più potente strumento di cura che ogni umano possiede naturalmente), articolato con le vocali U - O – A – E - I[10], favorisce la produzione di onde cerebrali chiamate Theta che contribuiscono ad amplificare la potenzialità creativa. Suono e musica, sono associati alla creazione e, nel mondo antico, la musica era uno strumento misterioso e potente, utile per armonizzare la mente.  Aristotele affermava: “Ordunque, i suoni della voce sono simboli delle affezioni che hanno luogo nell’anima, e le lettere scritte - sono simboli - dei suoni della voce e allo stesso modo, poi, che le lettere non sono le medesime per tutti, così neppure i suoni sono i medesimi”[11]. Nel corso della mia sperimentazione, fin dal primo incontro, potei constatare che il suono emesso dalla propria voce (tramite le vocali) che favorisce maggiormente la concentrazione e stimola la creatività, è quello generato dalla vocale U. Per questa ragione, negli incontri successivi[12], decisi di far vibrare le rimanenti vocali (per un numero di cinque volte consecutive, una per ogni incontro) e di far ogni volta concludere l'esercizio evocativo sensoriale, con la lettera U (emessa per tre volte). Nella seconda fase dell'esperimento, quando le persone si trovarono ad operare tenendo gli occhi aperti[13] feci utilizzare il suono AUM[14], ritenendo che potesse favorire un migliore stato d’animo e che potesse condurre i differenti soggetti, in una dimensione simile a quella che avevano sperimentato all'inizio, quando avevano disegnato tenendo gli occhi chiusi[15]. I singoli partecipanti, infatti, quando disegnarono per la prima volta ad occhi aperti, tutti (tranne uno) riferirono che:

bullet erano riusciti a mantenere la sensazione interiore di libertà
bullet il suono AUM aveva creato in loro una serie di sensazioni particolari che avevano favorito la creazione del lavoro grafico pittorico
bullet le persone che non avevano mai disegnato né dipinto (venti su ventitré), produssero opere grafico pittoriche, alcune davvero artistiche, tutte assolutamente armoniose nell'accostamento dei colori

Negli incontri finali, ogni persona doveva trovare da sé la capacità di concentrarsi, doveva entrare in contatto (almeno tentare) con la parte più intima della propria psiche, senza la mediazione degli esercizi di respirazione controllata (quando guidavo io il rilassamento fisico), delle evocazioni sensoriali, del sottofondo musicale[16]. Negli ultimi due incontri, dopo aver terminato di eseguire il lavoro grafico pittorico e aver riferito per iscritto quel che avevano interiormente vissuto, tutti i partecipanti, dovettero anche rispondere (per iscritto) ai seguenti quesiti:

  1. Cercate di descrivere il mutamento che in voi è avvenuto, quale tipo di crescita interiore, avete realizzato con questo esperimento
  2. Descrivete il Sé.

 

I dati che furono raccolti nel corso della sperimentazione, diedero conferma alla totalità delle mie ipotesi; di seguito andrò ad elencare i risultati da me ottenuti. Potei stabilire che gli strumenti introspettivi, utili per ottenere un maggiore potenziamento dell’emisfero destro del cervello, sono:

 

bullet

l’utilizzo di un esercizio di rilassamento psicofisico

bullet

l’utilizzo vibratorio delle vocali

bullet

l’ascolto di specifici brani musicali[17]

Per quanto concerne l’utilizzo delle vocali, dalla sperimentazione emerse che il suono della propria voce, unito ad altre, crea un risultato maggiormente suggestivo perché l’effetto di risonanza (anche interiore), è sostanzialmente amplificato. La sperimentazione, seppur semplice, dimostrò che lavorare in gruppo, non soltanto amplifica l’effetto di risonanza, ottenuto tramite la vocalizzazione sensoriale, ma fortifica le singole volontà perché differenti soggetti, pur lavorando singolarmente, sono maggiormente stimolati dalla consapevolezza d’avere uno scopo comune[18]. In merito al tipo di musica[19] che può favorire la concentrazione e aumentare la creatività, potei stabilire che, tra i differenti brani musicali utilizzati nel corso della sperimentazione, quelli che favorirono un maggiore sviluppo dell’emisfero destro del cervello, sono:

bullet la musica classica, soprattutto autori come Mozart, Beethoven, Brahms[20]
bullet il canto gregoriano
bullet le ragas indiane e brani musicali di autori dell’India, Cina, Giappone

 

Potei inoltre verificare che specifici “suoni” procurano effetti uguali, anche in persone a cui non è mai stata impartita una preparazione tecnica o data una informazione culturale specifica (in particolare mi riferisco al suono AUM) e/o archetipica. La sperimentazione evidenziò anche quanto segue: i differenti partecipanti all’esperienza, che al principio (quando dovevano disegnare ad occhi chiusi) avevano temuto di non riuscire a tradurre in immagini, segni e colori, ciò che la creatività suggeriva loro (tramite impulsi emozionali e visualizzazioni pressoché oniriche), furono invece in grado di disegnare ed ogni volta sempre meglio perché anche in loro (come nel mio caso) era stato attivato (o amplificato) un ulteriore canale percettivo. Nessuno dei soggetti si costrinse o fu obbligato a svolgere il proprio personale lavoro; in realtà, questa particolare esperienza, permise ad ogni singolo partecipante di sentirsi libero e di incontrarsi con parti intime, mai prima conosciute. Infine, in merito all’utilizzo consapevole della volontà, l’esperimento evidenziò quanto segue:

 

bullet

tutti i partecipanti, affermarono di avere avuto grande beneficio dall'esperienza

bullet

tutti i partecipanti, compirono un consapevole atto di volontà, nel decidere d'essere sempre presenti, salvo motivi davvero gravi

bullet

tutti i partecipanti, compirono un consapevole atto di volontà, accettando di lasciarsi guidare dalla mia persona, avendo fiducia ed eseguendo tutto quanto era stato specificato nel programma

bullet

tutti i partecipanti, nei commenti scritti che dovettero stilare fin dal principio, evidenziarono con loro grande sorpresa che "per la prima volta si sentivano se stessi, avevano coscienza del loro io che sentivano distaccato dal loro corpo"

bullet

tutti i partecipanti, dichiararono che l'essere entrati maggiormente in contatto con il proprio Sé, aveva "modificato la loro vita", naturalmente in meglio

bullet

tutti i partecipanti, constatarono che la volontà è pura consapevolezza, è conoscenza profonda di ciò che realmente appartiene ad ogni persona

Sia a seguito di quella prima sperimentazione (ma ancor di più dopo aver condotto vari seminari)[21], potei definitivamente stabilire che, un simile metodo può essere utilizzato non solo per fini artistici (meramente estetici) ma anche come metodo autoterapeutico e terapeutico. Questo metodo può essere d'aiuto a chiunque e qualsiasi persona, anche chi non ha mai disegnato né dipinto, può sperimentarlo su se stessa e riconnettersi alla parte più intima del proprio essere, perché lo scopo principale non è la realizzazione di un buon lavoro pittorico. Tramite questa semplice pratica, si può giungere ad avere maggiore controllo sulle proprie emozioni, in particolare possono trarne beneficio le persone che hanno problemi psicologici quali: instabilità caratteriale, ansia, paura della morte. Quello che ho fin qui esposto, mi permette di sostenere che l’arte visiva muta sostanzialmente, quando è praticata in stato di rilassamento psico-fisico, unito all’ascolto musicale, più precisamente in un maggiore stato di attenzione interiore e conseguentemente esteriore. Se non avessi creduto di sapere di non sapere, se non avessi avuto il coraggio di credere che in me vi era molto di più di quanto avevo fino ad un precedente momento compreso, ma soprattutto se non avessi desiderato di comprendere realmente chi sono (anche in pittura), non avrei mai cambiato i miei interessi culturali, artistici, filosofici, psicologici e non sarei stata in grado di far vivere la stessa esperienza ad altre persone. A testimonianza di quel che ho fin qui sostenuto, concludo con la trascrizione integrale di parti dei brani più significativi, scritti da alcuni partecipanti all’esperimento[22]; in essi si evidenzia che qualunque persona, può riuscire ad amplificare la propria creatività e intuizione (che potrà esser sviluppata nel campo ad essa più congeniale). Per prime ho trascritto le riflessioni relative al suono AUM autoprodotto, ad esse seguono considerazioni sull’ascolto di brani musicali, infine quelle relative a quelli che furono ritenuti, significativi cambiamenti esistenziali interiori:

bullet

“….pronunciando il suono AUM ho provato una sensazione di musicalità estremamente lirica, ho udito un coro di elevata armonia che ha accentuato una sensazione di perfetto equilibrio”.

bullet

”….l'AUM ha prodotto in me sensazioni che mi hanno fatto intuire misteri nascosti”.

bullet

 l'AUM mi ha messo in contatto con qualcosa di primordiale, di molto vicino alle origini del mio Io, quasi fosse una delle prime forme di emissione vocale, tipica dei bambini ma anche dei primitivi”.

bullet

 “….la musica che stasera ha fatto da sottofondo è magica, dolce, lieve, mi ha portata con lo spirito in alto. E' questa una poesia musicale che vorrei percepire ovunque. La vorrei respirare, vedere, creare questa armonia che abbiamo in noi perché, come sappiamo creare alcune nostre espressioni artistiche, dovremmo essere così in tutto ciò che facciamo. Questi stati d'animo belli, mi staccano dal mondo materiale, mi liberano dal vivere e dal considerare unicamente i problemi terreni, oggi vi includo altre realtà. Questo tipo di musica, a mio parere, non è nata da una persona qualunque, prettamente materialista, perché è una musica che dà una sensazione di libertà, che stimola benessere anche fisico, sempre attuale, senza tempo né età. E' un bene per chi l'ascolta perché trasmette sentimenti d'amore, innalza l'essere umano e lo fa divenire un angelo. Mi ero quasi dimenticata di quanto possiamo essere belli ed aggraziati anche solo usando la voce”.

bullet

"….la musica extraeuropea ha un potere molto forte su di me, riesce ad impormi la concentrazione e a farmi entrare in una dimensione inedita, popolata di frammenti, di segni lontani, riconoscibili solo dalla sensibilità. L'occhio non interviene, per una volta non interferisce deformando le immagini, abbandona il suo potere sull'espressività".

bullet

   “….non è facile poter descrivere ciò che in me è avvenuto, quello che sento, perché è stato ed è una cosa così vasta che non saprei come descriverla. Molto importante è stato il capire che un cambiamento in noi è fondamentale, in modo da potere espandere le nostre conoscenze a livelli più spirituali, sul piano della ricerca individuale, tentando di attuarle nella vita concreta, di tutti i giorni. Questo nuovo modo di crescere mi ha portata a focalizzare i miei desideri, le mie aspirazioni, facendomi meglio comprendere quale è il mio fine, gli scopi della mia esistenza. Non avevo mai conosciuto persone che ne facessero una ragione di vita di queste conoscenze. Mentre disegnavo, ho pensato molto a ciò che ho letto sui testi di Assagioli e in questo periodo in particolare, a quanto affermava Gurdjieff sui nostri comportamenti meccanici ed i vari condizionamenti cui l'essere umano è da sempre costretto subire. Fortunatamente, attraverso la nostra volontà, abbiamo la possibilità di comprenderci maggiormente. Ho anche pensato al fatto che siamo divisi in tanti io, mentre una volta pensavo al mio essere come a un tutt'uno. Questa sperimentazione mi ha dato la possibilità di iniziare finalmente a conoscere me stessa e gli esseri umani, ha cambiato il mio modo di vivere e di vedere i fatti e le cose”.

bullet

“….in questi mesi ho provato un sollievo che ora è dentro me. Questa esperienza è stata molto positiva, ma percepisco che è un punto di partenza verso un universo senza confini, dove l'intuizione ha una grande importanza. Questo "Essere" era già in me, aspettava d'uscire... Ora la porta d'entrata è aperta, inizia l'esplorazione”.

bullet

…… sento molto in me e negli altri il bisogno di unificare in armonia, tutto ciò che compone il nostro patrimonio interno. Il Sé, per come lo sento e lo vivo, è uno stato superiore perché si eleva al di sopra di ogni mio modo d'essere. Osservo obiettivamente i miei sentimenti e il mio modo di pensare, è come una lente che vede in scala più reale e per fortuna meno confusa, l'insieme di conoscenze ed esperienze che faccio”.

bullet

….ho capito che può essere costruttivo cercare di comprendere i miei "Io". Se non capivo come sono fatta e da quante parti è formato il mio mondo interiore, non potevo vivere in salute, anzi continuavo a creare conflitti che ogni volta si ripetevano invariati, con gli stessi contenuti. Sai come si fa, spesso reprimi qualcosa e ti ritorna alla superficie con più forza, magari in altre situazioni, ma con gli stessi significati ... Questo "Sé" che abbiamo la fortuna di possedere, ci può dare un aiuto incredibile, per capirci e per evitare di usare male le nostre emozioni negative o inutili, ci salva dall'essere in alto mare, senza potere usare nessun mezzo per guidare questa nostra macchina potente verso una meta precisa”.

bullet

"…. La mia vita sta cambiando perché io sono il centro del mio essere. Commentare il mio disegno? Non so perché ho fatto quei segni, l'unica certezza che ho è che questo disegnare mi fa tanto bene".

 

Sinfonia n° 9 “Corale”

Beethoven

Sinfonia n° 5

Beethoven

Sinfonia n° 3 “Eroica”

Beethoven

Concerto per piano n° 4, Op. n° 58

Beethoven

Sinfonia n° 7

Beethoven

Sonata n° 29B, Op. n° 106

Beethoven

Le Quattro Stagioni, concerto n° 3

Vivaldi

Serenata K 250

Mozart

Concerto n° 21, per pianoforte, K 467

Mozart

Serenata “Eine Kleine Nachtmusik”

Mozart

Il Flauto Magico (pagine scelte), 2 -

Mozart

Magnificat BWV 243

J. S. Bach

La Boheme

Puccini

Overtures

Rossini

Ragas, Talas Improvvisation

R. Shankar & Alla Rakha

Passages

R. Shankar - P. Glass

Inside The Kremlin

R. Shankar

Homage To Mahatma Gandhi

R. Shankar

Himalaya Bells

(autori a me scono-sciuti)

Chant Gregorien - Monodies Medievales

Dir. A. Deller

Chant De L’Eglise Milaneise

Dir. M. Peres

La Messe De Morts - Le Funerailles

I. Forschungsbereich

All For You

Shankar

Vision

Shankar

The End Of Asia

R. Sakamoto - Danceris

Neo Geo

R. Sakamoto

Making Music

Z. Hussain, Chaurasia, Mc Laughlin, Garbarek

Darkness And Light

S. Micus

Spirits

K. Jarrett

G. I. Gurdjieff - Sacred Himns

K. Jarrett

Concerto Di Colonia (1 e 2 parte)

K. Jarrett

Chariot Of Fire

Vangelis

Delicate Sound Of Thender

Pink Floyd

Hosianna Mantra

Popol Vuh

Power Spot

J. Hassel

Music Of 18 Musicans

S. Reich

Broadcasters Vol. n° 2

Billie Holiday

My Baby Just cares For Me

Nina Simone

Mister B

Chet Baker Quintet

Migration

D. Crusin

Bessle’s Blue

C. Corea Akoustic Band

Tallest Trees

M. Davis

 Tavola n° 1

 NOTE A PIE' DI PAGINA

 

[1] Intuire: termine che deriva dal Latino intus-ire e significa: andare dentro.

[2] Roberto Assagioli (nato a Venezia il 27 febbraio 1888; è morto a Capolona il 23 agosto 1974 in provincia di Arezzo). Laureatosi in Medicina all’Università di Firenze nel 1910, con una tesi sulla Psicoanalisi preparata all’Ospedale Psichiatrico Burghölzli di Zurigo, successivamente si specializzò in psichiatria e si dedicò alla Psicoterapia utilizzando vari metodi e sviluppando, poi, un suo metodo integrale, la Psicosintesi. Nel 1929 fondò a Roma l’Istituto di Psicosintesi, che dopo la guerra fu trasferito a Firenze. Fin dal 1905 aveva cominciato a pubblicare articoli in varie riviste e particolarmente in Psiche, da lui fondata nel 1911. I suoi scritti in oltre otto lingue, ammontano a più di trecento, no dei più importanti è "L'atto di Volontà", edito da Astrolabio. Tenne numerose conferenze in vari paesi europei e negli U.S.A. ove promosse la creazione della “Psychosynthesis Research Foundation” con sede in new York. Altri Istituti, Centri e Associazioni nei quali viene insegnata la psicosintesi esistono negli U.S.A., Argentina, Francia, Svizzera, India, Grecia. In Italia, oltre all’Istituto di Psicosintesi, il pensiero di Assagioli è promosso dalla Associazione Italiana di Biopsicosintesi (sorta quando Assagioli era ancora in vita e con il suo benestare) con Sede unica in Bologna, il cui attuale Presidente è l’Avvocato  e Psicologo Sergio Erasmo Dati.

[3] G. I. Gurdjieff nacque ad Alessandropoli (J. I. Gurdjieff, la sua data di nascita è incerta, avvenne a Kars, sul confine Turco-russo, mentre si sa che morì il 29 ottobre 1949, alla età di 83 anni), in Russia, vicino alla frontiera persiana. Gurdjieff, è conosciuto come Maestro di "Quarta Via". Per molte persone, incontrarlo ha voluto dire: "cambiare la propria vita", imparare a essere. Fra i personaggi che lo conobbero in vita si ricordano René Dumal, Katherine Mansfield, il filosofo Ouspensky. Giunse in Francia, nel 1922, accompagnato da un piccolo gruppo di seguaci e dopo poco tempo, presso Fontainebleau, al Prieuré, fondò l' "Istituto per lo sviluppo armonioso dell'uomo", nel quale insegnava - tramite l'ausilio di tecniche collegate ad antichissime dottrine orientali - a risvegliarsi da una vita di automi addormentati. Così egli giudicava la vita normale degli occidentali. Dopo la sua morte, avvenuta a Parigi nel 1949, l'insegnamento di Gurdjieff ha continuato a diffondersi capillarmente, toccando le persone più diverse e, tutt'oggi, quelle che si ispirano a lui, sono sparse in ogni parte del mondo. Lo scritto riportato in appendice, sintetizza gli scopi del suo insegnamento e del suo essere.

 [4] In quegli anni, questa teoria era resa nota e sostenuta dall’Avvocato Sergio Erasmo Dati, Presidente dell'Associazione Italiana di Biopsicosintesi di Bologna.

[5] Conferenza organizzata dall’Associazione Italiana di Biopsicosintesi, il giorno 19.05.1988, in Bologna.

[6] In tempi successivi divenne “metodo”.

[7] L’età variava dai diciotto fino a settanta anni. La presenza femminile fu maggiore, sebbene avessero aderito anche cinque uomini, un solo di essi, il più giovane, rimase fino alla fine dell’esperimento.

[8] L’emissione sonora delle vocali contribuisce a sviluppare le onde Theta, le quali alimentano la produzione della creatività. Secondo la tradizione esoterica orientale, ad ogni vocale viene attribuito un colore ed un significato emozionale.

[9] Il suono può anche causare cambiamenti negativi, rumori forti come il fischio di un treno,  quelli prodotti in fabbrica o da un jet, possono svuotare il corpo. Una frequenza acuta, alta, stridente come quella provocata da una sega che ronza vicino all’orecchio (probabilmente anche il trapano del dentista) può causare mal di testa improvvisi e gravi squilibri. I suoni a bassa frequenza possono anche invadere il corpo, perforare il timpano e causare stress, contratture muscolari e dolore. Il Rrad, o disturbi emotivi da rock’n’roll, si manifesta con la diminuzione della naturale capacità di sentire e un aumento di stress, ansia, stanchezza.

[10] Significato delle singole vocali - Le attribuzioni di seguito elencate sono indicate dalla Biopsicosintesi (Associazione culturale sorta con l’approvazione di Assagioli) e dalla Psicosintesi; Roberto Assagioli a sua volta, nell’elaborazione dei suoi modelli psicologici e nella pratica dei suoi insegnamenti, si rifaceva agli insegnamenti impartiti nelle Scuole Spirituali Esoteriche Occidentali ed Orientali.

 

bullet

Lettera U - Corrisponde al colore BIANCO e NERO che vengono associati a: creatività, sintesi (Yin e Yang, Tao, Infinito). Nel pronunciare il suono di questa lettera è utile visualizzare immagini quali: luce e buio, neve e carbone spento, marmo e lavagna, perla bianca e perla nera.

bullet

Lettera O - Corrisponde al colore BLU e si associa a: senso di gioia, allargamento o espansione della coscienza, entusiasmo fiducioso. Nel pronunciare il suono di questa lettera è utile visualizzare immagini quali: cielo, mare. acqua marina (pietra preziosa).

bullet

 Lettera A - Corrisponde al colore ROSSO e si associa a: vitalità, aggressività, erotismo, dinamicità, solennità. Nel pronunciare il suono di questa lettera è utile visualizzare immagini quali: fuoco, fiamme, carbone acceso, rosa (fiore) scarlatta, lava infuocata, rubino (pietra preziosa, porpora scarlatta).

bullet

 Lettera E - Corrisponde al colore GIALLO e si associa a: crescita, attività mentale, vitalità. Nel pronunciare il suono di questa lettera è utile visualizzare immagini quali: Sole, grano maturo, topazio (pietra preziosa), crosta di pane.

bullet

  Lettera I - Corrisponde al colore VERDE e si associa a: calma, armonia, distensione, serenità. Nel pronunciare il suono di questa lettera è utile visualizzare immagini quali: prato, albero, smeraldo (pietra preziosa).

Secondo gli insegnamenti di altre tradizioni culturali, in particolare quella Orientale, il suono delle vocali corrisponde alle seguenti specifiche parti del corpo:

bullet

Lettera U - fondo spina dorsale, Mooladhara o Chakra sessuale, energia Kundalini

bullet

Lettera O - addome, Naby o chakra del Plesso Solare

bullet

Lettera A  - cuore, Ananhat  o chakra del cuore, emozioni

bullet

Lettera E  - gola, Vishuddi o chakra della gola, comunicazioni

bullet

Lettera I - testa, Agnya o Terzo Occhio, Sahasrara o chakra posto sulla sommità del capo; energia extrasistemica.

 

[11] Aristotele, Opere - Ed. Laterza, Roma - Bari, 1973. Testo italiano nella traduzione di G. Colli)

[12]In quell’epoca, il corso era suddiviso in ore settimanali ed in ogni incontro avevo programmato di fare vibrare una singola vocale.

[13] In questa fase i partecipanti all’esperienza, disegnavano tenendo gli occhi aperti, mentre nel corso dei primi incontri, dovevano disegnare ad occhi chiusi.

[14] Molto simile al suono OM.

[15] Alcuni soggetti, infatti, affermarono che per loro era stato molto liberatorio eseguire il tracciato con la matita, mentre i loro occhi erano chiusi.

[16] In quest’ultima fase, ogni persona doveva cercare di rilassarsi senza essere guidata dalla mia voce, restando in silenzio per almeno quindici minuti. In realtà, i soggetti che seppero mantenere un maggiore silenzio interiore o attenzione, vi rimasero per nove minuti circa, tutti gli altri per un tempo notevolmente minore. Ciononostante, tutti i partecipanti all’esperimento, produssero con grande serenità il lavoro pittorico ed anche il commento scritto.

[17] Note musicali e chakra - Secondo alcune scuole spirituali, gli strumenti che favoriscono il maggiore riequilibrio energetico sono: 1) violoncello; 2) violino; 3) organo; 4) piano. Sia la scuola esoterica orientale che quella occidentale, ritengono che ai singoli giorni settimanali corrispondono le sequenze musicali in chiave di SOL. Secondo queste teorie, l’ascolto di brani musicali, corrispondenti alle specifiche tonalità giornaliere favorisce un maggiore riequilibrio psicofisico. Le medesime scuole affermano, che vi è corrispondenza tra le note musicali ed i colori dell’aura umana, nelle differenti polarità femminile e maschile. In genere, le tonalità minori sono femminili, quelle maggiori maschili: DONNE, colore giallo nota DO; colore azzurro nota MI; colore rosso nota MI.  UOMINI, colore giallo nota MI; colore azzurro nota SOL; colore rosso nota DO.

[18] Potei inoltre e conseguentemente stabilire che questo tipo di esercitazione, necessita di un numero minimo di tre - cinque persone.

[19] I brani musicali utilizzati nel corso della sperimentazione (comprensiva di singoli incontri settimanali), furono quelli trascritti nella tavola  n° 1.

[20] Numerosi studiosi hanno accertato che la musica classica, minimale, ragas e il canto gregoriano, oltre a favorire stati di maggiore concentrazione, accentua particolari stati d'animo o li attenua perché evoca emozioni o ricordi. Più specificatamente, essa ha un effetto tonificante, pulente, su ogni singola parte del corpo, della mente, della sfera emozionale, è quindi per questo motivo, un ottimo strumento di guarigione fisica e spirituale. L’autore che ha maggiormente composto opere che hanno questo specifico effetto è W. Mozart. La maggior parte di studiosi che si occupa degli effetti che la musica ha sugli umani, animali e piante, è concorde nell’affermare che, più di tutte, le opere di Mozart invariabilmente rilassano, migliorano la percezione spaziale e permettono di esprimersi più chiaramente, comunicando sia col cuore che con la mente. I ritmi, le melodie e le alte frequenze della musica di Mozart stimolano e caricano le aree creative e motivazionali del cervello). Anche tra le opere di L. W. Beethoven, J. Bach, Mendelssohn, Paganini e altri, si ritrovano brani che hanno effetti altamente terapeutici. E’ stato ampiamente dimostrato scientificamente che la musica, soprattutto quella di Mozart e dei suoi contemporanei, ha effetti sbalorditivi sulla creatività, sull’apprendimento, sulla salute e sulla guarigione. Ad esempio in certi Monasteri della Bretagna i monaci fanno ascoltare musica ai loro animali perché hanno scoperto che le mucche trattate con  Mozart, producono quantità maggiori di latte. A Washington, presso il Dipartimento dell’Immigrazione, ai nuovi arrivati dalla Cambogia, dal Laos e da altri Paesi asiatici, durante le lezioni di inglese, veniva fatta ascoltare musica barocca, perché sembra che acceleri l’apprendimento. Al Saint Agnes Hospital di Baltimora, i malati nei reparti di terapia intensiva ascoltano musica classica, perché il primario dell’unità coronarica, Raymond Bahr, ha potuto osservare che  “mezz’ora di musica produce lo stesso effetto di dieci milligrammi di Valium”. Infine, una ricerca dell’Università della California, condotta negli anni  Novanta, presso il Centro di Neurobiologia dell’apprendimento e della memoria di Irvine, ha potuto stabilire che la musica di Mozart produce effetti eccezionali sui bambini e sugli studenti universitari. Anche il fisico teoretico Gordon Shaw ha affermato che “la musica complessa facilita certe complesse operazioni neuronali coinvolte nelle attività alte del cervello, come la matematica e gli scacchi. La musica semplice e ripetitiva, invece, potrebbe avere l’effetto opposto”. All’interno dell’opera “The secret Life of the Unborn Child, Thomas Verny, cita esperimenti scientifici che hanno dimostrato che i feti preferiscono Mozart e Vivaldi ad altri compositori, sia nei primi mesi di gravidanza che alla fine. Negli anni Ottanta alcuni ricercatori, Psicologi del Pacific Medical Center di San Francisco, scoprirono che suonare “Twinkle, Twinkle Little Star” (motivo che ispirò a Mozart una serie di variazioni) e “Hickory, Dickory Dock” aiuta i bambini ricoverati a non scalciare e a non piangere. Infine, Terry Woodford, produttore musicale dei Temptations e dei Supreme, ha prodotto un nastro di ninne nanne che rimandavano al suono del  battito cardiaco umano, da usare per calmare lattanti e bambini e aiutarli a dormire meglio. Occorre precisare che non è necessario udire per ascoltare; parecchi famosi musicisti erano sordi ed anche se non potevano sentire con le orecchie, erano in grado di sentire codici e schemi ritmici grazie alle vibrazioni che percepivano con le mani, le ossa o altre parti del corpo. Alcuni famosi musicisti che soffrono o hanno sofferto di sordità o di difetti dell’udito - oltre a Ludwig van Beethoven che scrisse e diresse le sue più importanti opere quando era completamente sordo – ci sono Brian Wilson dei Beach Boys e Bedrich Smetana (compositore Ceco) ed il celebre tenore italiano Caruso. Ciò che è indispensabile capire, per quanto concerne il suono (ma anche tutto ciò che ci circonda) è che in genere la nostra capacità di ascoltare è condizionata dalla salute quotidiana e dallo stato mentale e può, a sua volta, avere effetti su di essi. Secondo il notissimo studioso Alfred Tomatis, le frequenze musicali più alte, udite anche a piccole dosi, aiutano ad attivare il nostro cervello e ad aumentare l’attenzione.

[21] Negli anni successivi, ad intervalli irregolari, condussi seminari (concentrati in due giornate, mentre la sperimentazione fu condotta per tre mesi con incontri settimanali serali) dal titolo “Pittura e Musica finalizzate all'autosservazione”.

[22] In particolare, ho inserito i brani tratti dai commenti scritti  dalle persone che effettuarono il maggior numero di presenza.

 

VIVERE NON BASTA - Conferenza tenuta in Bologna il 19 Gennaio 2006, organizzata dalla Associazione Italiana di Biopsicosintesi (Bologna)

Alcune delle persone che come me hanno deciso di vivere nella Realtà, in certi momenti del loro esistere ordinario, ovvero meramente esteriore e materialistico, hanno dovuto sopportare esperienze estremamente dolorose, calibrate secondo il loro personale stadio evolutivo interiore.

Chi si mantiene stabilmente in contatto con la propria intima Essenza (ai più sconosciuta nella sua totalità anche se da molti chiamata Anima), necessariamente e con scadenze periodiche, è solito compiere una rivisitazione di quel che ha esperito, per verificare quali esagerati e sicuramente antichi automatismi ancora lo invadono e continuano ad ostacolare il suo personale cammino spirituale, e quali nuove identificazioni sono sorte, per rafforzare quelle presenti fin dalla più tenera età. E’ in uno di questi tanti momenti che mi sono nuovamente trovata a considerare che vivere ordinariamente non basta. In tempi recenti, alle personali scoperte interiori fatte molti anni fa, ho aggiunto le seguenti constatazioni:

 

bullet

Sono sempre e maggiormente consapevole della illusorietà del vivere quotidiano e della mia personale difficoltà a mantenermi, giornalmente, in uno stato interiore di attenzione consapevole.

bullet

Quotidianamente osservo la decadenza del mio corpo, il quale crea ulteriori ostacoli al mio maggiore sviluppo interiore, in particolare gli squilibri ormonali e gli scompensi dovuti alla pressione sanguigna, che a volte affaticano il mio cervello e mi fanno agire fisicamente con maggiore  lentezza. A questo marasma fisiologico, si aggiunge la tensione emotiva, perfettamente controllata ma pur sempre esistente, generata anche dall’aver scelto, da molti anni, di vivere in solitudine.

bullet

Infine, il distacco nei confronti di quella che è considerata una naturale esperienza, uguale per la maggior parte degli umani, prodigarsi per produrre denaro per se stessi e conseguentemente per la società, mi ha obbligata a vivere con molta parsimonia, rinunciando spesso a ciò che, per la gran parte di umani, è elementare conquista.

Questo non vivere, non esistere esteriormente (secondo i canoni della morale attuale), non ha mai adombrato quell’intimo e stabile nucleo interno, che mi ha fatto sempre sentire vincente e negli anni mi ha permesso di mutare, qualitativamente e sostanzialmente, in meglio. Ciò che in me è sempre attivo, vigile, sveglio anche se a volte insoddisfatto, mi induce giornalmente a ripetere con me stessa:   Non ho sbagliato a vivere come il mio Sé (la mia Anima) più gradisce.

Questa sorta di Mentore interiore, non ha nulla a che fare con la mia vita ordinaria, è sempre stato in me ed ha preso maggior coraggio, si è fatto ancor più sentire quando, grazie all’Avvocato Sergio Dati, scoprii nelle teorie psicologiche illustrate nei libri di Roberto Assagioli e George I. Gurdjieff, la ragione fondante del mio profondo Essere.

Nel corso di mirabili e illuminanti conferenze, condotte fin dagli anni ’80, il Presidente dell’Associazione Italiana di Biopsicosintesi, rendeva note le teorie psicologiche che in me producevano un singolare effetto: quel che apprendevo mi era familiare, qualcosa in me ricordava e mi diceva che tutto quanto stavo imparando, aveva un fondamento reale.

Saper parlare alla mente e contemporaneamente al cuore, è stata una fondamentale caratteristica (indispensabile per la comprensione orale) che mi ha trasmesso Sergio Erasmo Dati; è questa la ragione per cui lo considererò sempre, il mio primo ed unico Maestro, il mio Guru, anche se non ho mai vissuto con lui a strettissimo contatto, in un ashram.

Non è infatti necessario vivere in luoghi simili, per diventare maggiormente consapevoli, per svegliarsi, per vivere realmente.

Fin dalla più tenera età e, sicuramente dai sei anni in poi, in me c’era qualcosa (o qualcuno) che mi induceva ad osservare la realtà, in modo diverso dai miei coetanei.

Questo speciale ente interno, durante l’adolescenza mi convinse che non è sufficiente vivere unicamente per raggiungere i traguardi dei quali, in particolare la società occidentale pare non poter fare a meno.

Fin da allora compresi che l’uomo e la donna ordinari, si contentano di esistere in uno stato psicologico “meccanico”; entrambi trovano estremamente difficile compiere sforzi e sacrifici che invece contribuirebbero a renderli veri testimoni della propria esistenza e di quella altrui.

Sostanzialmente, l’agire quotidiano di colui o colei che a tutti gli effetti può esser considerato “risvegliato (risvegliata)” in alcuni casi “illuminato (illuminata)”, si differenzia per quanto segue: la persona risvegliata, compie sforzi consapevoli, non unicamente miranti alla propria realizzazione socio-economica (identica a quella di ogni comune mortale), ma per riconnettersi a quella parte, presente in ogni persona ma generalmente a tutti sconosciuta o rare volte percepita.

Dovrebbe ormai essere chiaro che, con l’affermazione “vivere non basta”, intendo sostenere che: vivere passivamente, nella illusoria convinzione d’essere eterni (rimandando gran parte dell’agire quotidiano, ma soprattutto la conquista di quel che a tutti dovrebbe interessare di più: conoscere se stessi), in realtà è identico all’essere non presenti, ad essere uno Zombie (come sosteneva Gurdjieff), una macchina priva di coscienza. 

La differenza tra un individuo ordinario, che può esser definito un “tipo psicologico numero Uno” (unicamente attratto dai valori materialistici) e la persona risvegliata che può esser definita un “tipo psicologico numero Quattro”, può essere sintetizzata dai seguenti quesiti: “Perché sono nato, perché esisto, perché dovrò morire? In definitiva: “PERCHÉ SONO QUI?”.  

La persona numero Quattro, si è posta queste domande più volte e, fino alla fine della sua esistenza, non smetterà di chiedersi se ha davvero compreso la ragione del suo attuale esistere.

La maggior parte degli individui invece esiste, ma non sa perché ed anche se non è interiormente soddisfatta, si limita ad aderire soprattutto ai modelli esistenziali dettati da altri.

Avendo ormai raggiunto l’età della saggezza, finalmente posso pubblicamente affermare, senza temere d’essere considerata esageratamente presuntuosa, che da svariati anni ho compreso teoricamente e sperimentato concretamente, i metodi psicologici assagioliani e gurdjieffiani e anche quelli descritti nelle antiche scritture indovediche.

Per questa ragione, da molto tempo, quotidianamente assumo con me stessa e con il prossimo (ed in particolare con le poche persone che fino ad oggi ho considerato “allievi”) specifici atteggiamenti interiori ed esteriori, che mi permettono di avere la mente attenta e il cuore disponibile, di essere viva.

Lo studio dei testi scritti da personalità quali Roberto Assagioli, G. I. Gurdjieff, P. Yogananda (ovviamente e per fortuna, ve ne sono molti altri, cito questi autori perché per me furono i primi ad “illuminarmi”), mi ha dato coraggio nel portare avanti quella che, fino ad oggi ho considerato una delle mie fondamentali missioni esistenziali: - trasmettere le mie conoscenze ed esperienze, a coloro che desiderano ardentemente, entrare maggiormente in contatto con il proprio Sé.

Sono stata maggiormente incoraggiata a mantenermi stabile in questa altruistica intenzione, in questa speciale missione umanitaria, ogni volta che ho appreso che, anche questi grandi Uomini, veri benefattori dell’umanità, hanno riscontrato le mie stesse difficoltà e provato identiche delusioni, nel tentativo di trasmettere ai loro studenti (perfino) le elementari basi, necessarie per poter diventare un umano.

La mia volontà, buona e per ciò consapevole, fino ad oggi si è conseguentemente rafforzata, sia nel mantenere stabile in me il desiderio di vivere con sempre maggiore obiettività e con minor automatismo, sia nel tenere alta la voglia di continuare a combattere (quasi io fossi un resuscitato Don Chisciotte) contro la “ottusità” dei miei studenti o di quanti mi hanno, seppur temporaneamente, scelta come consulente spirituale.

Questo particolare sentire interiore, mi ha convinta che è giusto sostenere la guerra di quanti desiderano utilizzare strumenti introspettivi, che permettano di governare dannose e in alcuni casi quasi letali, identificazioni (o falsi io).

La volontà d’aiutar chi vuole entrare in guerra, principalmente con se stesso, in me si mantiene stabile perché non è unicamente stimolata dall’ego.

Questo impegno, infatti, a volte è maggiormente gravoso perché quotidianamente sono occupata nell’esercizio che mi permette di mantenere la mente attenta e il corpo “attivo”. Questa pratica, diviene particolarmente difficile nei momenti in cui, pur essendo invasa dalle emozioni, generate dal quotidiano esistere, mi prodigo affinché l’emotività, non offuschi completamente il mio totale essere.

Sottolineo ciò perché desidero sia chiaro che, se si vuol vivere nel mondo reale, non ci si può permettere di dimenticarsi di se stessi; nessun illustre illuminato, ha mai raccontato che si può smettere di essere vigile e a maggior ragione, non lo può fare chi si assume il responsabile ruolo di guida o consigliere spirituale.

Tramite un lento e faticoso esercizio quotidiano, ci si può quindi mantenere “svegli”, più precisamente stabili nel periglioso cammino che, se ben intrapreso, conduce a scoprire se stessi. 

Il principale strumento introspettivo, da me utilizzato per mantenermi il più possibile attenta, è fondato sul principio della chiarezza. Tramite essa mi è possibile sostenere la lotta quotidiana, contro la più grande abilità umana: “la preziosa arte del mentire soprattutto a se stessi”. Si tratta di un metodo che applico anche con quanti si rivolgono a me, per esser aiutati a raggiungere la stessa meta. Utilizzo l’osservazione e la chiarezza espositiva non violenta; ciononostante, al principio, il mio parlare, da alcuni può essere inteso come mancante di diplomazia e da altri aggressivo. Questa iniziale incomprensione, si verifica perchè i miei interventi, si concretizzano soprattutto nei momenti in cui, una persona è in grado di poter ricevere una “informazione” che riguarda la sua particolare individualità. In genere, in quel preciso momento, la persona non accetta di scoprire in sé, quello che spesse volte ha criticato negli altri. Solo in tempi successivi, quello specifico individuo comprende che, in me non c’è mai stata l’intenzione di ferire, di mostrare supremazia nei suoi confronti e del prossimo in generale. Chi mi frequenta per lungo tempo, constata che mai mi stanco di affermare che gli “automatismi” esistenziali o subpersonalità (di ogni tipo), in egual maniera invadono tutti gli individui (eruditi, analfabeti, ricchi, poveri e così via) e che non bisogna mai dare per scontato nulla.

Gran parte delle regole introspettive da me adottate, coincidono anche con gli insegnamenti impartiti da Gurdjieff; si tratta di norme che possono essere ricondotte ad alcune delle fondamentali “Otto Fasi” consigliate dal Buddha storico, necessarie per un percorso etico formale. Quelle cui, in particolare, mi riferisco sono le seguenti:

1 - Retta parola, si deve essere sinceri con il prossimo sempre, astenendosi dalle critiche inutili; io aggiungo che questo atteggiamento deve essere soprattutto attuato al proprio interno. Già nel periodo Vedico, come regola esistenziale, si raccomandava di amare il prossimo, di essere gentili e ben disposti con tutti.

2 – Retto sforzo, ogni attività quotidiana deve essere svolta cercando di dare il meglio di sé, attraverso un perfetto controllo delle passioni, si tratta di un metodo indicato anche all’interno delle antiche scritture indovediche.

3 – Retta concentrazione, si deve imparare a concentrarsi su un oggetto, un punto oppure un’attività, al fine di esercitare l’attenzione e attingere la conoscenza intuitiva.

Gurdjieff ai suoi allievi, consigliava di utilizzare ogni mezzo pur di mantenersi in costante stato autosservativo, di giorno e di notte; era inoltre solito far vivere loro, particolari “choc addizionali” (stress) che coinvolgevano la sfera fisica, intellettuale, emotiva. Anche Assagioli, raccomandava la pratica di tecniche che stimolano la concentrazione. In merito agli choc addizionali anche io, spesse volte agisco come Gurdjieff (mi riferisco alla motivazione che mi induce ad adottare specifici comportamenti). Questo speciale metodo “educativo” permette di realizzare interessanti modificazioni della personalità, soltanto nello studente  che adotta in sé un adeguato sentimento di umiltà, che ha reale desiderio di imparare; invece la persona carente di volontà buona, per raggiungere un adeguato equilibrio interiore, più di altri studenti, dovrebbe essere a stretto contatto con l’insegnante.

4 - Retto raccoglimento interiore; si tratta di una pratica meditativa (conosciuta come Samadhi, termine tratto dallo Yoga) condotta con estrema consapevolezza e nel totale dominio di se stessi. Questa è una delle pratiche più difficili da attuare.

L’insegnamento relativo all’autoconoscenza attribuito al Buddha storico, comprendeva aspetti costruttivi ed altri distruttivi; ai discepoli che gli ponevano domande metafisiche, egli rispondeva con un nobile silenzio, si limitava a comunicare le nozioni utili ai fini della liberazione dagli attaccamenti.

Di Gurdjieff è stato detto che era un distruttore di false dottrine e concezioni moralistiche, come Buddha anche Gurdjieff si dichiarava libero da opinioni.

Dove è possibile applico medesimi metodi, sono inoltre molto attenta a non creare condizioni che inducano chicchessia a dipendere da me, fin dal principio mi preoccupo di evitare la strutturazione di transfert e contro transfert. Ciò in sostanza si concretizza con comportamenti (veri choc addizionali per lo studente) nel corso dei quali, a volte, offro il peggio di me, affinché la persona si convinca che, per studiare se stessa, è necessario utilizzare la propria buona volontà e non quella altrui.

La maggiore difficoltà, incontrata da chiunque abbia deciso di intraprendere percorsi di autoconoscenza, è solitamente generata dall’illusorio sentimento di libertà, cui l’intera umanità aderisce. Ogni persona è convinta di agire seguendo gli input del proprio volere, crede di essere consapevole perché mangia, dorme, fa sesso, balla il tango, va a teatro, al cinema, guarda la tivù, va in vacanza.

In realtà, la maggior parte di azioni ed esperienze, una persona ordinaria le realizza ad imitazione di quel che fanno gli altri. Tutti hanno chiaro che, non sempre quel che è adatto ad un individuo, lo è anche per un altro. Proprio perché l’umanità è essenzialmente suddivisa in differenti tipi umani, si dovrebbe comprendere a quale tipo si appartiene e quali ulteriori qualità dovrebbero esser sviluppate per sentirsi (mediamente) realizzati interiormente.

Chiunque può essere in grado di comprendere che la maggior parte delle azioni, del proprio quotidiano vivere fisico, emotivo e intellettivo, sono automatiche. Tutti possono capire che vivere in questo modo, non basta per poter affermare che si esiste, poiché l’agire ossessivamente ripetitivo, non è vita.

Vi è però una ulteriore e super illuminante scoperta, una delle più significative esperienze che una persona si trova a vivere, se mette in pratica l’insegnamento assagioliano e gurdjieffiano: La persona seriamente indirizzata spiritualmente, si accorge che è estremamente automatico, illudersi di non illudersi.  

Questa è la ragione per cui, quando si intraprende questo speciale studio, si può incorrere in un banale errore, che induce ad ipotizzare quanto segue: “Non ho più bisogno di studiarmi, ho finalmente capito quel che ho letto sui libri, quel che ha spiegato il tal oratore o insegnante; ho imparato e sicuramente non mi ripeterò più, non agirò più automaticamente”.

E’ necessario aver chiaro che, per non incorrere in ripetitive esperienze automatiche, quindi per mantenersi nello stato di vita reale, non è sufficiente aver compreso teoricamente e neppure praticamente, come funzionano gli umani.

Colui (o colei) il quale, illusoriamente crede di non dover più osservare una sua specifica Subpersonalità (chiamata anche “falso io”, identificazione, automatismo) perché l’ha scoperta, l’ha individuata, cade nel più banale degli equivoci.

A conferma di quel che ho appena evidenziato, è sufficiente ricordare che non è per nulla facile smettere di fumare, di drogarsi, di ubriacarsi oppure di liberarsi da nevrosi ossessive. Si tratta di identificazioni dannosissime, dalle quali è possibile allontanarsi o non lasciarsi dominare completamente, se ci si impegna nell’essere costantemente presenti a se stessi.

Anche gli psicologi che utilizzano le tecniche della Terapia Cognitivo Comportamentale, utili per risolvere nevrosi ossessive e compulsive, attacchi di panico e ansia, utilizzano una metodologia che è strettamente connessa, con quel che ho fino ad ora sostenuto.

Gli psicologi che impiegano il metodo cognitivo-comportamentale sostengono che la persona che è prigioniera di ossessioni, deve innanzi tutto considerarsi malata. É altrettanto importante che il soggetto si convinca che da questa malattia può guarire o migliorare notevolmente, tramite la costante osservazione dei propri pensieri e azioni compulsive. Per riuscire ad essere meno aggrediti da pensieri ed azioni prodotte automaticamente, la psicologia cognitivo-comportamentale utilizza differenti strategie, tra le tante la più significativa è la seguente: si deve considerare il problema “separato” dalla persona e avviare un vero e proprio dialogo tra il disturbo e chi ne è affetto.

Questa procedimento ci rimanda ad Assagioli, al metodo denominato di “Disidentificazione e auto-identificazione dell’io" ( da “L’Atto di Volontà” – Roberto Assagioli – Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1977).

Per quanto concerne la mia esperienza, sostengo che la metodica assagioliana, è estremamente efficace, a volte ancora meglio di quella in cui (come nel caso della terapia cognitivo-comportamentale) si applica la osservazione diretta del sintomo, per ottenere un suo conseguente graduale controllo.

Per far meglio comprendere la veridicità di quel che affermo, citerò un caso di nevrosi ossessiva compulsiva da contaminazione, da me seguito.

Fin dal primo incontro, al fine di attivare una maggiore attenzione consapevole, che permettesse al soggetto di creare una adeguata distanza interiore dal sintomo, consigliai la stesura di un diario; ipotizzai che questa persona avrebbe conseguito immediati risultati, durante la stesura del diario, nel quale doveva descrivere dettagliatamente, la subpersonalità che la induce, a lavare la quasi totalità del suo corpo, ogni volta che si reca in bagno, per espletare le normali funzioni corporali.

Questa persona, tramite l’utilizzo del diario ha, per la prima volta (così ha sostenuto), avuto il desiderio profondo di ribellarsi alla ossessione che la tiranneggia da oltre venti anni.  Ha potuto verificare (anche matematicamente) quanto tempo impiega per compiere i giornalieri rituali di sterilizzazione; questo differente tipo di osservazione che potrebbe esser definita consapevole, ha indotto questo individuo a trasformare le fobie ed i sensi di colpa ad essi connessi, in una rabbia propositiva che gli ha fatto decidere di ridurre il numero di minuti, solitamente impiegati per l’elaborazione di pensieri ossessivi e la conseguente esecuzione di atti compulsivi.

Per farvi meglio capire, come sia devastante la cronica adesione ad un automatismo di natura emotiva che, nel caso di un nevrotico ossessivo compulsivo medio grave, necessita di ripetuti rassicuranti rituali, vi sintetizzo alcuni dei momenti salienti di una giornata tipo che la persona cui mi riferisco è solita trascorrere. Per realizzare la sua speciale pratica compulsiva, questa persona si allontana da casa solo per recarsi al lavoro e per altre obbligatorie mansioni (fare la spesa, rispettare gli appuntamenti presi con me, ecc.); le rimanenti ore le trascorre all’interno della propria abitazione (in compagnia del suo convivente), per poter liberamente lavare il proprio corpo e gli abiti. A quella che può esser definita la sua principale attività, questo soggetto dedica il tempo che più gradisce (in genere, ogni giorno, un minimo di tre ore e oltre). Durante le ore lavorative, si reca sei volte in bagno, tre al mattino e tre il pomeriggio; ogni volta dedica a questa operazione soltanto cinque minuti perché dove lavora, nessuno è a conoscenza del suo disturbo; in ufficio, a causa della “fretta”, spesse volte è solito uscire dalla toilette, completamente bagnato, sia nell’abbigliamento intimo che in quello esterno.

Il differente, seppur flebile atteggiamento interiore (ottenuto tramite l’esecuzione del diario che permette di osservare la subpersonalità che fa sorgere il dubbio di essersi sporcato), fino ad oggi ha stimolato il soggetto ad avere un maggiore controllo sulle sue emozioni. Il desiderio di frenare la paura è emerso durante i primi dieci giorni, periodo in cui si è fortificata la spontanea necessità, di dedicare minor tempo ai rituali che è solito compiere, mentre si trova nell’apparente stato di veglia e che sospende soltanto quando il suo corpo dorme totalmente.

In casi come questo, anche la famiglia (o chi vive a stretto contatto con la persona) deve essere aiutata a distaccarsi dagli input che le vengono inviati, affinché il malato moderi i pensieri ed i comportamenti ossessivi (il malato ossessivo, chiede continuamente rassicurazioni verbali, in alcuni casi domanda che si partecipi all’esecuzione dei rituali o che vengano praticati per lui).

Realizzare questo tipo di distacco per alcuni è difficoltoso; il familiare o amico teme che, smettere di assecondare il disagio del proprio caro, possa essere interpretato come mancanza d’amore. In genere, accade più facilmente che vi sia difficoltà ad interrompere questo tipo di rapporto, perché la persona non malata, si è identificata nel ruolo di consolatore, di rassicuratore e per questo motivo (soprattutto agli inizi del trattamento) può opporre una seria resistenza, prima di convincersi che, non aiutare più il proprio caro, significa amarlo davvero.

Concludo sostenendo che non è errato affermare che la nevrosi ossessiva, ovvero il prevalere sistematico di comportamenti mentali e fisici (apparentemente innocui per il prossimo), produce meccanismi psicologici identici a quelli generati dalla necessità di assumere droghe o bevande alcoliche.

Non è neppure errato sostenere che, potenzialmente, tutti gli umani sono psicologicamente malati, esattamente come coloro che sono prigionieri di gravi nevrosi oppure sono dipendenti da droghe o da alcol. La maggior parte dell’umanità è dominata da inutili automatismi, non dannosi socialmente perché meno evidenti, ma ugualmente pericolosi sul piano individuale. Ed è proprio l’illusione di essere liberi, che spesso rende gli umani sciocchi perché fa loro credere d’essere consapevoli, coscienti.

Spero che il mio argomentare abbia suscitato il desiderio di cominciare a scoprire che cosa significa essere un umano; se quanto vi ho fino ad ora riferito non è stato sufficientemente chiaro, me ne dolgo e vi chiedo scusa citando Gurdjieff, nella speranza che le sue parole possano ottenere un migliore effetto.

Nel corso di uno dei suoi rituali brindisi, Gurdjieff spiegò ai propri allievi, quel che si teorizzava in una comunità Sufi, a proposito della “Scienza dell’Idiozia” (da “Idioti a Parigi” – John G. & Elizabeth Bennett – Edizioni Mediterranee, Roma, 1996), nel modo seguente: ” …. È stato tramandato dall’antichità un metodo di insegnamento che consisteva nel tracciare il percorso dell’evoluzione dell’uomo, dallo stato naturale fino alla realizzazione del suo potenziale spirituale… Ci sono ventuno gradi dell’intelletto, da quello dell’uomo comune fino a quello ….. di Dio. Nessuno può raggiungere l’Intelletto Assoluto di Dio e solo i figli di Dio come Gesù Cristo possono avere i due gradi di intelletto diciannovesimo e ventesimo. Quindi lo scopo di ciascun essere che aspira alla perfezione deve essere di raggiungere il diciottesimo grado…. La parola idiota ha due significati: il vero significato, che le fu dato dagli antichi saggi, era essere se stessi. Un uomo che è se stesso sembra e si comporta come un folle per coloro che vivono nel mondo delle illusioni, così quando essi chiamano idiota un uomo, intendono dire che non condivide le loro illusioni. Chiunque decida di lavorare su se stesso è un idiota in entrambi i significati. Il saggio sa che sta cercando la realtà. Lo stupido pensa che sia impazzito.  Noi qui presumiamo di cercare la realtà, quindi dovremmo tutti essere idioti: ma nessuno può rendervi un idiota. Dovete sceglierlo voi stessi. Questo spiega perché chiunque ci visiti qui e voglia rimanere in contatto con noi, può scegliere la propria idiozia. Quindi noialtri desidereremo con tutto il cuore che egli possa realmente diventare idiota”.


 

RISPETTO (dignità) DI SÉ E DEI PROPRI SIMILI, NELL’ESISTERE E NEL MORIRE - Conferenza tenuta presso il Teatro Cantelli di Vignola (Modena) il 15 Giugno 2005

 

Mi è stato fatto osservare che, in una relazione scritta, avrei dovuto evitare di inserire riferimenti personali; non lo ho fatto perché è soltanto la propria esperienza che permette di diventare consapevoli di uno specifico evento di natura esteriore e/o interiore. Grazie alla personale esperienza, condivisa con le mie sorelle Nadia e Teresa, sono stata stimolata a riflettere maggiormente sulla dignità degli individui, che si trovino in stato di salute oppure no e ad organizzare la Giornata di Studi dal titolo "Dignità dell'esistere e del Morire" (il programma è nella pagina  "Eventi Old").

 

Tung Men Wu, vissuto a Wei, non si afflisse quando il figlio morì. Sua moglie gli disse: “Nessuno al mondo Amava il proprio figlio quanto te, perché non ti affliggi ora che è morto?”. Egli rispose: “Non avevo figli, e quando non ne avevo, non mi affliggevo. Ora che è morto tutto è come prima, quando non avevo alcun figlio. Perché dovrei affliggermi ora?” – “Perché dovrei affliggermi ora” - Osho Raineesh - Stampa Alternativa, 1992.

Premessa

Desidero precisare che si è scelto di dare inizio al primo di una serie di eventi (nei quali la dignità dell’esistere e del morire è uno dei principali temi) in provincia, non perché nelle città gli spazi siano carenti; in particolare a Bologna, dove è situata la sede legale di Klären, gli spazi di proprietà delle Istituzioni, soprattutto a pagamento, è possibile ottenerli con estrema facilità. La scelta di partire da Vignola è stata generata dalla volontà di rendere un servizio anche e soprattutto, nei luoghi dove spesso l’informazione è prevalentemente locale. Sicuramente Vignola, così vicina a due importanti centri cittadini (Modena e Bologna) non è isolata come invece lo sono altri numerosi piccoli comuni. Qui, la Rocca è un grande richiamo turistico e, in tempi recenti, più volte la si è vista in tivù, grazie ad una pubblicità di prosciutti. Proprio nella Rocca di Vignola si era pensato di realizzare questo evento; si era scelto tale luogo perché eravamo venuti a conoscenza che la Fondazione Rocca di Vignola offre, gratuitamente, l’utilizzo di alcune sale convegni per la realizzazione di eventi culturali. Eravamo stati informati che in essa era perfino stata organizzata una conferenza sull’Astrologia, antica disciplina introspettiva che è sicuramente di grande interesse pubblico, anche se spesso è utilizzata in modo distorto. Negli approcci iniziali (verbali) parve che la Fondazione Rocca di Vignola fosse molto interessata ad ospitare l’iniziativa promossa da Klären (infatti la data del 15 giugno 2005 fu decisa in base alle disponibilità delle sale convegni contenute nella rocca); in tempi immediatamente successivi è invece accaduto di veder verbalmente respinta la richiesta formale redatta per iscritto, con la seguente motivazione: “Non si darà ospitalità all’evento promosso da Klären perché il Presidente della Fondazione Rocca di Vignola (oggi ex presidente), Signor  Giorgio Cariani, ritiene che  gli argomenti che in detto evento saranno trattati, non sono di rilevante interesse culturale, come potrebbe invece esserlo una mostra di pittura, un recital di poesia, di letteratura”. Sicuramente questo gentile Signore, ignora il fatto che il tema riguardante la dignità dell’esistere e del morire, è da molto tempo al centro di dibattiti nazionali, europei, internazionali e che, ad esempio, in tempi recentissimi (4 maggio 2005) nella città di Roma si è tenuto un simposio del quale facevano parte luminari di svariate discipline, compresi i Filosofi ed i Politici. In quell’occasione, oltre ad essersi occupati del tema eutanasia, che è in stretta relazione con le tematiche salutistiche e la dignità dell’esistenza, alcuni studiosi avevano posto la seguente domanda: “Di chi è il corpo e di quale corpo si parla?”. Più semplicemente: “Di chi è la vita? È dell’essere umano, oppure della Società, o dello Stato in cui si vive?”. Il dibattito concernente la dignità della vita, quasi giornalmente è presente su riviste, quotidiani, radio e televisione; probabilmente, l’ex Presidente della Fondazione Rocca di Vignola, neppure sa che tale questione va di pari passo con quella che concerne le tematiche dai più conosciute come “Accanimento terapeutico” e “Morte dignitosa”. Lo stimolo ad organizzare questo evento è stato rafforzato dalla mia personale esperienza, che mi ha vista testimone di un’altra a mio parere poco dignitosa realtà, che giornalmente si concretizza all’interno di svariati reparti ospedalieri. L’attuale Società è solita utilizzare sinonimi importanti quali: collaborazione, associazionismo, solidarietà, compassione. Di tali sinonimi credo non sia esagerato affermare che pochi ne conoscono il reale significato ed altrettanti pochissimi individui li mettono in pratica. Ho sempre cercato di rendere un servizio disinteressato al prossimo, privatamente e pubblicamente, concependo appieno i valori della spontanea collaborazione con altri individui ed associazioni che hanno i miei identici ideali filantropici, ovvero che si adoperano per recare benessere psicologico e, laddove è possibile anche materiale, ai propri simili. Per questa ulteriore ragione, anche tramite Klären, ho preso a cuore le tematiche riguardanti la persona malata ed anche colei che è vicina a morire. Ho voluto quindi credere che altre associazioni fossero interessate a tale argomento, in special modo quelle che si occupano di una particolare malattia, che sta all’origine degli studi di Tanatologia ma è anche presente nel dibattito sull’eutanasia. Si tratta della Sclerosi Laterale Amiotrofica, meglio conosciuta con l’acronimo SLA, che in tempi recentissimi ha toccato la mia famiglia, permettendo alla mia amata Madre di lasciare il suo corpo per sempre. La liberazione dal corpo è stata compiuta da mia madre tramite un viatico (di circa due anni) oltremodo dignitoso, eccettuate le poche ore trascorse in ospedale, immediatamente precedenti la sua definitiva dipartita. Le risposte ottenute dalle associazioni e strutture cliniche alle quali mi sono rivolta, mentre stavo organizzando questa giornata di studi, sono state ovviamente negative. Ritengo che ciò sia avvenuto per le seguenti differenti motivazioni:

bullet

il tema trattato e la scelta di utilizzare, in modo evidente, la parola “morte”

bullet

chi non conosce Klären crede che essa sia un’associazione non frequentata da scienziati ortodossi

bullet

Klären non è unicamente interessata alla cura del corpo perché ritiene che esso sia un involucro transitorio

bullet

gli interventi dei differenti relatori, danno maggiore rilevanza agli aspetti della psiche o anima.

bullet

Klären non ha scopi di lucro e proprio per questa ragione non fa proselitismo

Per amor di giustizia preciso che  soltanto una sede SLA aveva risposto alle mie formali richieste, sia via telefono che tramite e-mail, per informarmi che non era possibile far partecipare all’evento un proprio relatore perché impegnato altrove.

La morte è un tabù universale

Uno dei maggiori aiuti che può esser reso all’umanità, in particolare nell’attuale epoca, è quello di educare i più a non fuggire da chi è malato gravemente, né dalla persona che è in procinto di morire (il malato terminale). È da tempo accertato che per l’inconscio è inconcepibile immaginare la reale fine della propria esistenza e, nel caso ciò debba avvenire, si ipotizza che può accadere solo a causa di qualcun altro. Si accetta l’idea di poter essere uccisi, ma generalmente si esclude il fatto di poter morire per malattia oppure di vecchiaia. Tale concezione induce ancor di più a collegare l’evento mortale ad un atto spaventoso, che richiama a sé i sentimenti di rabbia, vendetta, punizione. Vi è un’ulteriore particolarità dell’inconscio (sostenuta anche da svariati studiosi occidentali) la quale evidenzia che, questo speciale (e misterioso) apparato interiore, non è in grado di distinguere un fatto da un desiderio. La mente del bambino agisce nello stesso modo; ne consegue che, se un bambino preso da rabbia augura alla madre di morire perché si è rifiutata di comperargli un giocattolo, sicuramente quel bambino, nel momento in cui la madre morrà veramente, ne risulterà estremamente traumatizzato e si sentirà sempre responsabile, in colpa, per la morte della madre anche se essa è sopravvenuta in tempi lontani da quello in cui egli aveva espresso quel desiderio. In genere, un evento luttuoso, mostra due specifiche fasi iniziali:

bullet

nella prima fase si evidenziano emozioni di tristezza e colpa

bullet

nella seconda fase prevalgono sentimenti di ira e collera

 

Il dolore per la morte di un proprio congiunto è espresso anche quando, ad esempio, si tratta del coniuge con cui era stato vissuto un rapporto conflittuale, fatto di giornalieri furibondi litigi. Quale è la reale motivazione per cui, ad esempio, l’anziano coniuge sopravvissuto, si dispera per la morte di chi lo aveva fatto sempre soffrire? Sicuramente il fatto che la morte potrebbe toccare anche lui; tale pensiero sarà ancora più forte se, come nel caso del bambino, vi saranno inconsci sensi di colpa. Oggi, più di un tempo, la morte è un avvenimento terribile. La paura di morire, di non esistere più fisicamente, è un tabù universale che si è ingigantito a causa del sempre maggiore sviluppo scientifico, che favorisce l’illusoria credenza in una vita eterna. Infatti, i più sono convinti che, se si sconfiggerà uno specifico tipo di malattie, in futuro si potrà non morire più. Questa falsa verità, generata dalla paura di morire, fa sì che la maggior parte di persone non voglia occuparsi di chi si avvicina a questo inevitabile traguardo. Tra essi, per primi spiccano i parenti (quando esistono) ma, e ciò può stupire, lo stesso comportamento è adottato all’interno dei luoghi di cura, gli ospedali, nonostante le scoperte evidenziate dalle ricerche effettuate da Elisabeth Kübler-Ross circa quaranta anni fa. Kübler-Ross (deceduta qualche estate fa) aveva osservato che nella società in cui la morte è un tabù, “parlarne è giudicato morboso”. E’ questa una delle fondamentali ragioni per cui molte persone tengono lontani i bambini dal malato che sta per morire (anche se, ad esempio, si tratta della madre); gli adulti giustificano questo loro agire, sostenendo che per i piccoli sarebbe troppo doloroso assistere ad un simile evento. Quando è un genitore (o un fratello) ad aver lasciato per sempre il corpo, gli adulti che in precedenza avevano inviato il bambino a casa di un parente o amico, sono soliti elaborare la seguente bugia: “se ne è andata/o per compiere un lungo viaggio; è andata in cielo” e così via.  I bambini, nella maggior parte di casi, da un simile comportamento elaborano che, non dovranno aver più fiducia negli adulti, dai quali si sono sentiti presi in giro o comunque hanno agito con loro in modo errato. Mentre fino alla metà del Novecento, molte persone avevano il privilegio di morire serenamente e con dignità, all’interno delle proprie abitazioni, oggi tutto è molto spaventoso, disumanizzato, oltremodo meccanico e non sempre gli specialisti sono in grado di determinare il momento in cui la persona è realmente deceduta. É enormemente doloroso constatare che oggi sempre più persone muoiono in solitudine, senza dignità. Si giunge a ciò per svariate ragioni, la prima perché il malato spesso è allontanato dall’ambiente familiare, per essere velocemente portato al pronto soccorso. Chi ha vissuto questa esperienza, sa a quale disagio si è sottoposti durante questo trasporto e sono concorde con Kübler-Ross nell’affermare che il viaggio all’ospedale è “il primo episodio del morire”. Certamente sono altrettanto concorde nell’affermare che, pur di  salvare vite, si possono sopportare scomodi e dolorosi trasporti; ma mi preme precisare che in questa sede, la mia principale preoccupazione (in assoluto accordo con le osservazioni di Kübler-Ross) è quella di evidenziare i bisogni del malato (e dei suoi familiari) quando, in particolare, si trova a vivere all’interno di un ospedale. Dalla mia personale esperienza, come da quella di altri studiosi che si occupano attivamente del fenomeno morte, è emerso che un paziente spesso è trattato dal personale sanitario e parasanitario, come una persona che non ha alcun diritto di avere opinioni, sentimenti, non ha soprattutto il diritto d’essere ascoltato dai professionisti che si muovono intorno a lui e nelle corsie. In genere il malato ricoverato in ospedale, assiste al seguente quotidiano agire:

 

bullet

le infermiere corrono lungo la corsia o da una stanza all’altra

bullet

gli inservienti si muovono tra i letti e lungo i corridoi, a volte utilizzando strumenti rumorosi e proprio nei momenti in cui il malato stava per addormentarsi, dopo aver passato la notte insonne

bullet

gli studenti (che spesso scambia per medici laureati) e gli assistenti, guardano il malato a malapena

bullet

i medici mentre sostano in prossimità del letto del malato, parlano all’infermiera, ai colleghi e agli assistenti, utilizzando un linguaggio incomprensibile

bullet

a volte un tecnico di laboratorio preleva il sangue del malato oppure un altro tecnico gli effettua un cardiogramma.

Dopo poche ore passate al pronto soccorso, il malato grave è finalmente collocato in un reparto specifico dell’ospedale; da quel momento egli vive la seguente dolorosa esperienza: - pur essendo entrato nell’ospedale come persona (almeno pensava d’esserlo), immediatamente comincia ad essere trattato come cosa. Spesso, infatti, all’interno dell’ospedale, vengono prese decisioni per il malato e quando egli cerca di ribellarsi, è trattato a base di sedativi e se questi non bastano, gli vengono legati i polsi alle sbarre del letto, mentre egli grida: “voglio andare a casa! Voglio morire a casa mia, nel mio letto!”. Nei casi in cui il malato, dopo ore di attesa, è portato nella sala operatoria o nel reparto di rianimazione, diventa un oggetto di grande interesse e investimento finanziario (cioè costa molto alla struttura). Anche in questi differenti reparti, se il malato desidera riposare in pace e con dignità, ottiene soltanto medicine, trasfusioni e, se ritenuta necessaria (?) una tracheotomia. Il malato quando è ricoverato in ospedale ha attorno a sé tante persone, che si occupano della sua macchina, del suo corpo, ma nessuna di esse si ferma un attimo per accarezzargli una mano, per ascoltarlo. Egli, giornalmente, subisce quella che può senz’altro esser definita una forma sottile di violenza psicologica, seppur intrapresa per salvargli la vita. In quel luogo è chiaro per tutti, tranne che per lui e spesso anche per i suoi familiari, che la salvezza della sua vita, non include che, oltre al corpo, in quel letto, ci sia anche una persona. In genere, l’elemento giustificativo di questo identico agire all’interno della maggior parte di strutture ospedaliere, è il seguente: “non è possibile perdere tempo per occuparsi della persona, perché esso deve servire per salvarle la vita”. Questa affermazione potrebbe essere vera nei casi in cui, realmente, vi è la possibilità di salvare la vita o meglio di prolungarla, creando le condizioni di un vivere con dignità, cioè in rinnovata o ritrovata salute fisica e psicologica. Per quale ragione invece, lo stesso identico comportamento è attuato nei confronti dei malati che sono vicini alla morte? E’ sicuramente possibile affermare che la maggior parte di persone, impegnata all’interno degli ospedali, preferisce concentrarsi sugli aspetti meccanici-organici dei singoli individui (utilizzando svariati tipi di apparecchiature, cercando anche di evitare di cambiare troppo spesso i pannoloni a chi è incontinente e dotandolo, per questa ragione, di un catetere utile per la eliminazione delle urine) perché in questo modo, non affrontano il problema della morte, che riguarda inevitabilmente anche chi (il medico e l’infermiere), ogni giorno, sa che dal reparto in cui opera, qualcuno se ne andrà direttamente all’obitorio. Negli ospedali quindi i più si affidano alla macchine, è ad esse che domandano come sta il paziente. Medici ed infermiere, evitano di guardare con intensità il volto di chi ricorda ad entrambi che sono impotenti, che non possono far nulla per salvarlo. La sofferenza del malato crea disagio perché, quotidianamente, rammenta al personale sanitario, la sua stessa mortalità. Desidero aprire una breve parentesi, per evidenziare le ulteriori ragioni per cui, da un essere umano che si ammala gravemente (che è vicino alla morte) i più fuggono o tendono a considerarlo un oggetto, in modo particolare all’interno della maggior parte di strutture sanitarie pubbliche. A tal scopo, indicherò alcuni specifici elementi che emersero dalla ricerca da me effettuata sul “Disturbo d’ansia generalizzato”, che fu anche il tema della mia tesi di laurea che mi permise di conseguire il Ph. Doctorate in “Hindo-Vedic Psychology” ad indirizzo Ayurvedico. Nel nostro Paese, da circa quindici anni ma, probabilmente da quaranta e forse più negli U.S.A., si è cominciata a dar eccessiva importanza al corpo e meno alla persona, anche in chi è sano. Conseguentemente, potrebbe non meravigliare eccessivamente che lo stesso tipo di considerazione, sia attuato nei confronti del malato e ancor di più di colui che sta per morire. Non è errato affermare che, nell’attuale contesto epocale, l’umanità è ancor più pregna di automatismi che la allontanano da sé e la proiettano continuamente, in modo esasperato, alla ricerca di una utopistica felicità, che i più pensano di poter ottenere tramite l’acquisizione di un sempre maggior numero di beni materiali, tra i quali spicca quello che, può essere sinteticamente definito il “culto del bello” effimero fisico. L'esagerato senso estetico, il mito della bellezza che è strettamente connesso a quello dell'eterna giovinezza (il più ingannevole di tutti), è il traguardo imperante della attuale umanità. La maggior parte degli individui non accetta di vedere il proprio corpo invecchiare, conseguentemente gli esperti in chirurgia estetica, unitamente alle cliniche ed istituti di estetica, promettono a chiunque di ritrovare il paradiso perduto (dimagrire, ritrovare la bellezza); a causa di tal rinnovato benessere esteriore, le persone “rifatte”, si convincono di poter trovare l’anima gemella. Estetisti, medici, chirurghi plastici, industrie produttrici di creme di bellezza e protesi varie, ma anche riviste di vario genere, si arricchiscono sempre più, semplicemente contribuendo ad accrescere, in un sempre maggior numero di umani, l’illusione di poter sconfiggere ciò che spaventa tutti: la morte, ovviamente del corpo. Proprio nell’esagerato culto del bello (fisico), ha origine il maggior sintomo che degenera in ossessiva fobia, seppur sapientemente mascherata. Tutti temono la vecchiaia, perché essa ricorda che la morte, la meta ultima, sempre più si avvicina! Il culto del bello ha contagiato persone di tutte le età, giovani, vecchi, donne e uomini. Un sempre maggior numero di persone si rivolge al chirurgo plastico per farsi rimodellare nasi troppo pronunciati, menti, seni e occhi imperfetti. Altre persone si lasciano iniettare preparati di vario genere, per farsi togliere piccole rughe d'espressione o per avere labbra più pronunciate. Altre ancora si fanno tagliare il ventre, siringare lo stomaco, le cosce ed altre parti del corpo, da cui viene tolto il grasso in eccedenza o nel quale si introducono protesi che aumentano il volume dei muscoli, e così  via. Ormai sono poche le persone che vogliono nascondere d’essersi sottoposte a tale intervento ricostruttivo, generalmente chi si sottopone a questo trattamento se ne vanta (spesso anche in televisione). E’ abbastanza comune il fenomeno sociale (soprattutto in ambienti politici e dello spettacolo) che si verifica quando si conoscono nuove persone (sia personalmente che tramite la televisione), che induce a scoprire se la faccia della tale (e non solo essa) è la sua o se invece è stata ricostruita e quante volte. Il dio bellezza è quindi divenuto una droga mentale che agisce insieme ad un’altra ancor più grande, la quale opera sottilmente, come un virus invisibile, ipnotizzando chiunque non è attento a sé: la pubblicità. Con slogan di vario tipo si va ad irreggimentare la maggior parte di umani, secondo i modelli che il mercato dei media, in accordo con i produttori di illusioni (industrie produttrici di materiali vari) vuole imporre. Tutto questo accade perché gli umani totalmente asserviti al potere tecnologico (computer, telefoni cellulari, lavastoviglie, televisione, automobili, ecc.), ancor più di un tempo alimentano la vera madre di tutti i vizi, la pigrizia, che induce a creare stati di ipnosi collettiva. Infatti, il culto esagerato del bello nel corpo, inizialmente era parso un lusso che potevano permettersi soltanto alcune fasce della società, negli anni 2000 è divenuto una moda, una specie di ossessione che coinvolge tutte le tipologie sociali e che spinge, ancor più di un tempo, la maggior parte dell'umanità a dimenticar se stessa, la sua vera natura, la ragione per cui esiste. Sempre più individui, assomigliano a macchine simili a robot, sono delle “Matrix”, come è stato mirabilmente evidenziato nell’omonimo film (scritto e diretto dai Wachowski Brothers). Il “culto del bello” in realtà esprime in modo visibile, concreto, le ragioni per cui la maggior parte dell’umanità dimentica se stessa, rincorrendo traguardi inutili che spesso sono irraggiungibili e che, seppur ottenuti (come nel caso degli interventi di chirurgia estetica), fanno percepire che la vera ragione del disagio interiore, non ha nulla a che vedere con belletti, profumi, muscoli e seni super turgidi. La mia ricerca, sul “disturbo d’ansia generalizzato”, aveva evidenziato che le due differenti Scuole, Psicologica Occidentale e Psicologica Indovedica-Ayurvedica, si distinguono in modo particolare nei seguenti aspetti:

bullet

la quasi totalità della Psicologia Occidentale, è una giovanissima disciplina, ancora molto zoppicante che nega il concetto di anima e rifiuta l’ipotesi della reincarnazione

bullet

la Psicologia Orientale, in particolare quella  Ayurvedica-Indovedica, è una scienza ultramillenaria, con una grandissima conoscenza della psiche umana e per questo motivo maggiormente obiettiva; essa sostiene l’esistenza dell’anima e crede alla reincarnazione, aderendo alla teoria del Karma (lett. significa “azione”, in un’accezione più debole ma più arcaica, significa “azione rituale”. Secondo la tradizione indovedica è la Legge di causa-effetto su cui si regge l’universo prakritico (materiale), per la quale ad ogni azione, positiva o negativa, segue una reazione dello stesso segno (il karma-phala, cioè il frutto dell’azione medesima) che ineluttabilmente lega l’agente al samsara, il ciclo di esistenze in cui l’essere vivente incarnato (jivabhuta) si vede costretto a nascite e morti ripetute. L'interruzione del samsara costituisce, secondo le dottrine tradizionali, lo scopo ultimo della vita umana: moksha (liberazione). Colloca il corpo, la parte materiale della persona, in modo sostanzialmente differente: - tutto quel che vien fatto per esso, a partire dalla alimentazione, ha a che vedere con il Sé Superiore, il principio motore di ogni singolo individuo -.

In questa sede, poco mi preoccupa l’adesione o meno alla dottrina della reincarnazione o dell’immortalità dell’anima (anche se alcuni individui, considerano entrambe le ipotesi, una certezza), anche perché queste teorie, solitamente vengono ricondotte all’ambito del filosofico oppure del religioso, per cui è per me scontato che ogni persona, al proprio interno, possa liberamente decidere a quale tipo di concezione aderire. La mia personale esperienza, invece concorda con il fondamentale precetto applicato dalla Scienza Indovedica-Ayurvedica, il quale induce a sostenere che, la non risoluzione dei problemi di chi soffre di ansia e fobie di vario genere, sta nella incapacità di accettare che il proprio corpo dovrà cessare di esistere, che ogni singola persona, nata in questa dimensione terrena, dovrà fisicamente morire. In ambito internazionale, la maggior parte di studiosi occidentali che si sono dedicati allo studio di tematiche concernenti la morte, hanno potuto constatare che l’accettazione della propria personale non eternità, è risolutiva di problematiche patologiche, quali gli attacchi di fuga e panico, e non solo di essi. É stato inoltre osservato che, essere capaci di convincersi della precarietà del proprio esistere quotidiano, stimola a divenire più umili, compassionevoli, a considerare quindi non solo le proprie necessità esteriori ed interiori ma anche quelle dei propri simili, che si vedono sempre più identici a sé, seppur con differenti destini. L’accettazione della morte del proprio corpo fisico, migliora quindi il rapporto con se stessi e con il prossimo e, contrariamente a quel che i più temono, offre un maggiore senso alla propria esistenza, la quale viene finalmente vissuta in modo obiettivo e super propositivo. La persona che sa che dovrà non vivere a lungo, si prodiga quotidianamente per “fare” molto di più, per esistere realmente. Infatti, aver maggior attenzione di sé, aver memoria di se stessi, unita alla consapevolezza dell’indeterminatezza del proprio esistere fisico, induce maggiormente a non sprecar inutilmente il proprio esistere, ad agire nel bene e per il bene, a lasciar tracce di se stessi, per i propri cari e per l’umanità (in qualunque campo dell’esistere la persona si impegni). Nel corso della ricerca da me effettuata, sul “disturbo d’ansia generalizzato” (patologia che, in forma generalizzata e cronica, coinvolge l’intera umanità) posi particolare attenzione ai rimedi generalmente consigliati a chi vuole contribuire alla propria guarigione, sia da parte della psicologia occidentale che dai medici e psicologi ayurvedici. Anche in questo caso, la metodica orientale (in particolare Ayurvedica) si distingue da quella occidentale, per una sostanziale caratteristica:

bullet

l’Ayurveda sostiene che, per la risoluzione di problematiche psicologiche, organiche o fisiologiche, il requisito indispensabile è la non passività del paziente; tra medico e paziente, tra psicologo e paziente, vi deve essere collaborazione, sincera partecipazione. Si stabilisce quindi un reciproco patto, una alleanza che ha come fine comune la guarigione del malato.

Questa è la ragione per cui, le più antiche scuole di medicina e psicologia orientale, affermano che alla base di un corretto stato di salute psicologico e fisiologico, l’elemento principe è la volontà. Tramite la volontà consapevole, è possibile applicare la doverosa autodisciplina, che permette di non trovar difficoltà nell’adottare rimedi e regole quotidiane, adatte per ogni singolo individuo (dieta alimentare, pulizia adeguata del corpo interiore ed esteriore, tecniche di respirazione o pranayama, pratiche Yoga, esercizi di concentrazione e visualizzazione, ecc.). In merito ai rimedi salutistici, è stato per me ulteriormente interessante constatare che, tutto quanto è sapientemente suggerito dalla scienza ayurvedica, è similmente consigliato dagli psicologi occidentali che si occupano del “disturbo d’ansia generalizzato”. Secondo l’Ayurveda, per giungere ad un equilibrato stato di salute, è necessario divenir adeguatamente responsabili di se stessi, in modo integrato, prendendo in considerazione il proprio corpo e la propria psiche. Solitamente, quando il medico ayurvedico riceve un paziente che manifesta un sintomo anche meramente organico, è sì preoccupato di risolvere il problema, ma tiene sempre principalmente in considerazione, gli aspetti psicologici tipici del soggetto che potrebbero in parte aver contribuito all’emergere del malessere. Per il medico e psicologo ayurvedico, è indispensabile la determinazione della esatta appartenenza ad uno specifico tipo psicologico, che si effettua tramite il riconoscimento dei Dosha (Secondo l’Ayurveda gli elementi fondamentali Etere, Aria, Fuoco, Acqua, Terra, nel corpo umano si manifestano sotto forma di tre principi base o umori chiamati Tridosha Vata, Pitta, Kapha; essi agiscono ancor prima della nascita, precisamente all’atto del concepimento, nel momento in cui la costituzione del nuovo individuo è determinata dalla permutazioni e combinazioni degli elementi corporei Aria, Fuoco, Acqua, che sono presenti nei corpi dei due genitori. Vata è formato dagli elementi Etere ed Aria; governa il respiro, il battito delle ciglia, i movimenti nei muscoli e nei tessuti, le pulsazioni del cuore, l’espansione e la contrazione, i movimenti del citoplasma e delle membrane delle cellule, il movimento dei singoli impulsi delle cellule nervose; intestino crasso, cavità pelvica, ossa, pelle, orecchie, cosce, sono le sue sedi. Sul piano psicologico, governa i sentimenti, le emozioni quali: ingenuità, nervosismo, paura, ansia, dolore, tremori, spasmi. Pitta è formato dagli elementi Fuoco ed Acqua; governa l’assorbimento, l’assimilazione, la nutrizione, il metabolismo, la temperatura corporea, colorazione della pelle, splendore degli occhi, intelligenza e comprensione. Intestino tenue, stomaco, ghiandole sudorifere, sangue, adipe, occhi, pelle sono le sue sedi. Sul piano psicologico, genera ira, odio, gelosia. Kapha è formato dagli elementi Terra ed Acqua ed è deputato al mantenimento della resistenza corporea, lubrifica le giunture, fornisce umidità alla pelle, aiuta a guarire le ferite, riempie gli spazi nel corpo, dona forza biologica, vigore, stabilità, favorisce la conservazione della memoria, dà energia al cuore e ai polmoni, mantiene l’immunità. Si trova nel petto, gola, testa, concavità, naso, bocca, stomaco, giunture, citoplasma, plasma, secrezioni liquide del corpo come il muco. Sul piano psicologico, le emozioni che scaturiscono da un tipo Kapha sono l’attaccamento, l’avidità, l’invidia di lunga durata; sul versante positivo: calma, perdono, amore. L’Ayurveda determina 7 tipi di costituzione: 1) Vata; 2) Pitta; 3) Kapha; 4) Vata-Pitta; 5) Pitta-Kapha; 6) Vata-Kapha; 7) Vata-Pitta-Kapha), uno strumento ottimale per realizzare la guarigione. Per lo psicologo ayurvedico (come per il medico), questo seppur complesso metodo di indagine, è di gran lunga molto più semplice e breve di quello utilizzato dalla Psicoanalisi. E’ stato accertato che la tendenza ad avere maggiore attenzione di sé, pare essere il traguardo più difficile da raggiungere, soprattutto per chi vive in occidente, poiché, l’uomo e la donna si sono abituati a delegare altri a governare il proprio stato di salute. Medici specialisti di ogni genere, medicamenti chimici di ogni tipo, prodotti alimentari preparati da altri (precotti) e bevande chimiche, sono l’esatta espressione di una civiltà che non vuol occuparsi di sé, che considera se stessa alla stessa stregua di un oggetto, che pensa al proprio corpo come ad una auto che, quando si rompe, è portata a riparare dal carrozzaio oppure dall’elettrauto. La quasi totalità dell’umanità, però disattende un fattore determinante: - il padrone dell’auto (che metaforicamente potrebbe corrispondere alla parte più profonda di sé, quella che è in strettissima relazione con la volontà) può decidere di cambiarla, di sostituirla, quando non funziona più; mentre il corpo umano, nell’attuale contesto epocale, non può essere totalmente sostituito dalla propria volontà, né da quella altrui. La visione olistica che la tradizione indovedica ha degli umani e dell’universo, favorisce una corretta collocazione dell’esistere e premia coloro che utilizzano, in modo consapevole, specifici insegnamenti, rimedi a volte anche solo di tipo alimentare. La frammentaria considerazione che, la gran parte della psicologia occidentale ha degli esseri umani e del mondo (a differenza di quel che sostiene la antichissima tradizione indovedica e ayuverdica), induce a non comprendere le ragioni della vita e a definire paranormali, quindi al di fuori della normalità, fenomenologie che sono unicamente la rappresentazione della sbagliata concezione del mondo e degli umani, i quali vedono, sentono e percepiscono se stessi e tutto quanto li circonda, in modo parziale. A conferma di ciò, la moderna Fisica dei Quanti, già da svariati anni, ha reso noto che l’universo è molto più ampio ed intelligente di quel che si suppone, come anche le potenzialità umane sono enormemente superiori a quelle fino ad oggi espresse. Chiudo la parentesi, sostenendo che il limite che divide le due differenti scienze, non è reale ma concettuale. La differente visione del mondo, della scienza, della filosofia e psicologia indovedica e ayurvedica, parrebbe stabilire l’esistenza di un differente mondo. In realtà si tratta unicamente di differenti modalità percettive, di differenti stati di coscienza. All’interno di un suo notissimo libro, molto saggiamente, Kübler-Ross domandava (“La morte e il morire”, Elisabeth Kübler-Ross – Cittadella Editrice, 1976): “Che diverrà mai una società che dà più importanza ai numeri e alle masse che all’individuo…?”. Kübler-Ross sottolineava che, ad esempio in guerra, “un tempo l’uomo poteva affrontare il nemico faccia a faccia. …” mentre ora “… La distruzione può piombare dai cieli azzurri e distruggere migliaia di persone …. oppure sottoforma di gas o … di… guerra chimica, invisibile, ma” sempre capace di …. Uccidere.  Non è più l’uomo che lotta per i suoi diritti, per le sue convinzioni o per la salvezza o l’onore della sua famiglia; è la nazione, comprese le donne e i bambini, che è in guerra, colpita direttamente o indirettamente, senza una probabilità di sopravvivenza. Kübler-Ross sosteneva che tramite l’invenzione di nuovi apparati tecnologici o formule chimiche “…. la scienza e la tecnologia hanno contribuito a una sempre maggior paura della distruzione e quindi alla paura della morte”. Possiamo tutti confermare che le ipotesi espresse da Kübler-Ross (circa quaranta anni fa) erano vere, abbiamo ancora in memoria come gli U.S.A. ed anche la maggior parte del mondo occidentale, si sono comportati a seguito di quel che avvenne l’11 settembre 2001, tragico evento che si concretizzò grazie all’evoluzione scientifica e tecnologica. Proprio perché gli esseri umani, per differenti motivazioni (guerre, disastri ecologici, e così via) fisicamente sono maggiormente vulnerabili, dovrebbero divenire psicologicamente più forti, accettando la realtà e non fuggendo da essa. Invece, ogni volta in cui accade una disgrazia, proprio perché l’inconscio induce a non concepire di poter fisicamente morire, si accetta unicamente  la morte degli altri ma si continua ad ipotizzare (o elaborare) la propria immortalità materiale. Quando il rifiuto della morte diviene impossibile, c’è chi decide di sfidarla ed arriva a concepire d’essere immune perché, pur avendo rischiato al massimo (ad esempio correndo in automobile a trecento all’ora), è ancora vivo. Non è neppure errato ipotizzare che, sia le guerre che il numero sempre più crescente di crimini vari ed assassini, possano essere il risultato di una sempre minore capacità di accettare la morte. É inoltre possibile affermare che molti serial killer, uccidono per evitare la realtà, per non affrontare la loro morte personale. Non è affatto esagerato o imprudente sostenere che la negazione dell’evento morte impressa nei bambini, a volte può aver generato dei mostri che hanno inferto ferite mortali ai propri coetanei, perché convinti della sopravvivenza eterna della vita fisica; tale convinzione si è stabilizzata grazie alla reiterata visione di svariati cartoni animati e in particolare di specifiche play station, o Game Boy. La negazione evidente della morte, ha prodotto significativi cambiamenti anche in ambito religioso. Chi crede unicamente alla esasperata sopravvivenza del corpo, non crede all’esistenza dell’anima e conseguentemente alla sopravvivenza della vita oltre la morte. Per queste motivazioni è fortemente indotto ad abbandonare la religione. Ritengo di aver illustrato a sufficienza quel che accade a causa della negazione dell’evento morte e posso dar inizio alla conclusione di questa relazione, sottolineando che si potrebbe far moltissimo per i propri malati e sicuramente per il proprio Paese, se si cominciassero ad educare gli studenti, fin dalle scuole elementari, soprattutto gli studenti di Medicina ed anche le Infermiere e tutto il Personale che opera nelle strutture sanitarie, affinché adottino un modo umano di interagire con i propri simili e nel caso del personale sanitario di prendersi cura dei malati, per meglio guarirli. Questo pacifico modo d’agire, non porterebbe via troppo tempo ai vari operatori e sicuramente contribuirebbe a far ottenere maggiori progressi in ambito scientifico e tecnologico. Non ho alcuna difficoltà ad affermare che, a nulla serve una scienza unicamente preoccupata di prolungare la vita, se è pochissimo interessata a rendersi maggiormente umana. Non è possibile che vi siano strutture ospedaliere, più precisamente specifici reparti, diretti da persone che negano la possibilità ad un morente di avere vicino i propri figli o di averne soltanto uno al posto di tre, perché il regolamento impone che vi sia un unico visitatore per ogni paziente! Chi desidera stare accanto al proprio familiare, nel momento in cui questi si avvicina all’ultimo respiro, non può trovar disumane regole, inventate da un Primario o da una Capo Sala di uno specifico reparto d’ospedale nel quale, in genere, sono entrambi assenti! Il familiare o l’amico, dovrebbe invece avere il diritto d’essere compreso e tutelato in questo specifico momento. Non è inoltre accettabile che un medico di reparto, anziché preoccuparsi di riferire ai parenti che il loro caro è vicino a morire,  invece si preoccupi di chiamare l’anestesista (senza aver  prima informato i parenti), il quale dovrebbe constatare se è necessario effettuare una tracheotomia, per tener in vita il soggetto, ad esempio malato di SLA, ancora per alcuni giorni. Nel caso in cui i parenti, non accettino di effettuare quello che può essere sicuramente definito “accanimento terapeutico” (tale è l’intervento che si attua per far vivere una persona per qualche giorno), nuovamente ricevono un trattamento oltremodo disumano quando, lo stesso medico di reparto, sicuramente con una inconscia (?) sadica intenzione di suscitare sensi di colpa nel parente, sottolinea quanto segue:

bullet

la Medicina ha sicuramente dei grandi limiti, ma la paziente, tramite una migliore ventilazione, avrebbe potuto vivere ancora per un giorno o due”.

Queste affermazioni non dovrebbero essere espresse da un medico di reparto perché egli ben sa che, nell’attuale epoca, al malato affetto da SLA, la più grande fortuna che gli possa capitare, è quella di morire nel più breve tempo possibile. In ogni caso un medico di un reparto d’ospedale nel quale spesso sono ricoverati malati affetti da gravissime patologie, sa sempre quando una persona (giovane o vecchia) è vicina a morire, può saperlo osservando evidenti segnali che si manifestano in specifiche parti del corpo (ad esempio piedi, mani); accade però che proprio in quel momento medici ed infermieri più volte chiamati al capezzale del malato, si defilino, ostentando sentimenti di rabbiosità giustificata da affermazioni quali: “sono impegnato in una altra stanza per effettuare un prelievo”; le giustificazioni sono generalmente ostentate dall’infermiere di turno, il quale è spesso delegato ad informare i parenti che “il medico è impegnato al telefono o sta “ricevendo i familiari di altri pazienti”. Quel che ho appena raccontato, non è accaduto venti o trenta anni fa, ma il giorno 05 aprile 2005, quando decisi di togliere mia madre dal reparto in cui era stata collocata, circa ventiquattro ore prima. Desideravo che potesse morire mentre noi figlie la abbracciavamo, le dicevano che era stata una grande Madre e che poteva per questa ragione lasciare libera la sua anima, abbandonare per sempre quel corpo che per tanto tempo l’aveva, in salute, tenuta tra noi. Ai medici ed infermieri di quel reparto d’ospedale è parso anormale, illogico, irrazionale che tre figlie desiderassero essere accanto alla loro madre, con amore e devozione, per attendere la di lei morte, pur avendo negato l’opportunità di effettuare una intubazione, tramite la quale, il suo corpo, già abbondantemente devastato e sofferente (quasi totalmente paralizzata, da alcuni mesi alimentata tramite il sondino nasogastrico) potesse continuare a respirare artificialmente, per qualche ora in più, nell’attesa che il cuore si ingrossasse a tal punto, da non poter (finalmente) più funzionare. Mia madre, riportata a casa, ha potuto vivere per meno di una ora; ma ne è valsa la pena perché ha potuto lasciare il suo corpo mentre le sue figlie le erano vicine. Anche il luogo familiare e adeguatamente illuminato, le ha permesso un sereno trapasso, perché da svariate ore era stimolata a non aver paura a distaccarsi dal corpo, dagli affetti, dalle cose che aveva identificato come sue. A casa, nessun inserviente od infermiere ha potuto disturbare la sua ultima ora di vita, entrando e ordinando (a voce alta) a noi figlie di allontanarsi da lei, perché doveva essere spolverata la stanza o portata la “padella” per le urine ad un'altra ammalata. In ospedale, circa otto ore precedenti la sua morte, nel momento in cui mia madre aveva avuto la sua ultima e meravigliosa presenza intellettuale (era tornata lucida), fummo violentemente allontanate da lei e private d’essere ancora una volta accarezzate e salutate dai suoi dolci occhi (mamma aveva perduto l’uso della parola da circa un anno e non era più in grado di muovere neppure le mani). Appena sopravvenuta la morte, il corpo di mia madre non è stato immediatamente condotto in una saletta e lasciato in solitudine, ma ha continuato a ricevere da parte mia e delle mie sorelle, attenzioni, carezze, baci, intense e rispettose parole d’amore. Non fuggire dalla morte del proprio genitore (fratello, amico, moglie o marito), attualmente è divenuto un grandissimo lusso, che pochissime persone possono concedere a se stesse e a quanti amano. Ciò accade perché altrettante pochissime persone insegnano che l’amore, che si è voluto a chi se ne va fisicamente per sempre, non si modifica ed anzi, solitamente in chi ha amato senza sensi di colpa, si rafforza e diviene vera fonte di consolazione, permettendo di continuare a vivere in serenità. Occorre impegnarsi affinché le persone che non vogliono fuggire da tale evento, da questa particolare responsabilità, siano informate che è molto più dignitoso lasciar morire un proprio caro all’interno delle mura familiari, piuttosto che in forzata solitudine, dentro un qualsiasi ospedale o casa di cura. È opportuno informare che, anche se la morte fa capolino mentre il malato è in ospedale, è ugualmente possibile trasferirlo all’interno della abitazione a lui cara, dove tutto è familiare, amico ed il distacco, proprio per queste semplici motivazioni, sarà meno doloroso. Chi invece desidera restare in ospedale, non ha bisogno di reclamare questo tipo di libertà in extremis. Concludo augurando a tutti, di fare un grande dono a se stessi ed ai propri cari, conducendoli, quando sarà il momento, serenamente e con manifesta affettività, al loro ultimo traguardo. Ci si prepara a ciò accettando, giornalmente, che la medesima opportunità possa esser personalmente vissuta, con altrettanta serenità.

 

I SUPERDOTATI

Si tratta di una particolare categoria di umani dotati, fin dalla più tenera età (6-7 anni circa), di qualità extrasensoriali, definiti dal defunto Roberto Assagioli (fondatore della Psicosintesi) "Superdotati", ovvero: individui che nascono con la consapevole responsabilità d'essere di aiuto agli umani che desiderano intraprendere percorsi spirituali e sperimentare conoscenze, comunemente denominate parapsicologiche o psichiche. Ciò che caratterizza molti superdotati è la pratica del distacco (a volte per lunghi periodi, altre per sempre) dalla materialità, quindi dal possesso di beni materiali (tra questi anche il denaro) e dagli affetti (ovvero amano disinteressatamente). Da sempre si sono potuti osservare esempi di tale genere, nei più famosi personaggi religiosi: Buddha, Gesù, S. Francesco, Madre Teresa di Calcutta, ecc. Quando i superdotati diventano persone capaci di attuare il distacco dal mondo materiale, se necessario, possono rivelarsi, più precisamente possono rivelare ad altri quello che un tempo solo pochi conoscevano. Alcuni superdotati hanno il compito di diventare famosi, altri di rimanere nell'ombra, ma la qualità delle loro anime è la medesima.

Caratteristiche dei superdotati

Affinché possiate meglio comprendere che cosa si intende per individuo superdotato, di seguito trascriverò alcuni brani tratti dal libro "I poteri latenti nell'uomo" di D. Baker.

La creatività è la qualità per eccellenza del superdotato. Questi individui rappresentano un decimo dell’uno per cento della popolazione o circa l’uno per mille. E’ molto difficile riconoscerli e da bambini, a volte, possono addirittura sembrare poco intelligenti; essi sono quei rari individui che manifestano, con forza, una o più specifiche qualità che non derivano soltanto dall’interazione tra ambiente e patrimonio genetico, ma da un terzo fattore, poco compreso, di natura interiore e in essenza spirituale. Roberto Assagioli (“L’educazione dei bambini dotati e superdotati”, di R. Assagioli) ha elencato due tipologie di superdotati:

1.       coloro che sono dotati in modo generale o multiplo, cioè, che dimostrano una netta superiorità rispetto alla media, in tutti o in vari campi. Sono normalmente sani, forti e sicuri di sé. Per scegliere quale, tra i loro vari talenti, debba essere oggetto di una formazione speciale (onde evitare indecisioni, ritardi ed inutile dispendio di energie), necessitano di aiuto e guida.

2.       questo gruppo presenta difficili problemi educativi. Comprende coloro che possiedono un dono specifico, così eccezionale da arrivare molto vicino o addirittura superare il confine della genialità, ma possono anche presentare una serie di deficienze o la mancanza di equilibrio in altri aspetti della loro personalità.

Nel secondo gruppo si trovano giovani oltremodo ipersensibili e iper emotivi, dotati di capacità artistiche, letterarie, musicali e in alcuni casi matematiche. Sono spesso fisicamente deboli o imperfetti, non dotati di senso pratico o distratti. Per tutte queste ragioni non vengono compresi né apprezzati dai genitori e dagli insegnanti. Spesso sono ritenuti inferiori e ridicolizzati dai loro compagni. Questa mancanza di comprensione e di apprezzamento, e la conseguente incapacità di comunicare in modo adeguato con questi soggetti, sono la causa di molta sofferenza, sconforto e disperazione, in molti casi di rivolta e, in altri, persino di deviazioni o perversioni. Tra i grandi superdotati che hanno mostrato aspetti deleteri troviamo Baudelaire, Verlaine, Strindberg, Kafka ed un superdotato per eccellenza fu Wolfgang Amadesus Mozart. Lo sviluppo precoce di una o di varie qualità, è il primo segno della presenza di doni eccezionali, i superdotati sono spesso precoci anche nel porsi domande sull’origine e sul destino dell’uomo; sono molto sensibili ai messaggi contraddittori e si accorgono quando si fanno eccezioni alle regole. L’insegnante dei superdotati deve comprendere che il bambino soffre terribilmente se le sue domande rimangono senza risposta, o se viene scoraggiato dal farne. Un ulteriore aspetto della loro precocità è l’incapacità di tacere; è difficile per loro sedere tranquilli quando debbono difendere i loro ideali. Tutti i bambini superdotati sono sicuramente sul Sentiero dell’Iniziazione, e nella vita presente ripercorrono i passi fatti nelle vite precedenti. Malleabilità e flessibilità appartengono, fin dalla nascita, ai superdotati, perché le hanno guadagnate in vite precedenti; di fronte ad un problema che sfida la loro capacità individuale, per superare gli ostacoli essi si adattano e si evolvono sul piano mentale, emotivo e (se necessario) fisico. Questa dote può esteriormente manifestarsi come ipersensibilità e, spesso, come capacità medianica. I superdotati a volte sono predisposti al suicidio, alla pazzia, oppure non si sposano; questi problemi possono insorgere come risultato di un ambiente non idoneo, che frustra i loro sforzi di esprimersi. In contrasto con le loro qualità insolitamente complesse, trovano spesso piacere nelle cose semplici. Non è sorprendente che abbiano di frequente posizioni politiche di sinistra, almeno per brevi tempi della loro vita (in giovane età sicuramente). Infine è utile sottolineare che i superdotati generalmente nascono nella famiglie più umili, solo in rari casi un’anima altamente sviluppata sceglie una casa benigna, opulenta ed influente. La qualità più rilevante di un superdotato è la predisposizione ad assumersi responsabilità, questo non perché vogliono necessariamente essere dei capi, ma piuttosto perché non possono sopportare l'inefficienza, l'ingiustizia, l'ignoranza. Questa disposizione ad assumersi delle responsabilità, nell'età adulta diventa un desiderio travolgente di servire l'umanità. La gran parte dei superdotati non perviene alla coscienza della sua missione di vita fino ad età molto avanzata. Questo comporta un grande spreco di tempo prezioso, poiché la loro principale missione dovrebbe essere quella di Guida o Maestro spirituale. In Occidente tale consapevolezza è ancora forzatamente ritardata. Se volete saperne di più, leggete il libro “I poteri latenti nell’uomo” (D. Baker – Edizioni Crisalide), perché è bene poter riconoscere un superdotato fin da bambino, per facilitare il suo apprendistato.

 

CONSAPEVOLEZZA DI SE' - Bologna, 09.03.2002 (tratto dalla Dispensa relativa al corso omonimo)

Innanzi tutto desidero ringraziarvi, ed in particolare coloro che mi conoscono da maggior tempo ed hanno probabilmente deciso di partecipare a questo seminario, anche mossi dalla fiducia e simpatia che nutrono nei miei confronti, o dal desiderio di compiacermi.

In alcuni di voi, al termine del corso, probabilmente resterà un’impressione deludente, soprattutto se pensavate che il mio argomentare avrebbe riguardato la sensitività, la sopravvivenza dopo la morte o altre tematiche oggi denominate New Age (un tempo chiamate Esoteriche, Occulte e così via) che fanno parte del mio bagaglio culturale ed esperienziale.

Come voi, quando cominciai a voler capire di più di me stessa e della vita, incontrai e fui affascinata da tutto ciò che concerne i fenomeni PSI o Parapsicologici, anche perché il mio cercare aveva avuto inizio, in parte, a causa di essi (sono, infatti, dotata di qualità che molte persone, erroneamente, definiscono “poteri” psicologici).

La ragione fondamentale che mi ha spinta ad affrontare la "Ricerca Spirituale", è stato il desiderio di comprendere in qual modo funziona la mente umana, per quale ragione le persone si comportano in modo violento, sono disoneste, false, non sono in grado di amare il prossimo, ecc. Il mio personale cammino interiore, è stato in parte ritardato a causa della mia medianità, perché per primi incontrai insegnanti che davano troppa rilevanza a questi fatti, peraltro fisici, e non riferivano agli studenti (in modo diretto) che le facoltà ESP (di percezione extrasensoriale) nulla hanno a che fare con la personale evoluzione interiore, che ha come traguardo finale, quello di riconciliare la persona (la personalità) alla sua Essenza (o coscienza, anima oppure psiche).

La decisione, presa a metà della mia vita, di comunicare ai più che sono dotata di qualità ESP, non è sorta dal desiderio di diventare nota e ammirata, bensì dal sentimento e senso di responsabilità, identico a quello di molti insegnanti spirituali, alcuni davvero illustri, che nella storia dei secoli, hanno sacrificato il loro tempo, per amore dell’umanità. Ho per questa ragione, deciso di utilizzare consapevolmente l’effetto attuale di moda New Age e l’ultimo ritrovato della comunicazione, Internet, per farmi conoscere e, conseguentemente, per entrare in contatto con persone desiderose di trovare un’amica, una confidente, un’insegnante capace di comprendere le loro sofferenze e desiderosa di aiutarli, evitando di instillare in loro ulteriori illusioni.

La scelta di trasmettere informazioni riguardanti la “conoscenza di sé” (basate sull’insegnamento che si rifà a quello impartito dal Buddha delle Origini e quindi molto più antico di quello trasmesso da Cristo), adottando un metodo inizialmente indiretto e oltremodo esoterico, poiché il soggetto che “casualmente” entra in contatto con me, non si rende conto, o meglio non è in grado di comprendere che il mio essere e fare (anche in momenti di normale frequentazione amicale), è in linea con specifiche metodologie psicologiche e nasce dalla reale constatazione, teorica e pratica, la quale permette di capire che la via della conoscenza interiore ed individuale, è la più ardua da percorrere.

Tale consapevolezza, mi ha permesso di costatare che un insegnante spirituale (con questo termine non intendo riferirmi a tipologie religiose, bensì a tutto ciò che ha a che fare con la personale vita interiore, psicologica) non può avere molti allievi, tranne nel caso in cui decida di trasformare i suoi metodi, in regole tipiche di ciò che comunemente si è soliti definire, setta mistica o religiosa. La religiosità però allontana le persone dalla reale comprensione di sé e conseguentemente della vita, poiché il soggetto che aderisce a qualunque tipo di movimento religioso (in tale categoria rientrano anche le associazioni di partiti ed i fenomeni d’esaltazione sportiva), non agisce di volontà propria, ma si abbandona alla volontà dell’insegnante, del capo religioso, del leader politico, del dio, della deità, del santo, e così via. Questo soggetto, cioè la quasi totalità degli umani, non agisce quindi con volontà propria, ma si affida alla ritualistica del miracolo, del meraviglioso oppure ideologica, una via sicuramente molto facile da percorrere e in alcuni casi parzialmente terapeutica (mi riferisco alla fenomenologia che si osserva nel corso di partite di calcio, dove l’aggressività è espressa ai massimi livelli, esattamente come negli incontri/scontri bellici) ma che crea dipendenza e non libertà di essere.

Il principio del mio insegnamento e della mia esistenza, si basa sul concetto di libertà, situazione che la totalità degli umani non vive; essa crede d’essere libera e recita tale specifico ruolo.

Tutti voi sapete che la recitazione è menzogna; l’attore s’identifica in uno specifico ruolo che, secondo i momenti, può variare, ma lo spettatore è ben conscio che la vera personalità dell’attore è un’altra. Questo è l’unico caso in cui, tutte le persone diventano consapevoli del meccanismo denominato di "identificazione", poiché nel fenomeno teatrale la menzogna è plateale.

La totalità degli umani, ignora che questo specifico atteggiamento, è quotidianamente adottato da tutti, al proprio interno, con se stessi. Gli umani ignorarono il fatto che mentono a se stessi, per questa ragione sono prigionieri del loro personale mentire e, conseguentemente, non sono per nulla liberi di esistere.

Questo seminario, come gli eventuali altri (se ve ne saranno), sarà scandito dai momenti in cui leggerò quanto ho sintetizzato in questa dispensa, e che ogni volta amplierò. Ciò che però caratterizza questo specifico tipo d’insegnamento, è che esso si basa soprattutto sul confronto tra insegnante e allievo, un confronto basato sulla domanda e conseguente risposta. Quindi vi esorto, fin da ora, di pormi il maggior numero possibile di domande, di non tacere per timidezza o ignoranza, poiché in questo specifico contesto, siete tutti egualmente privi di conoscenza teorica e pratica. Anche se qualcuno di voi può aver letto qualche libro (alcune pagine più attentamente di altre), lo stato di non conoscenza di quanto qui si argomenterà, è uguale a quello di coloro che ancora non hanno letto o studiato nulla; infatti, il sapere è reale, quando un qualsiasi soggetto, diviene concretamente testimone di ciò che ha precedentemente compreso in teoria.

 

COME ERAVAMO - Bologna, 18.03.1999

Nel quotidiano clima di “terrorismo urbano”, dove le parole più comuni sono: omicidio, suicidio, extracomunitari, violenza, occorre soffermarsi sulle ultime due, perchè rappresentano ciò che, per alcuni nostri connazionali, è il “Nuovo” da temere. L’Altro, in questo caso l’Immigrato - clandestino oppure no - è per molte persone motivo di irrazionale paura, di evidente razzismo, di colpevolizzazione del proprio scomodo o difficile vivere (non c’è lavoro, non ci sono case, ecc.). SI attribuisce ad altri, diversi da noi per cultura o per il colore della pelle, l’origine dei propri mali e non ci si chiede quasi mai, chi in realtà sono questi altri, e quale è la opinione che essi hanno di noi. Interessanti risposte a tale quesito, sono state offerte alla Dott. Cristiana Natali (antropologa presso l’Università di Bologna) che ha scritto un saggio dal titolo “Qua c’è una guerra” : memoria sociale e immagine della violenza tra gli immigrati marocchini, pubblicato all’interno del libro curato dalla Prof. Adriana Destro (docente della cattedra di Antropologia Culturale, Università di Bologna) dal titolo La Famiglia Islamica (Pàtron Editore). Questo saggio è molto utile perchè è una testimonianza di come gli immigrati Marocchini di religione islamica, considerano gli italiani e cioè molto violenti perchè utilizzano la pistola, arma che a differenza del coltello (strumento da essi utilizzato quotidianamente, soprattutto dai contadini, e indispensabile per la corretta macellazione degli animali, secondo le norme islamiche) non permette alcun tipo di difesa o fuga. Si può infatti uccidere un uomo,  stando da lui molto distanti. La distanza è proprio l’elemento culturale che crea conflitti tra le due differenti culture - marocchina e italiana -. Avere rapporti ravvicinati, mostrare liberamente le proprie emozioni (negative o positive), durante una conversazione, oppure discussione, o nell’ambito di una trattativa commerciale, è per i marocchini il modo per onorare, rispettare i propri simili. Invece gli italiani, secondo i marocchini, hanno una aggressività dissimulata, sono freddi, determinati, sono “ipocriti” perchè alle eventuali provocazioni non reagiscono immediatamente, ma si vendicano in un secondo tempo. “I marocchini rivendicano un’impulsività che chiarisce le intenzioni aggressive, ma che non sfocia necessariamente in conseguenze gravi”, mentre “l’aggressività dissimulata e l’imposizione di una distanza, rispetto all’avversario”, secondo loro creano le condizioni più favorevoli al delitto (se vengo aggredito da vicino, posso tentare di difendermi, oppure posso impietosire l’avversario con il mio terrore, o da ultimo tentare la fuga). Tale distanza crea anche problemi di socializzazione, di comunicazione; la maggior parte degli italiani infatti si irrita quando un cosiddetto “vu cumprà”, nell’atto di proporre la sua mercanzia, si avvicina troppo. Ciò che infastidisce non è l’insistenza dialettica, ma la troppa vicinanza del corpo di chi si è catalogato diverso, altro da sé. Ci si sente fisicamente minacciati da chi non si conosce e non si comprende culturalmente. Infatti ciò accade anche nei confronti degli zingari, siano essi adulti o bambini, che si avvicinano anch’essi troppo, per chiedere l’elemosina; in ogni caso ci si sente immediatamente minacciati da un soggetto umano, qualunque sia il colore della sua pelle o nazionalità, quando invade il proprio spazio fisico, che è quindi circoscritto in un’area che va oltre il proprio corpo fisico. Per la maggioranza dei soggetti intervistati dalla Dott. Natali, “il rifiuto del corpo, implica un rifiuto psicologico, e conseguentemente viene letto come una manifestazione palese del rifiuto dell’altro”. Infatti per questi soggetti, all’interno della famiglia come anche nell’ambito dei rapporti di amicizia (anche tra persone dello stesso sesso), la vicinanza fisica è ritenuta una componente indispensabile. Invece in Italia, se per strada si vedono due uomini che si tengono per mano, generalmente vengono considerati omosessuali. I marocchini sono consapevoli di tale giudizio, e quelli intervistati hanno affermato che se ne curano poco, perchè in Marocco il contatto fisico non viene sanzionato socialmente. I marocchini intervistati nel saggio della Natali, ritengono che gli italiani sono soggetti molto violenti e deducono che anche coloro che rivolgono la violenza verso se stessi (i suicidi) lo fanno perchè all’interno delle famiglie manca armonia ed equilibrio, che garantiscono un adeguato sostegno materiale e psicologico dei propri congiunti. La famiglia marocchina e la religione hanno un ruolo attivo e non passivo, a tale ruolo essi attribuiscono il manifestarsi di minore violenza e stress psicofisico. Per i marocchini è motivo di stupore il fatto che in Italia vi siano tante “case di cura” per anziani ed anche manicomi. Da loro è la famiglia che si occupa degli anziani e dei bambini che vivono nelle case insieme ai parenti più giovani. Non essendoci “distanza” - come in effetti non c’era (così marcata) nelle nostre città circa mezzo secolo fa - tra i parenti, come anche tra i vicini di casa, c’è grande solidarietà, non c’è quindi bisogno di baby-sitter, e se ad esempio la madre deve recarsi a fare la spesa (mancando i parenti) sono i vicini di casa che badano i bambini. Questo straniero, extra-tutto, è quindi diverso da noi solo nella sua soggettività, come diverso è nostro padre o nostra sorella anche se si è parte di una stessa famiglia. Egli vede gli italiani violenti esattamente come essi (più precisamente come la stampa quotidianamente ce li mostra) vedono  lui. Per concludere , molto elementarmente, a mio parere si evidenzia, il fatto che gli italiani si sono dimenticati  di come erano e, forse, a livello di inconscio li addolora la falsa idea che, per mantenersi tecnicamente emancipati o civilizzati, debbono tenere distanti coloro che portano alla superficie il ricordo dei propri genitori, dei nonni. La distanza, non la si attua solo nei confronti degli immigrati, ma come essi hanno fatto notare alla Dott. Natali, viene inconsapevolmente applicata all’interno delle famiglie e con coloro che si ritengono veri amici, con tutti quelli che si amano. Basterebbe così poco, un semplice gesto, allungare la propria mano di qualche centimetro, per fare capire a noi e all’Altro che il nostro ormai consolidato atteggiamento è frutto di un insegnamento, è quindi solo cultura. E nuova cultura si può sempre assimilare.

MEDIUM – MEDIANITÀ

Il termine latino Medium fu coniato nella seconda metà dell’Ottocento; con esso veniva e viene ancora oggi definito il soggetto per ”mezzo” del quale si manifestano specifici fenomeni psichici (un tempo denominati spiritici) che permettono la comunicazione con i trapassati. Fin dall’ottocento è stato considerato medium il soggetto che, per ottenere fenomeni fisici, cede agli spiriti o entità disincarnate, parte delle sue energie corporee. Con lo stesso sinonimo è definito il soggetto che presta il suo corpo alle entità, per permettere loro di esprimersi con la parola o tramite la scrittura ed anche il disegno.
Per quanto concerne la mia personale esperienza, in realtà “presto” una specifica zona della mia mente e del mio cervello, nella quale ricevo (tramite parole che odo interiormente e spesso anche immagini) messaggi dai defunti o da Maestri Spirituali (ovvero entità che hanno il compito di istruirmi su specifiche tematiche esistenziali e spirituali). Quando invece disegno, come ho già altre volte spiegato, la mia mente è totalmente libera da pensieri (miei e/o provenienti da altri) e da immagini da me stessa prodotte. Invece il mio braccio e la mia mano, si muovono sul foglio, disegnando forme e ritratti a me sconosciuti.
Da molti anni, alla parola medium è stato sostituito il termine sensitivo, ma in sede psichica (o parapsicologica), ancora oggi molti ricercatori distinguono il sensitivo (o medium) i cui fenomeni paiono comportare l’intervento di personalità a lui estranee, come: l’automatismo parlante, la scrittura automatica, la materializzazione, la possessione, ecc.
Con il termine Medianità si intende l’insieme delle facoltà, possedute o utilizzate da uno specifico medium.

Fino ad oggi nessun ricercatore è stato pienamente in grado di chiarire quale tipo e da dove è originata l’energia che i medium utilizzano durante le loro performance. E’ stato invece osservato che, durante la fine di una seduta o contatto, la maggior parte dei medium si definiscono stanchi, ma i più non intendono una stanchezza fisica, bensì il fatto che l’energia utilizzata in quel momento, si è esaurita. In genere accade più frequentemente che le eventuali persone presenti, al termine di un contatto MED si sentano stanche e provino un caratteristico senso di vuoto alla nuca o sulla sommità del capo, tale fenomeno fa presupporre che da parte dei presenti vengano inconsapevolmente offerte “energie” al medium.
Il contatto MED per me ha termine, quando improvvisamente non sono più interessata a continuare la comunicazione, perché non sento più la presenza “sottile”, a me generalmente estranea, della quale solitamente percepisco anche le sensazioni (se è maschile o femminile, adulto o no, contenta oppure dispiaciuta, ecc.), essa si è quindi allontanata totalmente. Altre volte comprendo che il contatto è momentaneamente sospeso, perché avverto ancora la presenza (interiormente ed esteriormente), infatti la comunicazione si riattiva anche dopo svariati minuti di sospensione.

 

PSICOSCOPIA  - CHIAROVEGGENZA TATTILE

l termine psicoscopia fu coniato nella seconda metà del Novecento con l’intento di sostituire la parola “Psicometria” utilizzata da Buchanan nel 1842. Si tratta di quel fenomeno per cui un sensitivo, dopo aver toccato un oggetto (che potrebbe anche essere avvolto da carta o contenuto in una scatola) è in grado di raccontarne la storia oppure di descrivere episodi, a volte persone, connesse all’oggetto specifico.
La psicoscopia è sempre un fenomeno di retrocognizione (vengono descritti fatti del passato) che si distingue dalla chiaroveggenza tattile perché l’oggetto toccato dal sensitivo, detto “Induttore”, suggerisce la conoscenza di fatti di cui esso (l’oggetto) è stato testimone o ne è a conoscenza.
Nella chiaroveggenza tattile l’oggetto permette al sensitivo di mettersi in contatto con la persona a cui l’oggetto è appartenuto o appartiene e può inoltre conoscere fatti o cose con i quali l’oggetto non è stato in contatto e, in alcuni casi, che possono verificarsi nel futuro (predizioni vere e proprie).

 

TELEPATIA

Nella seconda metà dell’ottocento fu F. W. H. Myers che per primo utilizzò il termine telepatia con l’intenzione di indicare “una comunicazione tra mente e mente, senza la mediazione di organi sensori”. Myers non escludeva che la comunicazione potesse provenire dalla mente di un defunto.
Nella casistica della telepatia rientrano tutti i fenomeni di “trasmissione del pensiero”, “lettura del pensiero”, “suggestione mentale”, e così via.
Le ricerche sulla telepatia cominciano con la raccolta e documentazione di casi spontanei ed il periodo scientifico ha convenzionalmente avuto inizio nel 1882 quando a Londra venne fondata la SPR (Società per la Ricerca Psichica). Gran parte delle ricerche si basarono sulla discriminazione tra telepatia pura e chiaroveggenza, utilizzando il metodo Quantitativo e Qualitativo. In genere è stato alquanto impossibile stabilire se una ESP (percezione extrasensoriale) è un fenomeno di telepatia o di chiaroveggenza. Numerosi esperimenti sono stati condotti fin dalla fine dell’ottocento e fin da allora sono stati pubblicati molti libri che illustrano i casi più eclatanti di esperimenti applicati tramite disegni, lettere dell’alfabeto, oppure messaggi. Notevoli furono gli esperimenti di B. Sinclair, il quale si concentrava mentalmente su di un disegno o su di un oggetto di casa, mentre la moglie (che si trovava in un’altra stanza) doveva indovinare e disegnare le immagini pensate dal marito. In Italia, negli anni 1952 – 53 – 56 Piero Cassoli ed Enrico Marabini condussero esperimenti sulla trasmissione telepatica di scene vissute dagli agenti sperimentatori nel momento stesso delle prove.
Vari fenomeni spontanei e differenti esperienze di laboratorio, hanno dimostrato che le facoltà PSI (termine proposto da Thouless e Wiesner nel 1947, con cui si indica tutto ciò che riguarda il paranormale e il suo studio) ed in particolare quelle telepatiche, si manifestano meglio durante il sogno e negli stati di trance. Servadio distinse tra sogno normale e sogno paranormale ed esperimenti di telepatia onirica furono per primi attuati in USA, in Laboratori che conducevano ricerche sul sonno e sul sogno.
Anche negli stati di trance medianica ed ipnotica, molti soggetti manifestano facoltà telepatiche o psichiche di vario genere, che ordinariamente non dimostrano (o credono di non possedere).
In un secolo circa di ricerche PSI sono emerse numerosissime tesi sulla telepatia e su altri fenomeni ad essa correlati. Teorie, più o meno, ancora dibattute e sostenute da differenti ricercatori che operano a livello mondiale, evidenziano l’ipotesi che nel fenomeno telepatico è presente l’influsso di energie psichiche universali e di psichismi di viventi e di defunti.

Questa brevissima descrizione di fenomeni tra loro simili, per affermare che tutti gli umani possono essere sensitivi, persone in grado di sperimentare la telepatia, la psicoscopia e la chiaroveggenza tattile e così le ADC e altri fenomeni psichici. Sostengo però che Medium è solo colui che, a suo piacimento e in qualunque luogo, può entrare in comunicazione con entità di soggetti deceduti e anche viventi.
Deve essere altrettanto chiaro che la medianità non può essere appresa o insegnata; durante corsi o performance di vario genere, si possono osservare i meccanismi esteriori legati a tale fenomeno, che a loro volta sono descritti da soggetti medianici (?) con differente linguaggio, i cui contenuti sono però i medesimi.
Noi tutti possiamo osservare, essere partecipi di una comunicazione tra un vivente (medium) ed un defunto (su questo aspetto dobbiamo presumere che il medium sta davvero conversando con una entità), ma ciò non può bastare per far sì che il fenomeno possa essere sperimentato da tutti. E’ invece possibile che un numero elevato di persone, pur ritenendosi prive di facoltà PSI, possano sperimentare il fenomeno della telepatia, della psicoscopia, chiaroveggenza tattile, ADC, ecc.
Sono convinta che alcuni fenomeni psichici si attuino utilizzando energie o qualità presenti (in modo identico) nella maggior parte degli individui ed altre solo in alcuni soggetti che possono possederle fin dalla nascita oppure venirne in contatto in differenti età ma, in entrambi i casi, si tratta di soggetti (medianici) già predisposti per essere attivati in tal senso.
Durante il corso di Alan Stuttle, la maggior parte degli esperimenti psichici nulla hanno avuto a che fare con la medianità, ciononostante alcuni studenti hanno manifestato d’essere medium. Lydia in particolare, sembra aver sperimentato un contatto MED, nel corso di un esercizio utilizzato per l’attivazione dell’emisfero destro del cervello (l’input era stato quello di disegnare su di un foglio con entrambe le mani, ma in particolare con quella sinistra). Sicuramente l’esercizio ed il conseguente contatto MED è stato maggiormente prodotto dal contatto telepatico avuto (seppur inconsapevolmente per entrambe) con la mia persona, quindi con la mia memoria. Alcuni elementi riferiti da Lydia, non erano presenti in me (non facevano parte del mio bagaglio mnemonico) in quello specifico momento; per questa ragione l’elemento medianità può essere ritenuta una qualità che appartiene a Lydia e che potrà essere ampliata con la pratica, lo studio e una maggiore comprensione di sé.

 

FATTURE NEW AGE

 

Da una e-mail inviata al sito "La Pagina degli Amputati"

 

….. scrivo per rendere noto ai più, lo stato psicologico, che una vastissima popolazione (seppur colta o presunta informata, quindi dotata di PSEUDO CONOSCENZA) ancora oggi nutre nei confronti delle esperienze extracorporee e delle conoscenze derivate dalla filosofia New Age, in generale, o Esoterica. Durante la conferenza (da me tenuta in Toscana), tra le varie domande concernenti l'esperienza RIP (la regressione a presunte vite precedenti) è emersa la seguente: - "E' possibile rivedere vite precedentemente vissute, mentre ci si trova a meditare?". Occorre ben comprendere che la tecnica di MEDITAZIONE (parola conosciuta da molti, ma pratica pressoché impossibile da attuare nella sua totalità), mira a realizzare l'esperienza interiore di CONSAPEVOLEZZA SENZA PENSIERI. Ovvero quel particolare stato di coscienza durante il quale, nella mente non dovrebbe passare alcuna normale attività intellettuale; tale stato di consapevolezza senza pensieri, può durare al massimo pochi secondi. Quando nella mente di una persona che sta meditando (più precisamente si illude di farlo), vengono prodotte immagini (eventualmente relative a vite precedenti o di altro genere) tale fenomeno si verifica perché il soggetto si trova in uno stato simile a quello ipnotico, in uno stato alterato di coscienza, che può anche generare particolari esperienze psichiche. Sono sempre più convinta che possono accedere a particolari esperienze psichiche, spontanee e reiterate nel tempo, soltanto le persone consapevolmente orientate spiritualmente o che hanno messo la loro sofferenza ed esperienza psichica a disposizione del prossimo. Mentre è facile che, nella maggior parte di soggetti che si definiscono sensitivi, si verifica il noto e naturale fenomeno di auto-inganno che induce a far vedere "elefanti che volano", "angeli" che si manifestano a frotte, ecc. Tale illusoria e inconsapevole fenomenologia, in particolare si genera in persone fantasiose (inconsapevolmente egocentriche, narcisiste) e desiderose di esercitare potere psicologico (ed economico) o semplicemente di impressionare il prossimo. Questi individui infatti scoprono che, la maggior parte dei soggetti (anche gli scettici) ascolta e resta impressionata dai racconti, dei quali non può aver testimonianza diretta e nei confronti dei quali deve unicamente affidarsi al sentimento generato dalla fiducia. Questi PSEUDO SENSITIVI, danno grandissimo spazio alla loro personale immaginazione e alimentano soprattutto quella di coloro che non hanno una cultura adeguata e che sono preda della paura dell'Ignoto e quindi dell'esagerata o, in alcuni casi, patologica superstizione. Questo stato di totale ignoranza (teorica e pratica) produce malintesi (come altre convinzioni) e si verifica perché la maggior parte di persone, ritiene sia sufficiente apprendere determinate tecniche, tramite l'utilizzo di conoscenze apprese unicamente dai libri. Alla luce di queste mie personali "nuove" esperienze (incontrare persone che si dicono spiritualmente orientate, soltanto perché hanno letto storie interessanti e accattivanti su libri editi da case editrici importanti, alcuni dei quali scritti da autori stranieri), ribadisco con maggior forza che per comprendere e sperimentare anche i fenomeni psichici (un tempo chiamati paranormali o parapsicologici), occorre entrare in contatto diretto con testimoni viventi e non unicamente con Maestri disincarnati, incontrati durante viaggi astrali attuati a seguito di OBE auto-procurate e/o generate anche da tecniche come la RIP. Affermo che ancora oggi, gli insegnamenti orali, soprattutto quelli riferiti a specifiche conoscenze psichiche, non possono né potranno mai essere sostituiti da libri o computer seppur super evoluti. Durante il mio soggiorno in Toscana, sono stata notevolmente impressionata dal constatare che, numerose persone (non studiosi, ma fruitori o "specialisti" magici) durante le loro quotidiane "chiacchiere di salotto" si vantano di poter giornalmente attuare esperienze di OBE, per poter vedere e scoprire da quali super maledizioni e/o "fatture" (come la "macumba brasiliana" e simili) i loro clienti o amici sono preda. Ho personalmente ricevuto insegnamenti orali, da persone in linea con Scuole Spirituali Orientali ed Occidentali. L'insegnamento che entrambe le scuole impartiscono, suggerisce che la peggior "fattura" (a parte quella fiscale) che reca danno agli umani, è quella che deriva da uno stato mentale spontaneo (quindi prodotto inconsapevolmente), autogenerato. Mi spiego meglio: se sulla Terra, e in particolare in Italia, esistesse un individuo capace di utilizzare l'Altissima Magia, e conseguentemente in grado di procurare maledizioni e malefici anche mortali, il suo agire esteriore, sarebbe ed è notevolmente inferiore a quello prodotto dalle Subpersonalità" (chiamate così da R. Assagioli, fondatore della Psicosintesi) o "Falsi io" (così definiti da George I. Gurdjieff, Maestro di Quarta Via), più semplicemente dalle personali IDENTIFICAZIONI. Assagioli affermava che non c'è peggior ricattatore di un soggetto in stato di malattia (in "Psicosintesi Armonia della Vita" prima edizione pubblicato da Mediterranee, oggi da Astrolabio). Con ciò voleva intendere che la nostra personalità, desiderosa di emergere, di creare attenzione, solitamente utilizza (seppur inconsapevolmente), anche situazioni dolorose (malattia fisica e non, lutto, delusione, ecc.) tramite le quali ottiene maggiore considerazione da parte del prossimo. A nessuno piace immaginare che un dolore fisico e psicologico, in molti casi persiste perché permette di diventare protagonisti. Oltre a ciò, la maggior parte di individui preferisce pensare che la ragione di personali sconfitte e/o delusioni, dipende da elementi esterni. Ancora oggi una gran parte di umanità preferisce credere che, qualche sconosciuto o in alcuni casi conosciuto nemico o rivale, li ha danneggiati, recandosi da uno stregone che, tramite differenti attrezzi o pozioni è stato in grado di creare una malefica "fattura". Chi è stato "affatturato" deve conseguentemente recarsi da un stregone capace di togliere il maleficio e (l'ho appreso proprio in Toscana) sembra che in Italia ci siano persone che chiedono 30 o 40 milioni di lire (esenti da IVA e altre tasse affini) per togliere quello che sconosciuti, ma sicuramente in stretta relazione con amanti, mariti, mogli o colleghi hanno misteriosamente ma efficacemente provocato. Anche se mi rendo conto che un parlare e scrivere corretto, poco può fare per chi preferisce  pensare che gli errori del proprio vivere ed agire dipendono da fattori esterni, è per me ugualmente doveroso ribadire che (come accade con le infestazioni di fantasmi) noi vediamo, udiamo, percepiamo anche fisicamente, cose e fatti psichici (e non solo), se lo vogliamo. Noi soli, possiamo allontanare da noi stessi e/o procurare a noi stessi il male, soprattutto quello di natura emotiva e mentale. Non vorrei apparire come un nuovo "Piero Angela". Come ben sai, sono testimone e consapevole dell'esistenza dei differenti Piani Esistenziali, ma occorre tener presente, che tutti noi viviamo nel mondo delle illusioni e che nel mondo astrale c'è, sì verità, ma si trova anche tutto quanto è prodotto dalla nostra mente: bello o brutto, buono o cattivo, falso. Divenire persone seriamente  orientate spiritualmente, significa diventar anche consapevoli della seguente elementare constatazione: quello che esiste nell'aldiquà, è presente anche nei livelli inferiori dell'Aldilà.

 

 

CONTATTI MED GRATUITI

Da una lettera di "Adry", pubblicata nel  sito "La Pagina Degli Amputati"

... dopo un periodo di accurata riflessione, ho deciso che è bene togliere l'icona, all'interno del tuo sito, nella quale si afferma che "Adry è disponibile ad entrare in contatto medianico con i defunti dei visitatori de "La Pagina degli Amputati". Sono giunta a tale considerazione perché, nonostante io abbia ogni volta specificato che durante i contatti medianici da me effettuatati, le entità mi parlano di ciò che vogliono, la maggior parte di persone che giornalmente mi contatta, invece pretende che in simile situazione parapsicologica, si verifichino riscontri oggettivi identici a quelli che si hanno nella vita terrena: che il ritratto mostri identiche caratteristiche somatiche (quasi si trattasse di una fotografia); il messaggio deve avere lo stesso linguaggio utilizzato in vita. Non è stato sufficiente ribadire che i ritratti, per ovvie ragioni non possono somigliare in modo tangibile all'entità e che neppure i messaggi possono essere uguali al parlato orale o scritto utilizzato in vita. Tutto questo perché il tempo in cui si attua il contatto medianico è troppo breve (5 max 10 minuti). In ogni caso ciò che al vivente dovrebbe importare non è l'identica somiglianza (nel ritratto e nel messaggio) ma ritrovare (in entrambi o in uno solo) tracce che lo riconducono al proprio caro defunto. Durante l'esecuzione del ritratto, utilizzo pochissime tonalità di colore, per non essere distratta dall'elaborato artistico (sono una pittrice professionista e i lavori che eseguo in tale esperienza non mi soddisfano) che è unicamente un ulteriore mezzo che permette di stabilire un più solido contatto MED. E' quindi più che ovvio che, se un'entità in vita aveva i capelli neri, li eseguo col blu o marrone scuro, e così se erano castani chiari o biondi, li realizzo col giallo oppure ocra chiaro. In merito ai messaggi, non voglio che siano lunghi e, ho più volte specificato che non amo effettuare domande specifiche, perché, a mio parere, il risultato sarebbe meno attendibile se influenzato intellettualmente. Grazie alla mia ingenua e benefica disponibilità verso il prossimo, ho creduto che, offrire un'occasione gratuita, favorisse nel vivente una maggiore attenzione e comprensione, nei miei confronti e verso le entità che spontaneamente (non chiedo di avere notizie da una in particolare) mi contattano. Invece, nonostante alcune persone abbiano già ricevuto messaggi, con specifici particolari che hanno permesso di riconoscere i loro defunti. Ciò non è bastato! Alcune persone mi hanno ampiamente ringraziata e informata che mi avrebbero fatto qualche omaggio, dopo che avessi ricevuto un ulteriore ritratto e messaggio. Avrei invece unicamente preferito constatare, nelle e-mail ricevute, lo stesso tipo di disponibilità e generosità dimostrata da me e da te, e dalle entità. Ma, addirittura, la pretesa di ricevere un'ulteriore segno, per poi decidere di riconoscermi un omaggio, è un atteggiamento per me incomprensibile!!! Le persone che già mi avevano contattata, potranno ugualmente mantenere un rapporto epistolare con me e se riceverò messaggi dai loro cari, procederò come sempre; ma, da ora in poi, preferirò inviare  a te i ritratti di entità a me sconosciute, e valuterò con maggiore attenzione le richieste che potranno continuare ad essere inviate a Klären. Da ultimo ribadisco che i messaggi ed i contatti con le entità trapassate, dovrebbero avere un unico scopo consolatorio, ed anche un minimo segno dovrebbe bastare. Le entità come i medium non hanno alcuna intenzione di creare situazioni affinché le persone "credano" alla sopravvivenza dopo la morte del corpo fisico. La fede o più precisamente la fiducia, è un fatto ed uno stato d'essere assolutamente personale. Infine, come ho più volte scritto a coloro che mi contattano, ribadisco che: "comprendo che il dolore per la perdita di un proprio caro è davvero grande, ma anche nell'Aldilà vi sono tempi precisi, durante i quali si possono compiere specifiche esperienze. Infatti le entità sono solite raccontare che hanno impegni, studiano, per evolversi. Da ciò si evince che la possibilità di entrare in contatto con i propri cari, non è un'esperienza che tutti, appena deceduti, possono sperimentare, per ragioni che riguardano il proprio personale cammino. Personalmente, davvero vorrei poter inviare interessanti messaggi a tutti coloro che mi hanno contattata, ma non mi accade. La mia onestà e il disinteressato amore per il prossimo, mi obbligano a non stimolare inutili illusioni". Questa è la ragione per cui, di questa mia particolare qualità medianica, non ho voluto farne una professione.

 

 

RESOCONTO DELLA CONFERENZA DEL 10 MAGGIO 2003, PUBBLICATO SUL NOTIZIARIO N° 13 -  L'EVENTO FU ORGANIZZATO DAL C.S.P. DI BOLOGNA

 

        

 

 

PIERO CASSOLI HA LASCIATO IL CORPO

 

Un grande scienziato (studioso dei fenomeni PSI) e caro amico, nel mese di agosto 2005 ha lasciato il corpo. Impossibile dimenticarsi di lui.

Il mio primo incontro con Piero Cassoli avvenne in modo insolito, come per certi versi era lui ed anche io, ovvero personalità al di fuori degli schemi ordinari.

Fu un grande onore entrare a far parte del C.S.P. (Centro Studi parapsicologici) di Bologna, quando Cassoli ne era ancora Presidente e sono grata a lui ed anche alla sua inseparabile consorte, Brunilde, perchè in momenti difficili, per me ed i miei familiari, mi furono discretamente vicini.

Al Convegno di Studi Parapsicologici organizzato da Klären nel 2005, fu davvero meraviglioso vedere Piero e Brunilde tra il pubblico, entrambi apprezzarono i nostri sforzi e ci incoraggiarono ad andare avanti con iniziative simili. Porterò nel cuore quella giornata perchè fu l'ultima in cui vidi Piero in perfetto stato di salute, estremamente solare e disponibile. Sono certa che per la maggior parte di studiosi dei fenomeni PSI egli è stato un grande Maestro e Padre spirituale; per me, seppur ultima arrivata nella "Famiglia" del C.S.P. così è. Grazie Piero e buon viaggio.

 

 

MARCO MARGNELLI HA LASCIATO IL CORPO

 

Ho appreso della dipartita di Marco, lunedì 31 gennaio 2005; Bruno Severi mi aveva chiamata al cellulare dicendomi "Hai saputo che è morto Marco?". Immediatamente avevo risposto "Marco chi?" e Severi aveva precisato "Margnelli". L'informazione, agli amici di Bologna, era giunta tramite una socia del C.S.P. (Centro Studi Parapsicologici, del quale anche Marco faceva parte) che ne aveva letto notizia sul quotidiano "La Repubblica" e subito aveva informato Brunilde e Piero Cassoli. Dopo aver salutato Severi, anche io avevo immediatamente telefonato ad O., un amico di Marco che vive a pochi chilometri dal paese in cui era nato mio padre (ivi si trova una mia modesta proprietà, nell'estate 2004, grazie a Marco, conobbi O.). Chiamai O. per sapere la data della scomparsa di Marco; O. mi disse che se ne era andato sabato 29 gennaio.

Avevo conosciuto Marco Margnelli nell'inverno 2004, precisamente nel mese di Febbraio in occasione del Primo Convegno di Studi Parapsicologici organizzato da Klären. Lo avevo invitato tramite il telefono ed egli s’era immediatamente reso disponibile (risiedeva in Roma), nonostante avessi sottolineato che Klären, non possedendo fondi economici, poteva unicamente ospitare i relatori all’interno dell’Eremo di Ronzano. Ciò che mi colpì fin dal principio, in quell’esile e piccolo (di statura) uomo, fu il suo spiccato senso dell’ironia (a volte sottilmente mordace). Era però chiaro per chiunque che, dietro il pungente senso dell’ironia, si celava un’indole caratterizzata da raffinata dolcezza; infatti, molti suoi pazienti e discepoli, riconoscevano in Marco le doti di padre e di Maestro di vita. Il Primo Convegno di Studi Parapsicologici organizzato da Klären, fu “benedetto” da una gran nevicata che costrinse Margnelli e me a soggiornare, più del previsto, all’Eremo di Ronzano. L’abbondante nevicata rese possibile ciò che, a Marco ed anche a me, parve essere il “segno” di quel che, in futuro, avrebbe potuto diventare un sicuro sodalizio professionale. A causa della neve, alcuni oratori mancarono e, Marco ed io, spontaneamente ci prodigammo per intrattenere, giorno e notte, il coraggioso pubblico che, come noi, era rimasto “intrappolato” in un luogo che era divenuto ancor più suggestivo, magico, dove il tempo pareva essersi fermato ed il silenzio della neve aveva ingigantito enormemente l’aura mistica, tipica dell’Eremo di Ronzano. Per due giorni, ci adoperammo affinché le persone presenti potessero prendere da entrambi, maggiore conoscenza possibile, non soltanto circa le tematiche del Convegno, ma soprattutto su quanto concerneva la conoscenza del Sé, l’aver maggiore contatto con se stessi (tematica estremamente cara a Marco, il quale aveva ben chiaro che la fine della sua esistenza terrena era vicina).

Al termine del Convegno, spinti dall’entusiasmo del pubblico che aveva apprezzato le nostre impreviste performance, decidemmo di organizzare un seminario concernente la RIP (tecnica di Regressione Ipnotica Prenatale), che avremmo dovuto condurre  insieme in Toscana, nel mese di ottobre 2004.

Le nostre esperienze, il nostro sentire intimo e soprattutto l’ideale filantropico, seppur maturati in differenti vie (lui medico ed altro, io Filosofo ed altro) ed epoche (le nostre differenti età) erano estremamente simili.

Purtroppo ci fu impossibile realizzare questo progetto, a causa di reciproci problemi di salute. Nonostante il grave stato di salute, Marco si è dato fino all’ultimo, accettando di condurre conferenze e cariche professionali, in svariate parti d’Italia.

Accettò con entusiasmo di partecipare al Secondo Convegno di Studi Parapsicologici organizzato da Klären, con una relazione che aveva come titolo (da lui stesso scelto) “Conosci te stesso: alcune riflessioni sulla struttura della coscienza.

Dieci giorni prima della sua dipartita, mi telefonò confermando la sua presenza e sottolineando che aveva già terminato la stesura della sua relazione, aveva però necessità di rileggerla. Margnelli è invece improvvisamente mancato, senza aver avuto l’opportunità di rivedere il suo scritto e inviarmelo. Proprio perché è stata grande la sua disponibilità ed il desiderio di partecipare al Secondo Convegno di Studi Parapsicologici, ho deciso di inserire negli Atti la relazione che Marco tenne l’anno scorso (condotta a braccio), anche perchè ben si adatta al tema di questo anno.

Marco Margnelli ora più di tutti noi, può aver finalmente scoperto se, le ipotesi degli studi condotti, fino ad oggi in ambito parapsicologico, dagli Scettici e quelle delle Scuole Filosofiche Orientali, sono esatte.

NAMASTÉ Marco e GRAZIE INFINITE.

 

 

 TORNA ALL'INIZIO