DOCUMENTI
VELARDI
In questa pagina
sono trascritti documenti (articoli, conferenze e altro) scritti da Adriana
Velardi o che si riferiscono a lei.
La
massima espressione dell’Amore divino è la Compassione, sentimento che va di
pari passo con l’Umiltà.
Amare disinteressatamente il prossimo è possibile.
Cercate d’amare in modo simile, almeno le persone alle quali più tenete.
Adriana Velardi
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La Modernità
che fa male
- Conferenza, 2009 |
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La Biopsicosintesi:
Conflitti Subpersonalità
- Conferenza, 2008 |
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L’arte visiva muta sostanzialmente, quando è
praticata in stato di rilassamento psico-fisico, unito all’ascolto
musicale
- Articolo |
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Vivere non basta
- Conferenza, 2006 |
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Rispetto (dignità) di Sé e
dei propri Simili, nell’Esistere e nel Morire
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Conferenza, 2005 |
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Piero Cassoli ha lasciato il corpo
- Articolo, 2005 |
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Marco Margnelli ha lasciato il corpo
- Articolo, 2005 |
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"QUADERNI DI PARAPSICOLOGIA" -
Notiziario n° 13 del C.S.P. di Bologna
- Resoconto conferenza,
2003 |
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Consapevolezza
di Sé
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Dispensa seminario omonimo, 2002 |
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Come eravamo
- Articolo, 1999 |
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Fatture
New Age
- Articolo |
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Contatti
MED gratuiti
- Articolo |
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I
Superdotati
- Articolo |
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Medium-Medianità
- Articolo |
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Psicoscopia
- Chiaroveggenza Tattile
- Articolo |
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Telepatia
- Articolo |
LE NOTE A
PIÈ DI PAGINA, SONO IN
FONDO AD OGNI DOCUMENTO
LA
MODERNITA' CHE FA MALE -
Conferenza del 10 Dicembre 2009, tenuta in
Bologna, organizzata dalla Associazione Italiana di Biopsicosintesi .
Fui molto onorata
quando l’Avvocato e Psicologo
Sergio Erasmo Dati,
Presidente
dell’Associazione
Italiana di Biopsicosintesi,
mi chiese di tenere una conferenza.
Il tema da lui scelto però mi parve
immediatamente complicato, per differenti ragioni, tra le tante: avrei
potuto rischiare di intessere argomentazioni che, ad un giovane pubblico,
avrebbero potuto far affermare che “è un
“male” generazionale, trovar difetti nell’attualità, ricordando con
nostalgia i bei tempi andati,
dimenticando di memorizzarne i difetti”.
Ho conseguentemente voluto riportare alla mente come ero io quando, giovane,
mi trovavo nel periodo del “boom della
modernità”,
l’epoca che la mia generazione visse come una sorta di stravolgimento
(positivo) socio culturale e morale.
Altre considerazioni, mi hanno poi
indotta a pormi la seguente domanda: “Se ora mi duolgo per i svariati
“mali” che osservo nel quotidiano esistere, qualcuno potrebbe dirmi che
penso e vivo, come una persona vecchia in età?”.
Certamente mi si
potrebbe ritenere immodesta se affermo che attualmente, di vecchio in me c’è
il mio corpo,
mentre la mia mente
è lucida, volitiva e sicuramente maggiormente saggia e conseguentemente più
abile di un tempo.
Non posso ritenermi presuntuosa se
sostengo che, la mia generazione e quelle a me
precedenti o di poco successive,
pur non avendo goduto nell’infanzia, nell’adolescenza e in gioventù,
dell’utilizzo di mezzi tecnologici sofisticati, di delizie per il palato
provenienti (ogni giorno) da ogni parte del mondo, di informazioni visive ed
uditive, riguardanti luoghi enormemente distanti (che io sicuramente in
questa vita non visiterò mai), non
è
affatto obsoleta.
Quando
ero giovane,
essere moderni significava anche poter
vivere meglio in salute fisica e mentale,
si credeva che una migliore e maggiore
agiatezza per
i più, avrebbe contribuito a far
evolvere le menti ed anche le anime degli umani.
L’attualità dimostra che non è così
ed ha assolutamente ragione, la Saggezza Popolare Perenne che,
tramite un semplicissimo aforisma, sostiene che “il
troppo stroppia”
ovvero devia, rovina, distrugge.
A sostegno di quel che dicono gli Antichi,
prenderò in considerazione alcuni dei più noti e/o diffusi “vantaggi” della
modernità attuale, relativi ad alcune specifiche sfere dell’esistere.
L’alimentazione
Oggi è meno sana;
anche se nel nostro Paese c’è crisi economica (come in gran parte del
mondo), sono sempre meno le persone che all’interno delle proprie abitazioni
cuociono il proprio cibo; molte mangiano panini imbottiti, alimenti
precotti, congelati, surgelati, tutti preparati da altri, in luoghi
sconosciuti, con modalità non sempre cristalline.
Le tecnologie elettroniche
Molte persone
avevano creduto che l’utilizzo di strumenti quali il
computer,
il telefono cellulare ed internet,
avrebbero potuto favorire un maggiore dialogo con il prossimo ed anche
sviluppare maggiormente l’intelletto.
In
realtà, nella maggior parte dei casi, questi mezzi hanno contribuito ad
isolare le persone, hanno tolto valore alla propria lingua scritta ed orale,
hanno permesso ad ogni individuo (che li utilizza con continuità) di
ingigantire in modo mostruoso, le “maschere” inconsce che allontanano
principalmente da se stessi ed ovviamente dal mondo.
L’utilizzo esagerato del computer può essere fatto rientrare nell’ambito
delle patologie derivanti dall’uso delle droghe. E’ recente la notizia
(mercoledì 4 novembre 2009) che nel
Policlinico Gemelli di Roma
è stato attivato
un reparto
per curare persone dipendenti, più precisamente
drogate da Internet,
le quali come quelle che si drogano con alcool e altre sostanze legali ed
illegali, tendono a dissociarsi, adottando un atteggiamento autistico,
creando un proprio mondo illusorio, che li spinge a non vivere più nella
realtà e a dimenticarsi del proprio lavoro, dei propri affetti, figli
compresi.
Le droghe
legali
Si tratta di quei
“meravigliosi” prodotti chimici
che si possono
acquistare in qualunque farmacia, a volte anche senza ricetta medica, che si
consumano fin dai primi mesi di vita, per non sentir dolore fisico oppure
psicologico.
Ciò che turba è il fatto che, in svariati
casi, vengono somministrati “calmanti chimici” ai neonati, perchè i genitori
non hanno voglia di stare alzati la notte a vegliare i figli. Forse molte
persone non sanno che ora esiste anche lo psichiatra per il cane, il quale
somministra agli animali psicofarmaci perché i padroni li vogliono calmi,
tranquilli, come lo sono i pupazzi di peluche. Non è certamente infrequente
che molti genitori pensino ai propri figli come fossero oggetti, bambolotti
(e non bamboccioni), di cui non desiderano occuparsi (tranne per elargire
somme per il loro sostentamento ed anche divertimento) e che vogliono
affidare ad altri: le tate, le baby sitter, le maestre/i, i professori/esse,
gli allenatori di squadra di calcetto, di pallavolo, di piscina, oppure ai
maestri di danza, di teatro, alla play station e alla televisione che, fino
ad oggi, risulta essere il mezzo elettronico più economico. Insomma, ciò che
importa per questo tipo di persone è che la responsabilità educativa e a
volte anche affettiva, nei confronti dei propri figli, la prenda un altro
individuo, non il genitore naturale o biologico.
Va infine precisato che per molti genitori è faticoso dover scegliere di non
piacere ai propri figli, in particolare quando (in loro specifiche età
evolutive) essi devono loro dire svariati “no”.
L’Alcool e le droghe illegali
Sono proprio i genitori
deresponsabilizzati che più di tutti si meravigliano, quando apprendono da
altri (ad esempio dai tutori dell’ordine che inviano a casa multe salate,
oppure dagli assistenti sociali, dagli insegnanti, dagli psicologi e/o
psicoterapeuti, ecc.) che i loro figli si ubriacano oppure utilizzano droghe
illegali.
Oggi le droghe illegali ed anche l’alcool, sono utilizzati fin
dalle classi elementari; tutti sono avvertiti, lo sanno però la totalità dei
genitori pensa che non siano i propri figli a compiere tali esperienze ma
quelli del “vicino”. I ragazzi sono informati fin da quando frequentano la
scuola materna, sul perchè e come sia dannoso l’utilizzo di specifiche
sostanze, ciononostante troppi di essi si dedicano all’utilizzo delle droghe
illegali e dell’alcool. Quando non possono fare uso di droghe illecite,
preparano cocktail con farmaci trovati in casa oppure acquistati in
farmacia; c’è poi chi, per inebriarsi, utilizza la colla, le gomme delle
automobili e tanti altri materiali o sostanze che, per poche ore, permettono
ai ragazzini/e di “sballare”, di allontanarsi dalla realtà.
Sono concorde con il filosofo e psicologo
Umberto Galimberti,
il quale ne “L’ospite inquietante
– il nichilismo e i giovani”,
dice:
“… Resta da dimostrare che le droghe lecite, quelle autorizzate
dallo stato – alcol e tabacco, per non parlare di quella droga chiamata
“gioco” – mietano meno vittime di quelle illecite – hashish,
eroina, cocaina – proibite dallo stato… il mondo della droga che,
oltre ad essere ben più vasto e variegato, è scarsamente leggibile sulla
base della distinzione elementare tra “droghe pesanti” e “droghe leggere”,
non perché la differenza non esista, ma semplicemente perché la cultura
giovanile non rispetta questa differenza …. Le une e le altre sono di
continuo mescolate nella pratica quotidiana, per cui se quasi tutti fumano
gli spinelli, molti tra di essi al sabato sera in discoteca si fanno di
ecstasy, quando capita si calano un acido, e se non si bucano, difficilmente
rifiutano di sniffare un po’ di cocaina e all’occasione anche un po’ di
eroina, per non dire, per i meno fortunati, delle ubriacature dei fumi di
benzina in mancanza d’altro”.
La libera
sessualità
Ho sempre ritenuto
che essere liberi, significhi decidere
da sé del proprio sentire interiore e del conseguente agire esteriore.
Non è errato sostenere che oggi, anche il fare sesso con libertà, non sempre
è dettato da una autonoma scelta, ma spesso da un input di
moda,
esattamente come bere e drogarsi con sostanze illegali e internet.
La maggior parte di giovani (ma anche gli
adulti in età), fa sesso libero, per non essere considerata antico/a.
La gran parte dei ragazzi e ragazze, fa
esperienze “extra”,
per mera curiosità o per essere moderna. A d esempio molti
giovani maschi,
trovano moderno fare sesso con i
transessuali,
come molte ragazze
fanno esperienze di omosessualità
per mera curiosità,
non necessariamente finalizzata alla comprensione del proprio orientamento
sessuale.
In tempi recentissimi
il noto settimanale “Panorama”
ha evidenziato in copertina un’inchiesta esclusiva dal titolo: “Caterina,
15 anni , così mi vendo ai compagni di scuola”
– con sottotitolo: “Milanese,
famiglia benestante, ha iniziato a fare
sesso a scuola per pochi euro.
Ma non è un caso isolato. Come raccontano i suoi racconti shock e quelli dei
suoi coetanei”.
All’interno del servizio giornalistico curato da
Alessandro Calderoni,
sono contenuti differenti paragrafi, segnalati da interessanti titoli e
sottotitoli che ora vado ad elencare:
1)
a pag. n° 48:
“La Figlia
– Non mi pareva una cosa tragica”.
Ovvero fare sesso a pagamento con i compagni di scuola;
2)
a pag. n° 50:
“Il padre
– Ci è crollato il mondo addosso”.
Vale a dire: i genitori non ne sapevano nulla!
3)
a pag. n° 49:
“Il sesso corre
sul web -
Adolescenti:
il rapporto con il loro corpo è sempre
più distaccato.
Ci sono quelle che si spogliano a tariffa sul telefonino, quelli che si
passano film porno a 12 anni
e quelli che si portano in classe le Barbie per masturbarsi in gruppo”.
Non è certamente una novità apprendere simili notizie dai giornali, già nel
2007 la giornalista, Marida Lombardo
Pijola,
condusse una serissima inchiesta che le permise di realizzare un utilissimo
libro, il cui titolo è “Ho 12
anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa”.
Nel libro sono contenute numerose storie di ragazzi e ragazze, appartenenti
a differenti sfere sociali. La quasi totalità degli intervistati, racconta
di avere fatto esperienze sessuali in età preadolescenziale, queste
esperienze sono quasi sempre andate di pari passo con l’utilizzo di droghe
illegali e di alcool. Ad esempio nella pag. 87 è descritta la storia di
Giulia che di seguito sintetizzo. Quando il padre abbandonò definitivamente
la famiglia, Giulia aveva dodici anni, il fatto accadde di mattino e nel
pomeriggio la ragazza uscì con Roberto che aveva 18 anni. Giulia raccontò
alla giornalista di aver: - “scopato con lui - Roberto - sul
prato dietro la vecchia fabbrica, era la prima volta e mentre scopavo, non
ho sentito niente, proprio niente” -. Giulia precisa:
- “Mi sono innamorata di Roberto quando
facevo la quinta elementare. Avevo dieci anni e lui sedici” -.
Quello che suscita interesse nella lettura di tale
specifica inchiesta, non è la descrizione -“confessione” delle modalità
tramite le quali, ad esempio una giovane adolescente racconta di aver
abortito clandestinamente (spendendo oltre
1000 €),
oppure quella del ragazzo di famiglia molto agiata che vende droga, per
essere autonomo ed arricchirsi, o di un altro sempre di buona famiglia che
da grande vorrà fare pappone perché si guadagna bene senza troppa fatica.
Ciò che rende illuminante questo libro
(che può essere considerato un vero e proprio saggio, la cui lettura
dovrebbe essere raccomandata a genitori e insegnanti, sia delle classi
inferiori che superiori), è l’elenco delle ragioni che hanno spinto ogni
singolo giovane ad adottare specifici comportamenti. Nella maggioranza dei
casi, è emerso che le motivazioni che spingono i giovani a trasgredire,
hanno a che fare con il loro non sentirsi adeguatamente considerati dagli
adulti, a cominciare dai genitori.
È molto diffusa l’idea, in una gran parte
di adolescenti che gli adulti sono nemici che si debbono “tenere buoni”
unicamente per ottenere da loro quel che necessita per il proprio
sostentamento economico. In merito all’eventuale impegno professionale
futuro, la quattordicenne Giulia specificò: - Lavorare? “Non è tra i miei
progetti. Da grande voglio farmi mantenere e non ridurmi a uno straccio
bagnato come” mia madre “che lavora in cartoleria fino alle otto, e
invecchia sulle penne e sui quaderni, e si sgualcisce, e appassisce, e
quando torna” a casa “si perde i mariti” -. Ed è
sempre Giulia che in merito al suo attuale stato economico racconta:
-
“… Da grande io mi farò le canne tutti i
giorni, le spaccerò per farmi un po’ di soldi per lo
shopping
e non sarò più una dilettante come ora, che me ne fumo
soltanto un paio a settimana e per pagarle vendo un po’d’erba a scuola, ma
ci guadagno poco e non basta”
-.
Desidero nuovamente ritornare a quanto di recente è stato pubblicato
all’interno di Panorama, precisamente nella pag. n° 53, dove si trova
l’articolo curato da Terry Marocco
titolato: “E in casa è un dialogo fra
muti – Età
evolutiva: padri e madri oggi sanno poco o nulla dei loro figli. E
spesso sono essi stessi adolescenti mai cresciuti, incapaci di comunicare e
di dare risposte nell’età più critica dei ragazzi”.
L’articolo prosegue nella pag. n° 54,
nella quale, evidenziato in carattere grassetto e collocato al di sotto di
una fotografia (che mostra il lato “B” di due ragazze che indossano jeans),
si legge:
“Sesso
come cibo - gli adolescenti hanno una precocità sessuale che annienta i
genitori”.
I genitori che sostengono che i loro figli
e in particolare le figlie, non corrono rischi perché non escono di sera,
forse non sanno (oppure non vogliono credere) che esistono discoteche,
spesso gestite da minorenni,che aprono di pomeriggio, dove i ragazzini vanno
ad acquistare droga ed alcool e le ragazze fanno le cubiste. Ciò è,
confermato da Arianna, un’altra intervistata da Marida Lombardo che
frequentava la “terza media e ballava nella disco già da quasi un anno”,
che descrive quel che accade nelle discoteche pomeridiane frequentate da
adolescenti e maggiorenni:
“Sei
fai la cubista puoi trescare
con i dj,
con i gestori,
con quelli dello staff
che hanno potere,
fascino,
e sono simpatici, strafichi. Trescare
serve per far carriera, e poi ti diverti.
I gestori hanno sedici, diciassette,
diciotto anni.
Fuori dal locale non si filerebbero mai una che va in seconda. Ma se fai la
cubista sei una donna. Non più una ragazzina.
Con i clienti della disco treschi soltanto se ti va. E
puoi farti pagare, se vuoi, così ti diverti e ci guadagni!!
È come se fossi già grande, come se avessi già un lavoro.
…. Cosa dico ai miei genitori?
…nulla. Dici che esci
con le amiche e ti fai venire a prendere
alle sette e mezzo davanti a un cinema, oppure a casa di un’amica.
Esci vestita normalmente e poi ti cambi
lì, al locale…”.
Nel libro di Marida Lombardo Pijola vi
sono
numerose fotografie scattate all’interno delle
discoteche aperte il pomeriggio, dove le ragazze fanno le cubiste con i loro
speciali "abiti" di scena.
Anche se si potrebbero elencare molti altri
aspetti nocivi della modernità attuale, descritti dalla stampa o all’interno
di libri inchiesta, per il momento termino con le citazioni perchè desidero
illustrare le mie ipotesi,
partendo dalla frase:
-
“Molti
ragazzi vanno con i transessuali perché va di moda”-.
Si tratta di una affermazione, a me
spontaneamente confidata da un ragazzo che conobbi in Genova nel mese
di ottobre 2008,
quando non era ancora scoppiato il caso “Marrazzo”; egli era uno dei soci
fondatori dell’associazione culturale fatta di giovanissimi che erano
riusciti a convincere numerosi loro coetanei (ragazzi e ragazze), che aveva
senso sacrificare il sabato pomeriggio, per ascoltare una
conferenza,
che trattava della “Ricerca del Sé”.
I giovani (ma anche adulti in età) che
partecipano a conferenze di tal tipo, come quelli che praticano Yoga,
tecniche meditative, frequentano gruppi buddhisti o di altre filosofie e
discipline di derivazione orientale e non, non sono differenti da quelli che
si drogano e bevono sostanze alcoliche o fanno sesso “strano”, si può
sostenere che, in gran maggioranza, sono gli stessi.
Ciò accade perché il
potere del business economico (ma a volte anche semplicemente narcisistico o
idealistico) connesso all’insegnamento di discipline, nate per favorire la
disinteressata evoluzione spirituale degli umani, induce la maggior parte
degli organizzatori a chiudere un occhio, a non verificare se gli studenti o
adepti oppure frequentatori di palestre, fanno uso di droghe o alcool.
Questo atteggiamento è a mio parere dannoso oltre che errato.
Non si aiutano
le persone facendo loro credere che basti praticare esercizi di rilassamento
o meditativi, recitare specifici mantra, praticare digiuni e rituali, per
risolvere i propri problemi interiori oppure per ottenere successo
professionale. Due anni fa, una giovane di circa trenta anni (da poco
laureata al DAMS di Bologna) si rivolse a me perchè incuriosita dalla
tecnica di rilassamento psico -fisico da me denominata RIP (Regressione
Ipnotica Prenatale), tramite la quale avrebbe voluto trovare una soluzione a
sue specifiche fobie e conflittualità interpersonali.
La giovane mi raccontò che alcuni mesi prima, si era gettata dal terzo
piano, mentre era sotto l’effetto di droghe “leggere” (sopravvivendo senza
gravi conseguenze fisiche). Successivamente elencò l’elevato numero di
droghe illecite che aveva assunto, soltanto dalla età di 17 anni, alcune
delle quali continuava a consumare “per
spirito di ricerca scientifica”.
Poiché la tecnica RIP può essere applicata
soltanto a chi non utilizza droghe di alcun tipo (illegali o legali) né deve
far uso di alcool, suggerii alla giovane che la terapia più semplice ed
economica, che avrebbe potuto darle sicuro giovamento, era il lavoro fisico
ed in particolare andare a lavorare nei campi, a zappare la terra. Questa
pratica quotidiana, le sarebbe stata più utile del praticare le tecniche
meditative da lei conosciute, oppure dall’aver seguito i corsi di tarocchi
ed anche di altro genere, condotti da un famoso maestro mago. La giovane
donna mi rispose: “In effetti avevo proposto a mio fratello di
trasformare una proprietà che i miei genitori hanno nella campagna veneta,
in un agriturismo di lusso”. Risposi alla giovane: “Perfetto, cominci
però dallo scavare la terra”. Ovviamente quella donna non comprese il
mio parlare (che non voleva essere sarcastico e neppure ironico). Non la
rividi più perchè era maggiormente attratta dalla frequentazione del maestro
e mago il quale, affinché la giovane potesse risanare il conflitto con
il proprio padre, le consigliò di compiere un pellegrinaggio a Lourdes,
portando in omaggio alla Madonna il proprio liquido mestruale. La ragazza, in
quel unico incontro mi disse che seguì con grande entusiasmo quel
particolare consiglio. Si recò in pellegrinaggio, l’esperienza fu molto
emozionante, ma precisò che, quel singolare rito non le permise di risolvere
il conflitto con il proprio genitore, né di mettere fine alle sue numerose
fobie (gran parte delle quali sicuramente sorte a causa dell’utilizzo di
specifici allucinogeni).
Questa breve
digressione, per farvi meglio comprendere che
molti tra i giovani attuali, associano l’essere moderni alla trasgressività
sessuale o di altro genere.
Ciò avviene soprattutto laddove essi si muovono in gruppo, oppure come
evidenziano molti sociologi e psicologi, in
branco.
Non è errato
sostenere che tale agire, ha come matrice principale, la mancanza di un
adeguato referente familiare e sociale.
Restando al referente familiare, i genitori,
si può osservare che anche questi ultimi,
si muovono perseguendo l’ideale della modernità,
più precisamente: nel timore di non
essere considerati moderni.
A causa della
paura di apparire vecchi, moltissimi genitori si omologano all’agire dei
più.
Conseguentemente, i grandi in età (“non adeguatamente cresciuti”
interiormente) travestiti da giovani, non si preoccupano (o non sono in
grado) di trasmettere ai figli o ai nipoti, l’esperienza dell’esistere.
Questi pseudo adulti, preferiscono assumere il ruolo di compagno/a di giochi
o di pseudo amico/a con cui competere, ad esempio scegliendo di andare a
ballare con i propri figli o nipoti, anche per cercare insieme a loro,
partner sentimentali o sessuali, a volte anche la “roba” con cui prepararsi
le “canne”.
I falsi giovani o gli esteriormente moderni vecchi, si vestono
in modo simile ai propri discendenti, praticano lo stesso sport, si recano
dallo stesso chirurgo estetico e, le cronache recentissime ce lo
evidenziano, vanno anche con i transessuali.
Oggi, un sempre maggior numero di genitori e nonni, non cerca quindi di
avere con i figli e nipoti un reale confronto esistenziale, ma
si limita a dar valore all’agire esteriore e
poco si preoccupano della propria crescita psicologica e spirituale e ancora
meno di quella dei propri discendenti.
A tal proposito, siccome mi piace citare
fatti e non solo teorie, desidero narrarvi una ulteriore e particolare
vicenda familiare, accaduta alcuni mesi fa, e a me raccontata da una cara
amica. In una giornata normale, all’interno di una famiglia normale,
appartenente al ceto medio alto, composta da marito cinquantenne, moglie
coetanea e due figli (il maschio di anni 18 e la femmina di qualche anno
minore), il padre si presentò a casa in compagnia di una ragazza di 25 anni,
vestita alla moda, con minigonna e l’ombelico in bella vista. Dopo aver
salutato i familiari, l’uomo rivelò loro quanto segue: - “Questa è la mia
compagna, ora faccio i bagagli e vado a vivere con lei” -. A questa
esagerata violenza psicologica, che l’uomo impose alla famiglia (?), seguì
la reazione del primogenito, il quale picchiò con altrettanta violenza,
fisica, il padre. Quest’ultimo una volta uscito di casa, si recò nel più
vicino Commissariato dei Carabinieri dove sporse formale denuncia nei
confronti del figlio.
Anche questa recentissima vicenda, super
sinteticamente descritta, avvalora le argomentazioni da me fino ad ora
esposte ed in particolare quelle concernenti la deresponsabilizzazione dei
genitori.
Sostengo
che il male oscuro dell’umanità attuale è
l’errato concetto di modernità.
La paura di non essere moderni, non più
giovani,
conseguentemente sempre più vicini alla
morte, spinge
la gran parte degli individui (di qualunque età, sesso, ceto sociale, credo
religioso, etnia) a non cercare nell’altro da sé considerazione, stima,
affetto, simpatia, comprensione, amore, compassione.
Come fuggono dal dolore
fisico (e psicologico), tramite l’utilizzo di droghe legali e illegali, le
persone fuggono dal contatto diretto e reale con il prossimo perchè,
dall’attuale umanità, il confronto con l’altro, è soprattutto mediato dalla
insana competizione
e non dalla volontà di conoscere, di fare esperienze per capire maggiormente
se stessi e conseguentemente i propri simili.
La fuga dal prossimo, altro non è che una fuga da se
stessi.
Sostanzialmente, le persone fuggono dal naturale intimo bisogno di amare ed
essere amate.
Il bisogno di amare può essere ricondotto ad un istinto primordiale, cui
neppure le specie animali ritenute a noi inferiori sfuggono; infatti, esse
manifestano palesemente amore, tra di loro e nei confronti dell’umano che li
adotta. Gli animali necessitano di dimostrare il proprio amore a chi li ha
adottati, ma allo stesso tempo vogliono essere palesemente considerati ed
amati tramite carezze, baci, buone parole, da chi considerano il proprio
capo branco.
Ribadisco che il male della modernità attuale, sta nell’errato concetto di
modernità,
la quale nega all’individuo la possibilità di vivere liberamente i propri
sentimenti, i quali spesso sono percepiti dai più come debolezze.
È risaputo che molte donne e uomini,
preferiscono non fare sesso oppure lo fanno rinnegando la componente emotiva
e sentimentale; essi prediligono chiamare il proprio partner “amico” o
“amica”, volendo così sottolineare che, in tal relazione non vi è
responsabilità finalizzata alla costruzione di un nucleo familiare, ma anche
perchè si convincono che, nel caso in cui la relazione non vada avanti, essi
soffriranno meno se, fin dal principio, negano l’esistenza della componente
sentimentale, affettiva.
Per correttezza, debbo sottolineare che quanti si
occupano di tematiche psicologiche e psichiatriche, sanno che in molti casi,
tal tipo di modello comportamentale è da ricondursi a specifiche forme
depressive, che sfociano in nevrosi ansiogene e in altri particolari sintomi
psicologici.
Le persone che adottano simili comportamenti, illusoriamente
intendono evidenziare che nella relazione con l’altro, il loro corpo è un
oggetto che deve essere palesemente usato per fare sesso mentre i sentimenti
debbono essere collocati in altri ambiti, magari “chattando” in internet.
Proprio questo modo di ragionare (ovvero di
proiettarsi quasi patologicamente al di fuori di sé, negando a se stessi
necessità intime, non necessariamente riconducibili alla mera sessualità)
incrementa in modo esponenziale i fenomeni legati alla depressione (fenomeno
che si stima essere percentualmente il
triplo
rispetto ai nati nel 1945), malattia che è strettamente connessa con la
scarsa considerazione di se stessi, con la mancanza di fiducia in sé e nel
prossimo, ma soprattutto con l’inadeguata cultura che, come sottolinea U.
Galimberti, porta la maggior parte di persone a non capire che “…è
difficile pensare di poter governare la propria vita senza un’adeguata
conoscenza di sé”,
ovvero senza tenere in considerazione anche gli aspetti più sottili, intimi
del proprio e dell’altrui esistere. Paradossalmente, proprio perchè sono
convinte che il corpo è modificabile, restaurabile, queste persone lo
considerano eterno e quindi tendono a volersi immaginare eterne, per cui
ricorrono in modo palese, senza troppe paure agli interventi di chirurgia
estetica e a tutto quanto concerne la salute esteriore del corpo fisico.
Si può certamente sostenere che “il
mondo va alla rovescia”;
un tempo si esagerava nell’attribuire sacralità al corpo, ma oggi si esagera
quando lo si considera un oggetto solo perché può essere modificato,
restaurato.
La sacralità del corpo
dovrebbe
essere tenuta in grande considerazione, non relativamente agli aspetti
meramente materiali ed estetici, ma per il fatto che esso è il contenitore
di quella Parte o Essere davvero prezioso e sacro, che secondo la tradizione
indovedica (un tempo anche per quella cristiana) sopravvive alla morte. Chi
crede a questa ipotesi, infatti non afferma: “la tal persona è morta”,
ma dice che la persona “ha
abbandonato il corpo”,
volendo in tale modo sottolineare che il vero proprietario del corpo (da
differenti culture definito Anima, Atman, Spirito, Sé Superiore) è una sorta
di inquilino il quale, non avendo più una casa che lo soddisfa perchè
invecchiata e malsana, va ad abitarne un’altra nuova e confortevole.
In merito all’esistenza dell’anima
e alla tesi reincarnazionistica, mi torna alla mente George I. Gurdjieff,
Maestro di Saggezza, il quale
sosteneva che l’anima è un lusso che non tutti possiedono
e che l’esperienza del vivere, ha proprio a che fare con la possibilità di
conquistarsi tale speciale apparato.
Gurdjieff spiegava che, quando il corpo dell’uomo e della donna super
robotizzati, automatizzati (come lo siamo tutti noi) termina di esistere,
essi non conquistano altrettanto automaticamente e/o immediatamente, la
possibilità di avere un’anima tramite la quale potersi reincarnare
(mantenendo la memoria di quel che avevano precedentemente vissuto), ma
diventano semplicemente concime, a meno
che non abbiano precedentemente studiato per ottenere una maggiore ed
adeguata consapevolezza di sé.
Mi piace ricordare e conseguentemente informare chi non ha studiato le
teorie di Gurdjieff (che era chiamato Maestro di Quarta Via, più
semplicemente filosofo e psicologo nonché esoterista) che agli inizi del
‘900, all’interno del libro dal titolo “Incontri
con uomini straordinari”,
profetizzò che i giornalisti avrebbero creato danni all’evoluzione umana,
perchè avrebbero sempre deformato le verità loro confidate o da loro stessi
apprese. Tutti siamo testimoni che quel che predisse Gurdjieff, in tempi in
cui non esisteva la televisione e neppure internet ma soltanto qualche raro
giornale, è reale ed enormemente attuale, moderno.
Gurdjieff infatti fu (ed è, tramite
le sue teorie) un uomo molto moderno perchè oltre a mantenere in sé la
memoria degli Antichi Saggi,
finché visse, si preoccupò soprattutto di studiare e insegnare teorie e
mezzi utili all’evoluzione psicologica e spirituale degli umani, dando un
adeguato e non prioritario valore, alle questioni meramente materialistiche.
L’evoluzione personale,
come quella di una comunità, si attua soprattutto applicando a se stessi
regole precise che, pur tenendo conto delle proprie priorità strettamente
legate al tipo psicologico umano cui si appartiene, non dovrebbero ledere i
diritti dei propri simili anche perchè, nessun essere umano è uguale ad un
altro.
Per queste ragioni affermo che,
dove c’è esagerata omologazione, non c’è evoluzione;
insieme a Gurdjieff sostengo
(avendolo ogni giorno applicato nella mia vita) che,
per crescere in intelligenza e in spirito,
occorre distinguersi non agendo mai come fanno gli altri, più precisamente:
non aderendo pienamente ai modelli, che
solitamente l’attualità definisce “moderni”.
Sulla modernità che fa male, vi sarebbe molto altro da dire, per esempio sui
nuovi modelli genitoriali,
sul perchè le persone hanno sempre più vergogna di apparire esteriormente
vecchie, sulle ragioni per cui vi sono sempre più suicidi tra i giovani e
non soltanto tra gli anziani, sulla comunicazione che è sempre meno vera,
sia sul piano interpersonale che pubblico, sul fenomeno del bullismo
maschile e femminile, sul perchè i giovani si divertono a far cadere massi
dai ponti che sovrastano le autostrade, sugli stupri fatti in gruppo e
ovviamente singolarmente, sul perchè la gente corre per realizzare inutili
chimere. Sono però consapevole che occorrerebbero molte ore per analizzare
seriamente anche soltanto uno di questi argomenti, per cui preferisco
concludere la mia relazione perché si apra un dibattito che permetta
di sentire le opinioni di chi mi ha fino ad ora cortesemente ascoltata, dopo
però avervi letto quel che Gurdjieff scrisse nel prologo del suo libro “La Vita Reale”,
in parte perchè corrisponde al mio agire quotidiano, interiore ed esteriore
ma soprattutto perché richiama quello che sosteneva
Roberto Assagioli
(il Padre della Psicosintesi):
“Io
sono …
Dove è andata a finire quella sensazione di me tutto intero, che ero solito
provare una volta quando pronunciavo queste parole in stato di <<richiamo>>?
È
forse possibile che questa attitudine interiore acquisita al prezzo di tante
rinunce e di mortificazioni di ogni genere, oggi che la sua azione sul mio
essere sarebbe più indispensabile dell’aria che respiro, sia sparita senza
lasciare traccia?
No,
questo non è possibile.
C’è
sicuramente dell’altro… oppure tutto, nel mondo della Ragione è privo di
logica.
No –
il potere di compiere sforzi coscienti e di assumermi una sofferenza
volontaria non si è ancora atrofizzato.
Tutto il mio passato
e tutto quello che ancora mi aspetta esigono che
IO SIA
ancora.
Lo voglio…
sarò ancora.
E a
maggior ragione poiché il mio <<essere>>
è necessario non solo al mio personale egoismo, ma al bene dell’umanità
intera. Il mio <<essere>> è più necessario agli uomini che non a tutte le
soddisfazioni o tutta la felicità che essi possono procurarsi oggi.
Voglio ancora <<essere>>… Io <<sono>>
ancora.”
Precisamente: il giorno 11 Ottobre 2008, l'Associazione Culturale PIRRI, organizzò in Genova, la conferenza dal titolo “La
Biopsicosintesi: conflitti e subpersonalità”.
LA BIOPSICOSINTESI: CONFLITTI E SUBPERSONALITÁ
- Conferenza tenuta l'11 Ottobre 2008 in Genova, organizzata dalla
Associazione Pirri.
La
Biopsicosintesi è una metodologia psicologica (derivata dalla
Psicosintesi) che ha come obiettivo la maggiore coscienza tramite la
volontà, per gestire con maggiore consapevolezza le dinamiche della propria
personalità. In questo studio, da molti conosciuto anche come “Ricerca di
se stessi” (che si attua principalmente con la osservazione dei
propri automatismi che riguardano la sfera della esistenza materiale,
intellettuale ed emotiva), quando si pronuncia il termine SE', si
intende denominare quella parte che é più lontana dalla propria personalità
(o aspetto esteriore), da quelle parti sottili (inconsce) presenti in ogni
essere umano. Queste parti furono definite da Roberto Assagioli “Subpersonalità”,
da George. J. Gurdjieff furono chiamate “Falsi Io” e da altri
più semplicemente “identificazioni”.
Roberto Assagioli è il padre della psicosintesi, ma non è noto in Italia
quanto lo è invece in altre parti del mondo, i suoi libri sono tradotti in
ben nove lingue. Era medico, psichiatra, filosofo, educatore, scrittore,
esoterista. Splendido individuo che seppe parlare a tutti, persino ai più
acerrimi positivisti, riuscendo a fare accettare e comprendere le proprie
teorie, non soltanto a coloro che già sperimentavano specifiche discipline
introspettive, ma anche a chi totalmente le ignorava. Assagioli superò i
concetti freudiani e junghiani, affermando che: PRINCIPIO DELL'EVOLUZIONE
UMANA E' LA VOLONTA' CONSAPEVOLE e scrisse numerosi libri contenenti
indicazioni, esercizi, che ognuno può sperimentare da sé. Egli coniò il
termine “psicosintesi” e sostenne che: l'unico ideale, l'unico scopo
esistenziale, è il raggiungimento del proprio SÉ. Ad esso si può
arrivare armonizzando il proprio Essere nei suoi
diversi aspetti, primo fra tutti occorre stimolare l'attenzione uditiva,
visiva, cinestetica, per riattivare quel che è sopito o/e sconosciuto.
Poche persone riescono ad adoperare contemporaneamente i linguaggi uditivo,
visivo e cinestetico, alcune fortunate ne hanno attivati due, farli
funzionare tutti e tre è sinonimo di grande realizzazione. Assagioli insegna
che l’autosservazione è utile, non soltanto per armonizzare se stessi (tale
armonizzazione si attua su un principio d'amore) ma per il riconoscimento di
specifiche barriere interiori. Conoscendo meglio se stessi, si impara ad
amare nel giusto modo il prossimo perchè, finalmente si accettano parti di
sé che si volevano dimenticare o ignorare.
Assagioli
individuò vari metodi, adoperabili da tutti ed utili per osservare se
stessi: l’esercizio più significativo, necessario per “iniziarsi” a tal tipo
di cammino introspettivo, è quello denominato di IDENTIFICAZIONE E
DISIDENTIFICAZIONE (di differenti subpersonalità). E' di grande aiuto e
rappresenta senz'altro uno dei primi passi che ogni persona ha il dovere di
effettuare, per tentare di smascherare le subpersonalità o “falsi io”, più
evidenti. Diviene necessario capire per quale ragione non si è in armonia
con se stessi, ovvero perchè si è in conflitto con se stessi? Tutti nasciamo
puri, incontaminati, pura essenza, ma appena fuori dal ventre materno,
veniamo contaminati (altri ci danno un nome, ci impongono una morale, una
religione, ecc.). Ogni umano è una macchina perfettissima, che rammenta ogni
frazione di secondo del proprio vivere quotidiano. L’origine della gran
parte dei propri problemi esistenziali, deriva dall’essere educati a
recepire la realtà esterna (le informazioni dirette ed indirette derivanti
dall’esterno) ma anche quella interiore (le emozioni in particolare ed i
propri pensieri di natura meramente intellettuale) in modo automatico.
Più precisamente facciamo nostre anche quelle realtà esistenziali che non ci
dovrebbero riguardare. Ciò accade perché il sistema in cui si vive sostiene
che tutti debbono essere educati nello stesso modo, vestiti in un preciso
modo, andare in vacanza in specifici siti, possedere un telefonino e così
via. La gran parte di individui, da adulti, invece giunge a vivere la
seguente esperienza: l’illusoria eguaglianza, si rivela una mera ed enorme
diversità. Allora, le persone entrano in crisi esistenziale, e si domandano:
perché ho studiato, scelto quel lavoro, sposato quella donna, quell'uomo?
La crisi si manifesta da adulti, in età in cui si è ammalati fisicamente e
psicologicamente o contemporaneamente in entrambe le sfere. Cosa motiva il
desiderio della “ricerca del sé” dello studio dei propri “falsi io”? Per
quale ragione una persona, comincia a desiderare di ritrovare sé stessa? In
generale perché non sta bene interiormente; come mai non sta bene
interiormente? Sicuramente perché ritrova in sé, una o svariate disarmonie.
Si sente divisa, sente che dentro sé, rispetto ad un interrogativo, si
presentano molteplici risposte e non sa più quale scegliere. Per quale
motivo accade ciò, perché spesso si pensa di fare una cosa e poi se ne va a
fare un'altra? Tale situazione disarmonica si riscontra nei momenti in cui
il proprio vero io, il Sé, riesce a mandare messaggi che oltrepassano la
barriera delle tante subpersonalità. Questa informazione è recepita come
conflitto, sofferenza interiore che spesso si manifesta anche fisicamente.
Ogni persona spesse volte parlando con altri e con se stessa, nel momento in
cui ha desiderato spiegare e giustificare suoi particolari atteggiamenti,
può avere affermato di sé: io sono emotivo, io sono razionale, io sono
sportivo. Con queste affermazioni, le persone (inconsapevolmente) rendono
nota la loro maggiore identificazione, la più evidente. Chi desidera capire
chi è ed intraprende la via biopsicosintetica o qualunque altra disciplina
introspettiva, quando si appresta ad individuare le proprie subpersonalità,
scoprirà che quelle più evidenti (più facilmente intercettabili) in realtà
sono le meno pericolose; capirà che solo quando si è in grado di
riconoscerle, è possibile procedere al passo successivo e tentare di
smascherare i “falsi io” più sottili che son soliti nascondersi dietro i
primi. Andare alla ricerca di “sé stessi”, significa che una persona
comincia a fare un lavoro di “pulizia” interiore e conseguentemente di
armonizzazione, di riequilibrio delle parti di sé che fino a quel momento ha
creduto essenziali, non automatiche. Attuando questa “pulizia”, arriverà a
comprendere ciò che realmente le appartiene e quello che invece è frutto
dell'educazione ricevuta da genitori, nonni, scuola, amici, conoscenti e
tivù.
L’ARTE
VISIVA MUTA SOSTANZIALMENTE, QUANDO
É PRATICATA
IN STATO DI RILASSAMENTO
PSICO-FISICO, UNITO ALL'ASCOLTO MUSICALE
Il cervello umano, come l’Universo, ha
potenzialità inesplorate, possiede capacità cognitive inutilizzate, latenti,
di cui si ignora l’esistenza. Il cervello coordina tutte le funzioni
corporee e quelle di astrazione ed è soprattutto capace di conoscere. Da
tempo è stato compreso che il Pensiero è Energia ed Impulso e si sa che, per
scambiare energia ed impulso è necessario un cervello elastico, non pigro ed
inerte. Il cervello è composto di materia la cui natura principale è
l’inerzia e, per questa ragione, tende ad avere un comportamento automatico
che può essere modificato, grazie ad uno specifico e costante allenamento.
Ogni individuo ha in sé le potenzialità che gli permettono di rendere il
proprio cervello elastico, ma per ignoranza e soprattutto per mancanza di
volontà propria, la maggior parte di persone, non è in grado di realizzare
questo scopo. Da tempi remoti, differenti Scuole Filosofiche ed Esoteriche
(in Occidente e in Oriente) hanno elaborato tecniche, tramite le quali è
possibile cambiare la frequenza delle onde cerebrali. Il cervello
costantemente allenato, diventa una sorta di antenna ricevente e
trasmittente ed è in grado di sviluppare maggiormente la creatività,
l’immaginazione, l’intuizione,
tutte le qualità che risiedono nell’emisfero destro del cervello. Queste
antiche tecniche, hanno trovato riscontro su un principio scoperto dalla
teoria della Relatività Generale e dalla Teoria Quantistica. La Fisica
Quantica in particolare, ha portato un’enorme rivoluzione all’idea che per
molti secoli si è avuta, a proposito della Visione tradizionale della
Realtà. La Fisica Quantica sostiene che, la consapevolezza
dell’osservazione, è fondamentale all’osservazione stessa. La realtà è
ciò che si osserva perché il soggetto osservatore partecipa a co-creare la
realtà e la scena sulla quale questa si svolge, più semplicemente: è
l’osservazione umana che rende “reale” la realtà. Si può quindi
conoscere, solo se si crede di poter conoscere e, conseguentemente, non è
sbagliato sostenere che la conoscenza obiettiva, può essere conquistata
tramite un consapevole e personale Atto Volitivo. È proprio da questa
scoperta che anche il mondo occidentale ha compreso che per vivere nella
realtà, è necessario essere consapevoli e che (per esserlo veramente)
occorre sviluppare tutte le potenzialità del cervello, le facoltà latenti. É
altresì accertato da tempo che gli umani sono limitati nel vedere fuori, ma
molto dotati nel sentire dentro. Quel che entra dentro, è sempre un nuovo
pensiero del quale prima non si era consapevoli, si tratta di una idea che
può essere espressa in musica, immagine, concetto astratto, che realizza una
prospettiva che non è soltanto diversa da quella precedente, ma tale da
profilare un nuovo modo di interpretare il fenomeno che si sta cercando di
comprendere. Ecco perché ogni essere umano può scegliere se credersi vittima
o artefice del proprio destino, può riconoscersi o meno di essere il
coautore responsabile della propria esistenza, nonché della realtà che lo
circonda. Per conoscere la realtà, si deve divenire consapevoli di ciò che
si è e di quel che si vuole essere. Si può riuscire a realizzare questo
traguardo, cambiando il metodo automatico che induce la totalità degli
umani, a non guardare al proprio interno ma sempre e soltanto al di fuori di
se stessi. Socrate aveva sottolineato che la chiave della conoscenza è nel
soggetto e non nell’oggetto. La conoscenza, dipende dal soggetto che sceglie
a quale verità credere perchè tutte le verità, anche le più contraddittorie,
possono apparire vere. Conseguentemente, per comprendere la realtà e
sviluppare parallelamente la creatività e l’intuizione, occorre cominciare
ad osservare dentro se stessi, passando dallo stato di Coscienza
(soprattutto) esteriore a quello di Auto-Coscienza. L’osservazione interiore
dà inizio ad un cambiamento, permette di scoprire un Nuovo Mondo, una nuova
realtà, anche se nell’individuo si svela soltanto ciò che, di volta in
volta, egli scopre dentro se stesso. La scoperta di poter avere una
differente percezione del mondo, stimola chiunque a modificare la realtà
attorno a sé. Le condizioni essenziali per scoprire la vera natura umana
sono:
|
sapere di non sapere |
|
avere il coraggio di
credere nelle proprie capacità, di trasformare se stessi ed il mondo |
|
non arrendersi
all’apparenza e cercare di Esistere, di Essere in modo autentico. |
La volontà, la passione per la conoscenza e,
soprattutto, la fede in sé e nelle proprie capacità, permettono di ottenere
cambiamenti radicali che, a volte, sorgono in momenti di grande crisi
esistenziale. Tramite la Relatività Generale, si è scoperto che lo
spazio-tempo della Terra è curvo e non piatto o euclideo e, secondo alcuni
studiosi non è affatto impossibile ipotizzare che la stessa distorsione,
valga per i nuclei degli atomi che costituiscono i corpi degli umani e tutto
quanto ruota attorno ad essi. Infatti, conoscere se stessi implica una nuova
visione dell’esistere e dell’Universo, consta di un superamento dello
spazio-tempo, di quelle categorie mentali, all’interno delle quali si è
erroneamente convinti di essere racchiusi. Questa breve premessa perché fino
ad oggi la mia vita personale e le mie ricerche anche in ambito PSI
(Parapsicologico), sono state sostanzialmente fondate su questi principi.
Per agevolare una migliore comprensione del metodo da me ideato e applicato
all’arte visiva (tramite il quale è possibile ottenere un maggiore sviluppo
della creatività ed intuizione), per prime descriverò le ragioni che mi
fecero decidere di sperimentare su me stessa, specifici procedimenti
introspettivi. Fin dalla infanzia ho utilizzato il mezzo pittorico, i colori
e la scrittura, per tradurre su carta o tela, le mie emozioni e
considerazioni esistenziali. In particolare, dall’adolescenza e per più di
venti anni con costanza e concretezza, mi impegnai nello studio psicologico
di me stessa e parallelamente, nello studio dell’arte pittorica. Grazie
all’utilizzo di metodiche introspettive, apprese anche per via diretta e in
gran parte basate sui principi che sono il fondamento della Psicosintesi di
Roberto Assagioli
ed di George I. Gurdjieff,
riuscii ad ottenere profondi mutamenti interiori ed esteriori che,
sostanzialmente, migliorarono la mia vita. Assagioli (ed anche Gurdjieff)
sosteneva che fortificando la volontà "buona", è possibile sviluppare
l'attenzione uditiva, visiva, cinestetica e giungere ad una maggiore
armonizzazione della propria interiorità, con il corpo fisico e con tutto
ciò che lo circonda (persone e mondo). Quando iniziai ad applicare esercizi
psicosintetici su me stessa (tramite i quali riuscivo ad avere maggiore
chiarezza sui miei processi interiori), ero convinta che in me fosse
maggiormente sviluppata l’attenzione visiva (fin da bambina avevo disegnato
con colori e matite). Per quel che concerneva l’attenzione cinestetica (il
movimento) sapevo che in me era minimamente sviluppata (ho ancora una
naturale tendenza alla pigrizia fisica), mentre non avevo ben chiaro quanto
fosse alto il mio grado di attenzione uditiva. Dopo aver più volte eseguito
(giornalmente) alcuni esercizi assagioliani, abbastanza semplici, potei
constatare che in me era maggiormente sviluppata l'attenzione uditiva e non
quella visiva, l’attenzione fisica restava ultima. A seguito di questa
specifica scoperta intuii che, se il mio fare pittura fosse stato
realizzato a seguito o durante l’esecuzione di certi esercizi o tecniche di
rilassamento psicofisico, avrei potuto maggiormente sviluppare l'emisfero
destro del cervello e sicuramente sarei stata in grado di produrre opere
pittoriche, differenti da quelle in cui fino a quel momento mi ero
identificata. Così feci ed il risultato fu un notevole potenziamento della
mia creatività artistica; questo fatto si palesò concretamente con il
radicale mutamento del mio stile pittorico, metamorfosi che fu osservata
dalla totalità delle persone a me vicine. Mi convinsi che i risultati da me
ottenuti non erano casuali o semplicemente accaduti perché ero una persona
che utilizzava da tempo il mezzo grafico–pittorico. Per questo motivo, in
tempi immediatamente successivi, decisi di far sperimentare ad altre
persone, quel che avevo riscontrato su me stessa, con la convinzione che in
esse sarebbe subentrato un identico cambiamento. A questo punto sorge
spontaneo domandare: in quale modo avevo condotto la sperimentazione su me
stessa? Che cosa in realtà avevo fatto di così straordinario? Di
straordinario nulla, avevo semplicemente mutato l’approccio interiore, avevo
pensato che in me, oltre ad una mente, due occhi e due mani che mi
permettevano di disegnare e dipingere, vi era qualcos’altro. Fino al momento
precedente l’inizio dell’esperimento, avevo disegnato e poi dipinto come
tutti fanno, stando in un normale stato di attenzione interiore ed
esteriore, mettendomi davanti al foglio o alla tela, su cui intendevo
realizzare una nuova opera (come quelle più sotto riprodotte). Nel corso
della sperimentazione, suddivisa in due differenti fasi, introdussi alcuni
fondamentali procedimenti: dopo essermi rilassata fisicamente e
psicologicamente, mentre ascoltavo specifici brani musicali, disegnavo ad
occhi chiusi. Durante la prima fase della sperimentazione, procedetti nel
modo seguente:
-
preparavo la tela o foglio sul quale avrei lavorato ed anche i colori
-
accanto a me, posizionavo un registratore nel quale avevo
precedentemente inserito una cassetta musicale (in genere di musica
Classica)
-
mi
mettevo seduta davanti al cavalletto o tavolo da disegno, tenendo tra le
mani una matita
-
chiudevo gli occhi ed effettuavo un esercizio di rilassamento
psicofisico, che ottenevo con una semplice tecnica di respirazione,
simile a quella denominata Pranayama, che mi permetteva di entrare,
consapevolmente, in un leggero stato modificato di coscienza
-
terminato l’esercizio di respirazione controllata, continuavo a tenere
gli occhi chiusi ed azionavo il registratore
-
sempre con gli occhi chiusi, lasciavo che la matita che tenevo con le
dita della mano destra, si muovesse liberamente sul foglio o sulla tela.
La mano si spostava sulla superficie, dando ascolto alle emozioni che in
parte erano stimolate dall’ascolto musicale
-
quando ritenevo di aver terminato il disegno, aprivo gli occhi e
cominciavo a colorare.
Adriana Velardi – Titolo: “Nudo dal vero”
Tecnica: acquarello su cartoncino cm 30x40
Bologna, 1978
Adottando il semplice metodo sopra descritto,
ottenni sostanziali cambiamenti. Quando per la prima volta procedetti in tal
modo, tra i tanti segni tracciati sul foglio bianco, emerse la vocale “E”
che, secondo un’antica tradizione esoterica,
oltre a corrispondere al colore giallo, significa crescita,
attività mentale, vitalità. In quel momento, quel semplice (ma
per me straordinario) fatto (aver disegnato, a mia insaputa poiché tenevo
gli occhi chiusi, una grande lettera E), attestò visivamente e
concretamente, che in me vi era la volontà di crescere interiormente, di
incontrarmi maggiormente con la parte più profonda di me stessa. Mi
comportai in questa maniera per una decina di volte, poi diedi inizio alla
seguente seconda fase:
-
decisi di lavorare
senza tenere gli occhi chiusi perché ero convinta di poter essere in grado di
raggiungere il medesimo stato coscienziale (ottenuto nella fase
precedente), di non permettere alla visione esteriore, di interferire
con la creatività
-
eseguii l’esercizio di respirazione, identico a quello della prima fase
-
inserii il sottofondo musicale
-
tenni gli occhi aperti e lasciai libera la mano di muoversi e disegnare
In questa
seconda fase, ebbi nuovamente l’opportunità di scoprire sensazioni
interiori, simili a quelle vissute quando avevo disegnato ad occhi chiusi;
produssi liberamente e senza alcuna incertezza elementi grafici e utilizzai
colori, mai prima inseriti nei miei lavori pittorici. Lavorai in questo modo
tutti giorni, per circa due mesi e constatai che in un così breve periodo,
l'immaginazione, la fantasia, in me erano notevolmente aumentate. Elaborai
ulteriori e differenti stili pittorici, sperimentai diversi materiali, prima
mai considerati. In quel particolare periodo, quel che per me più contò fu
che, finalmente, ero riuscita a tradurre simbolicamente, il mio sentirmi
Essere, Entità cosmica ed anche i miei sogni onirici, in pittura. Dopo di allora, non fu più necessario rilassarmi
con tecniche di respirazione, né tenere gli occhi chiusi, per realizzare
prodotti artistici totalmente differenti da quelli prodotti in precedenza,
fu sufficiente (e lo è ancora) aver la volontà di entrare in quella
specifica “atmosfera” interiore. L’unico elemento che ho continuato ad
utilizzare, seppur saltuariamente, è l’ascolto musicale ché favorisce la
concentrazione (e l’immaginazione) ed ha anche una funzione tonica.
Terminata la sperimentazione su me stessa, decisi di applicarla su altri
soggetti, adottando (in parte) i canoni del metodo conoscitivo
logico-sperimentale (sorto circa quattro secoli fa con Galileo Galilei e
tuttora dominante), che è basato sull’esperimento ripetibile in laboratorio,
sulla elaborazione teorica dei risultati sperimentali e sulla verifica della
teoria stessa. In quel periodo, non mi interessava condurre accurate analisi
psicologiche sulla preferenza dei colori, oppure sui significati inconsci
dei segni, delle immagini o di quanto i singoli partecipanti
all’esperimento, avevano ogni volta riferito a voce e per iscritto. Volevo
soprattutto veder confermate le seguenti ipotesi:
|
dimostrare che i
partecipanti all’esperimento (persone che nel corso della loro intera
vita non avevano mai dipinto né disegnato ad occhi aperti e tantomeno
chiusi), tramite l’utilizzo di semplici tecniche di rilassamento
psico–fisico, l’ascolto di specifici brani musicali (classici e
moderni), l’emissione sonora della loro voce, l’impiego dei colori, lo
scrivere di sé, avrebbero potuto sviluppare maggiormente le potenzialità
dell'emisfero destro del cervello, e aumentare sostanzialmente il loro
potenziale creativo (anche grafico pittorico). |
|
dimostrare che tramite
l’utilizzo di semplici regole introspettive, i partecipanti
all’esperimento potevano attivare la propria personale volontà
consapevole |
|
rilevare quali
strumenti introspettivi (tecniche di rilassamento, sottofondo musicale,
ecc.) utilizzati nell’esperimento, favoriscono maggiormente il
potenziamento dell’emisfero destro del cervello e la conseguente,
significativa, evoluzione grafico-pittorica o letteraria |
Adriana Velardi – Titolo: “Le spirali di Maela”
Tecnica:
acquarello, matite e carte colorate
su tela cm
80 x 100 - Bologna, 1991
Per la prima volta, nel 1988,
nel corso di una conferenza pubblica, resi noti i fondamenti reali delle mie
ricerche psicologiche applicate all’arte
ed in particolare quelle relative allo studio introspettivo, denominato “Ricerca
del Sé”. In quello stesso anno, nei mesi invernali, condussi anche la
prima ed unica sperimentazione
che chiamai “Pittura e Musica per la ricerca interiore”. L’evento
ebbe una forte risonanza pubblica perché fu preceduto da una mia conferenza
(resa nota dalle maggiori radio, televisioni e quotidiani locali e
provinciali), alla quale parteciparono più di cento persone, la maggior
parte delle quali a me totalmente sconosciute. In tale occasione, individuai
il campione di persone (ventitré di differente cultura, età, sesso),
che spontaneamente decise di partecipare all’esperimento. Diressi la
sperimentazione in maniera simile a quella condotta su me stessa e preciso
che, dai singoli soggetti, l’esperimento fu vissuto in stato di costante
veglia diurna, che non si trattò di sperimentazione ipnotica, né di disegno
automatico. L’esperimento fu suddiviso in due differenti e significative
fasi nelle quali, ogni singola persona, oltre all’elemento pittorico e
musicale (terminata la fase grafico pittorica) doveva descrivere, per
iscritto, quello che aveva interiormente vissuto, che cosa era accaduto al
proprio interno, sia organicamente che psicologicamente, quali pensieri e
immagini erano stati generati, durante la fase dedicata all’esercizio di
respirazione controllata che, per un certo numero di incontri, comprese
anche esercizi di evocazione sensoriale (emissione sonora della propria
voce), tramite l’utilizzo delle vocali
A,E,I,O,U.
Desidero a questo punto soffermarmi sugli effetti che il suono auto
prodotto, ha sulla psiche e sul corpo. Numerosi studiosi (sparsi in
differenti parti del mondo) hanno potuto stabilire che il suono è una
energia, che si può organizzare in forme e proporzioni matematiche
(ritroviamo quel che sostiene la Fisica Quantica) come accade nella musica,
nel linguaggio e nelle espressioni di dolore e felicità. Il suono è ciò che
i nostri antenati chiamavano “il principio”, è l’OM orientale e il
VERBO occidentale (è anche l’AMEN). Il suono può creare forme che
influenzano la salute ed i comportamenti. L’ingegnere e medico Svizzero
Hans Jenny, ha dimostrato che il suono può creare figure geometriche
complesse; le forme che si possono creare con il suono sono infinite e
possono variare semplicemente cambiando la tonalità, le armonie tonali e il
materiale che si sta vibrando. Con l’aggiunta di accordi, è possibile
generare la armonia oppure il caos. Un basso suono “OM”, ad esempio, produce
alcuni cerchi con un punto al centro, un “EEE” alto, molti cerchi con
contorni tremolanti. Queste forme cambiano all’istante, quando si suonano
note o toni diversi. Suoni vibranti formano disegni e creano campi
energetici nello spazio circostante. A seconda delle onde, i suoni possono
avere effetti ricaricanti o rilassanti. Alcuni suoni a carica positiva
sono prodotti dalle nostre stesse voci. Tali suoni possono rilassare
la mascella e la gola, allentare la tensione del corpo e aiutare le persone
ad avanzare verso nuovi livelli di realizzazione interiore.
Ogni vocale (quando viene utilizzata negli esercizi denominati di
evocazione sensoriale ed anche nel Canto degli Armonici) è utile per
sviluppare maggiormente l'attenzione uditiva, visiva, cinestetica e per
fortificare la Volontà. Secondo la maggior parte di scuole ad indirizzo
spirituale, ad ogni vocale è associato un valore simbolico, emozionale ed un
colore.
E' provato che il suono della
voce (più specificatamente il sistema di suoni interno – le orecchie, la
voce – e il repertorio di musica o suoni autogenerati, è il più potente
strumento di cura che ogni umano possiede naturalmente), articolato con
le vocali
U - O – A – E - I,
favorisce la produzione di onde cerebrali chiamate Theta che
contribuiscono ad amplificare la potenzialità creativa. Suono e musica, sono
associati alla creazione e, nel mondo antico, la musica era uno strumento
misterioso e potente, utile per armonizzare la mente. Aristotele
affermava: “Ordunque, i suoni della voce sono simboli delle affezioni che
hanno luogo nell’anima, e le lettere scritte - sono simboli - dei
suoni della voce e allo stesso modo, poi, che le lettere non sono le
medesime per tutti, così neppure i suoni sono i medesimi”.
Nel corso della mia sperimentazione, fin dal primo incontro, potei
constatare che il suono emesso dalla propria voce (tramite le vocali) che
favorisce maggiormente la concentrazione e stimola la creatività, è quello
generato dalla vocale U. Per questa ragione, negli incontri
successivi,
decisi di far vibrare le rimanenti vocali (per un numero di cinque volte
consecutive, una per ogni incontro) e di far ogni volta concludere
l'esercizio evocativo sensoriale, con la lettera U (emessa per tre volte).
Nella seconda fase dell'esperimento, quando le persone si trovarono ad
operare tenendo gli occhi aperti
feci utilizzare il suono
AUM,
ritenendo che potesse favorire un migliore stato d’animo e che potesse
condurre i differenti soggetti, in una dimensione simile a quella che
avevano sperimentato all'inizio, quando avevano disegnato tenendo gli occhi
chiusi.
I singoli partecipanti, infatti, quando disegnarono per la prima volta ad
occhi aperti, tutti (tranne uno) riferirono che:
|
erano riusciti a
mantenere la sensazione interiore di libertà |
|
il suono AUM aveva
creato in loro una serie di sensazioni particolari che avevano favorito
la creazione del lavoro grafico pittorico |
|
le persone che non avevano mai disegnato né dipinto (venti su
ventitré), produssero opere grafico pittoriche, alcune davvero
artistiche, tutte assolutamente armoniose nell'accostamento dei colori
|
Negli incontri finali, ogni persona doveva trovare
da sé la capacità di concentrarsi, doveva entrare in contatto (almeno
tentare) con la parte più intima della propria psiche, senza la mediazione
degli esercizi di respirazione controllata (quando guidavo io il
rilassamento fisico), delle evocazioni sensoriali, del sottofondo musicale.
Negli ultimi due incontri, dopo aver terminato di eseguire il lavoro grafico
pittorico e aver riferito per iscritto quel che avevano interiormente
vissuto, tutti i partecipanti, dovettero anche rispondere (per iscritto) ai
seguenti quesiti:
-
Cercate di descrivere il mutamento che in voi è avvenuto, quale tipo di
crescita interiore, avete realizzato con questo esperimento
-
Descrivete il Sé.
I dati che
furono raccolti nel corso della sperimentazione, diedero conferma alla
totalità delle mie ipotesi; di seguito andrò ad elencare i risultati da me
ottenuti. Potei stabilire che gli strumenti introspettivi, utili per
ottenere un maggiore potenziamento dell’emisfero destro del cervello, sono:
|
l’utilizzo di un esercizio di rilassamento psicofisico |
|
l’utilizzo vibratorio delle vocali |
|
l’ascolto di specifici brani musicali |
Per quanto concerne l’utilizzo delle vocali, dalla
sperimentazione emerse che il suono della propria voce, unito ad altre, crea
un risultato maggiormente suggestivo perché l’effetto di risonanza (anche
interiore), è sostanzialmente amplificato. La sperimentazione, seppur
semplice, dimostrò che lavorare in gruppo, non soltanto amplifica l’effetto
di risonanza, ottenuto tramite la vocalizzazione sensoriale, ma fortifica le
singole volontà perché differenti soggetti, pur lavorando singolarmente,
sono maggiormente stimolati dalla consapevolezza d’avere uno scopo comune.
In merito al tipo di musica
che può favorire la concentrazione e aumentare la creatività, potei
stabilire che, tra i differenti brani musicali utilizzati nel corso della
sperimentazione, quelli che favorirono un maggiore sviluppo dell’emisfero
destro del cervello, sono:
|
la musica classica,
soprattutto autori come Mozart, Beethoven, Brahms |
|
il canto gregoriano |
|
le ragas indiane
e brani musicali di autori dell’India, Cina, Giappone |
Potei inoltre verificare che specifici “suoni” procurano effetti uguali,
anche in persone a cui non è mai stata impartita una preparazione tecnica o
data una informazione culturale specifica (in particolare mi riferisco al
suono AUM) e/o archetipica. La sperimentazione evidenziò anche quanto segue:
i differenti partecipanti all’esperienza, che al principio (quando dovevano
disegnare ad occhi chiusi) avevano temuto di non riuscire a tradurre in
immagini, segni e colori, ciò che la creatività suggeriva loro (tramite
impulsi emozionali e visualizzazioni pressoché oniriche), furono invece in
grado di disegnare ed ogni volta sempre meglio perché anche in loro (come
nel mio caso) era stato attivato (o amplificato) un ulteriore canale
percettivo. Nessuno dei soggetti si costrinse o fu obbligato a svolgere il
proprio personale lavoro; in realtà, questa particolare esperienza, permise
ad ogni singolo partecipante di sentirsi libero e di incontrarsi con parti
intime, mai prima conosciute. Infine, in
merito all’utilizzo consapevole della volontà, l’esperimento evidenziò
quanto segue:
|
tutti i partecipanti,
affermarono di avere avuto grande beneficio dall'esperienza
|
|
tutti i partecipanti,
compirono un consapevole atto di volontà, nel decidere d'essere sempre
presenti, salvo motivi davvero gravi |
|
tutti i partecipanti,
compirono un consapevole atto di volontà, accettando di lasciarsi
guidare dalla mia persona, avendo fiducia ed eseguendo tutto quanto era
stato specificato nel programma |
|
tutti i partecipanti, nei
commenti scritti che dovettero stilare fin dal principio, evidenziarono
con loro grande sorpresa che "per la prima volta si sentivano se
stessi, avevano coscienza del loro io che sentivano distaccato dal loro
corpo" |
|
tutti i partecipanti,
dichiararono che l'essere entrati maggiormente in contatto con il
proprio Sé, aveva "modificato la loro vita", naturalmente in
meglio |
|
tutti i partecipanti,
constatarono che la volontà è pura consapevolezza, è conoscenza
profonda di ciò che realmente appartiene ad ogni persona |
Sia a seguito di quella prima sperimentazione (ma
ancor di più dopo aver condotto vari seminari),
potei definitivamente stabilire che, un simile metodo può essere utilizzato
non solo per fini artistici (meramente estetici) ma anche come metodo
autoterapeutico e terapeutico. Questo metodo può essere d'aiuto a chiunque e
qualsiasi persona, anche chi non ha mai disegnato né dipinto, può
sperimentarlo su se stessa e riconnettersi alla parte più intima del proprio
essere, perché lo scopo principale non è la realizzazione di un buon lavoro
pittorico. Tramite questa semplice pratica, si può giungere ad avere
maggiore controllo sulle proprie emozioni, in particolare possono trarne
beneficio le persone che hanno problemi psicologici quali: instabilità
caratteriale, ansia, paura della morte. Quello che ho fin qui esposto, mi
permette di sostenere che l’arte visiva muta sostanzialmente, quando è
praticata in stato di rilassamento psico-fisico, unito all’ascolto musicale,
più precisamente in un maggiore stato di attenzione interiore e
conseguentemente esteriore. Se non avessi creduto di sapere di non sapere,
se non avessi avuto il coraggio di credere che in me vi era molto di più di
quanto avevo fino ad un precedente momento compreso, ma soprattutto se non
avessi desiderato di comprendere realmente chi sono (anche in pittura), non
avrei mai cambiato i miei interessi culturali, artistici, filosofici,
psicologici e non sarei stata in grado di far vivere la stessa esperienza ad
altre persone. A testimonianza di quel che ho fin qui sostenuto, concludo
con la trascrizione integrale di parti dei brani più significativi, scritti
da alcuni partecipanti all’esperimento;
in essi si evidenzia che qualunque persona, può riuscire ad amplificare la
propria creatività e intuizione (che potrà esser sviluppata nel campo ad
essa più congeniale). Per prime ho trascritto le riflessioni relative al
suono AUM autoprodotto, ad esse seguono considerazioni sull’ascolto di brani
musicali, infine quelle relative a quelli che furono ritenuti, significativi
cambiamenti esistenziali interiori:
|
“….pronunciando il suono AUM ho provato una sensazione di
musicalità estremamente lirica, ho udito un coro di elevata armonia che ha
accentuato una sensazione di perfetto equilibrio”. |
|
”….l'AUM ha prodotto in me sensazioni che mi hanno fatto intuire
misteri nascosti”. |
|
”l'AUM mi ha messo in contatto con qualcosa di primordiale, di
molto vicino alle origini del mio Io, quasi fosse una delle prime forme di
emissione vocale, tipica dei bambini ma anche dei primitivi”.
|
|
“….la musica che stasera ha fatto da sottofondo è magica, dolce,
lieve, mi ha portata con lo spirito in alto. E' questa una poesia musicale
che vorrei percepire ovunque. La vorrei respirare, vedere, creare questa
armonia che abbiamo in noi perché, come sappiamo creare alcune nostre
espressioni artistiche, dovremmo essere così in tutto ciò che facciamo.
Questi stati d'animo belli, mi staccano dal mondo materiale, mi liberano dal
vivere e dal considerare unicamente i problemi terreni, oggi vi includo
altre realtà. Questo tipo di musica, a mio parere, non è nata da una persona
qualunque, prettamente materialista, perché è una musica che dà una
sensazione di libertà, che stimola benessere anche fisico, sempre attuale,
senza tempo né età. E' un bene per chi l'ascolta perché trasmette sentimenti
d'amore, innalza l'essere umano e lo fa divenire un angelo. Mi ero quasi
dimenticata di quanto possiamo essere belli ed aggraziati anche solo usando
la voce”. |
|
"….la musica extraeuropea ha un potere molto forte su di me,
riesce ad impormi la concentrazione e a farmi entrare in una dimensione
inedita, popolata di frammenti, di segni lontani, riconoscibili solo dalla
sensibilità. L'occhio non interviene, per una volta non interferisce
deformando le immagini, abbandona il suo potere sull'espressività".
|
|
“….non è facile poter descrivere ciò che in me è avvenuto,
quello che sento, perché è stato ed è una cosa così vasta che non saprei
come descriverla. Molto importante è stato il capire che un cambiamento in
noi è fondamentale, in modo da potere espandere le nostre conoscenze a
livelli più spirituali, sul piano della ricerca individuale, tentando di
attuarle nella vita concreta, di tutti i giorni. Questo nuovo modo di
crescere mi ha portata a focalizzare i miei desideri, le mie aspirazioni,
facendomi meglio comprendere quale è il mio fine, gli scopi della mia
esistenza. Non avevo mai conosciuto persone che ne facessero una ragione di
vita di queste conoscenze. Mentre disegnavo, ho pensato molto a ciò che ho
letto sui testi di Assagioli e in questo periodo in particolare, a quanto
affermava Gurdjieff sui nostri comportamenti meccanici ed i vari
condizionamenti cui l'essere umano è da sempre costretto subire.
Fortunatamente, attraverso la nostra volontà, abbiamo la possibilità di
comprenderci maggiormente. Ho anche pensato al fatto che siamo divisi in
tanti io, mentre una volta pensavo al mio essere come a un tutt'uno. Questa
sperimentazione mi ha dato la possibilità di iniziare finalmente a conoscere
me stessa e gli esseri umani, ha cambiato il mio modo di vivere e di vedere
i fatti e le cose”. |
|
“….in questi
mesi ho provato un sollievo che ora è dentro me. Questa esperienza è
stata molto positiva, ma percepisco che è un punto di partenza verso un
universo senza confini, dove l'intuizione ha una grande importanza.
Questo "Essere" era già in me, aspettava d'uscire... Ora la porta
d'entrata è aperta, inizia l'esplorazione”.
|
|
“…… sento molto in me e negli altri il bisogno di unificare in
armonia, tutto ciò che compone il nostro patrimonio interno. Il Sé, per come
lo sento e lo vivo, è uno stato superiore perché si eleva al di sopra di
ogni mio modo d'essere. Osservo obiettivamente i miei sentimenti e il mio
modo di pensare, è come una lente che vede in scala più reale e per fortuna
meno confusa, l'insieme di conoscenze ed esperienze che faccio”.
|
|
“….ho capito che può essere costruttivo cercare di comprendere i
miei "Io". Se non capivo come sono fatta e da quante parti è formato il mio
mondo interiore, non potevo vivere in salute, anzi continuavo a creare
conflitti che ogni volta si ripetevano invariati, con gli stessi contenuti.
Sai come si fa, spesso reprimi qualcosa e ti ritorna alla superficie con più
forza, magari in altre situazioni, ma con gli stessi significati ... Questo
"Sé" che abbiamo la fortuna di possedere, ci può dare un aiuto incredibile,
per capirci e per evitare di usare male le nostre emozioni negative o
inutili, ci salva dall'essere in alto mare, senza potere usare nessun mezzo
per guidare questa nostra macchina potente verso una meta precisa”.
|
|
"…. La mia vita sta cambiando perché io sono il centro del mio
essere. Commentare il mio disegno? Non so perché ho fatto quei segni,
l'unica certezza che ho è che questo disegnare mi fa tanto bene".
|
Sinfonia
n° 9 “Corale” |
Beethoven |
Sinfonia
n° 5 |
Beethoven |
Sinfonia
n° 3 “Eroica” |
Beethoven |
Concerto
per piano n° 4, Op. n° 58 |
Beethoven |
Sinfonia
n° 7 |
Beethoven |
Sonata
n° 29B, Op. n° 106 |
Beethoven |
Le
Quattro Stagioni, concerto n° 3 |
Vivaldi |
Serenata
K 250 |
Mozart |
Concerto
n° 21, per pianoforte, K 467 |
Mozart |
Serenata
“Eine Kleine Nachtmusik” |
Mozart |
Il
Flauto Magico (pagine scelte), 2 - |
Mozart |
Magnificat BWV 243 |
J. S.
Bach |
La
Boheme |
Puccini |
Overtures |
Rossini |
Ragas,
Talas Improvvisation |
R.
Shankar & Alla Rakha |
Passages |
R.
Shankar - P. Glass |
Inside
The
Kremlin |
R.
Shankar |
Homage
To Mahatma Gandhi |
R.
Shankar |
Himalaya
Bells |
(autori
a me scono-sciuti) |
Chant
Gregorien - Monodies Medievales |
Dir. A.
Deller |
Chant De L’Eglise Milaneise |
Dir. M.
Peres |
La Messe De Morts - Le Funerailles |
I.
Forschungsbereich |
All For
You |
Shankar |
Vision |
Shankar |
The End
Of Asia |
R.
Sakamoto - Danceris |
Neo Geo |
R.
Sakamoto |
Making
Music |
Z.
Hussain, Chaurasia, Mc Laughlin, Garbarek |
Darkness And Light |
S. Micus |
Spirits |
K.
Jarrett |
G. I.
Gurdjieff -
Sacred Himns |
K.
Jarrett |
Concerto
Di Colonia (1 e 2 parte) |
K.
Jarrett |
Chariot
Of
Fire |
Vangelis |
Delicate
Sound Of Thender |
Pink
Floyd |
Hosianna
Mantra |
Popol
Vuh |
Power
Spot |
J.
Hassel |
Music Of
18 Musicans |
S. Reich |
Broadcasters Vol. n° 2 |
Billie
Holiday |
My
Baby Just
cares For Me |
Nina
Simone |
Mister B |
Chet
Baker
Quintet |
Migration |
D.
Crusin |
Bessle’s Blue |
C. Corea
Akoustic Band |
Tallest
Trees |
M. Davis |
Tavola n° 1
NOTE
A PIE' DI PAGINA
L’emissione sonora delle vocali contribuisce a sviluppare le onde
Theta, le quali alimentano la produzione della creatività. Secondo
la tradizione esoterica orientale, ad ogni vocale viene attribuito
un colore ed un significato emozionale.
Il suono può anche causare cambiamenti negativi, rumori forti come il fischio di un
treno, quelli prodotti in fabbrica o da un jet, possono svuotare
il corpo. Una frequenza acuta, alta, stridente come quella
provocata da una sega che ronza vicino all’orecchio (probabilmente
anche il trapano del dentista) può causare mal di testa improvvisi e
gravi squilibri. I suoni a bassa frequenza possono anche
invadere il corpo, perforare il timpano e causare stress,
contratture muscolari e dolore. Il Rrad, o disturbi emotivi
da rock’n’roll, si manifesta con la diminuzione della
naturale capacità di sentire e un aumento di stress, ansia,
stanchezza.
Significato delle singole vocali - Le attribuzioni di seguito
elencate sono indicate dalla Biopsicosintesi (Associazione
culturale sorta con l’approvazione di Assagioli) e dalla
Psicosintesi; Roberto Assagioli a sua volta, nell’elaborazione
dei suoi modelli psicologici e nella pratica dei suoi insegnamenti,
si rifaceva agli insegnamenti impartiti nelle Scuole Spirituali
Esoteriche Occidentali ed Orientali.
|
Lettera U
-
Corrisponde al colore BIANCO e NERO che vengono associati a:
creatività, sintesi (Yin e Yang, Tao, Infinito). Nel pronunciare il
suono di questa lettera è utile visualizzare immagini quali: luce e
buio, neve e carbone spento, marmo e lavagna, perla bianca e perla
nera. |
|
Lettera O
-
Corrisponde al colore BLU e si associa a: senso di gioia,
allargamento o espansione della coscienza, entusiasmo fiducioso. Nel
pronunciare il suono di questa lettera è utile visualizzare immagini
quali: cielo, mare. acqua marina (pietra preziosa). |
|
Lettera A
-
Corrisponde al colore ROSSO e si associa a: vitalità, aggressività,
erotismo, dinamicità, solennità. Nel pronunciare il suono di questa
lettera è utile visualizzare immagini quali: fuoco, fiamme, carbone
acceso, rosa (fiore) scarlatta, lava infuocata, rubino (pietra
preziosa, porpora scarlatta). |
|
Lettera E
-
Corrisponde al colore GIALLO e si associa a: crescita, attività
mentale, vitalità. Nel pronunciare il suono di questa lettera è
utile visualizzare immagini quali: Sole, grano maturo, topazio
(pietra preziosa), crosta di pane. |
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Lettera I
-
Corrisponde al colore VERDE e si associa a: calma, armonia,
distensione, serenità. Nel pronunciare il suono di questa lettera è
utile visualizzare immagini quali: prato, albero, smeraldo (pietra
preziosa). |
Secondo gli insegnamenti di altre tradizioni culturali, in
particolare quella Orientale, il suono delle vocali corrisponde alle
seguenti specifiche parti del corpo:
|
Lettera U - fondo spina dorsale, Mooladhara o Chakra
sessuale, energia Kundalini |
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Lettera O - addome, Naby o chakra del Plesso Solare
|
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Lettera A
- cuore, Ananhat o chakra del cuore, emozioni
|
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Lettera E
- gola, Vishuddi o chakra della gola, comunicazioni
|
|
Lettera I - testa, Agnya o Terzo Occhio, Sahasrara o chakra posto sulla
sommità del capo; energia extrasistemica. |
In
quell’epoca, il corso era suddiviso in ore settimanali ed in ogni
incontro avevo programmato di fare vibrare una singola vocale.
In quest’ultima fase, ogni persona doveva cercare di rilassarsi
senza essere guidata dalla mia voce, restando in silenzio per almeno
quindici minuti. In realtà, i soggetti che seppero mantenere un
maggiore silenzio interiore o attenzione, vi rimasero per nove
minuti circa, tutti gli altri per un tempo notevolmente minore.
Ciononostante, tutti i partecipanti all’esperimento, produssero con
grande serenità il lavoro pittorico ed anche il commento scritto.
Note musicali e chakra -
Secondo alcune scuole spirituali, gli
strumenti che favoriscono il maggiore riequilibrio energetico sono:
1) violoncello; 2) violino; 3) organo; 4)
piano. Sia la scuola esoterica orientale che quella occidentale,
ritengono che ai singoli giorni settimanali corrispondono le
sequenze musicali in chiave di SOL. Secondo queste teorie, l’ascolto
di brani musicali, corrispondenti alle specifiche tonalità
giornaliere favorisce un maggiore riequilibrio psicofisico. Le
medesime scuole affermano, che vi è corrispondenza tra le note
musicali ed i colori dell’aura umana, nelle differenti polarità
femminile e maschile. In genere, le tonalità minori sono femminili,
quelle maggiori maschili: DONNE, colore giallo nota DO; colore
azzurro nota MI; colore rosso nota MI. UOMINI, colore giallo nota
MI; colore azzurro nota SOL; colore rosso nota DO.
Potei inoltre e conseguentemente stabilire che questo tipo di
esercitazione, necessita di un numero minimo di tre - cinque
persone.
I brani musicali utilizzati nel corso della sperimentazione
(comprensiva di singoli incontri settimanali), furono quelli
trascritti nella tavola n° 1.
Numerosi studiosi hanno accertato che la musica classica,
minimale, ragas e il canto gregoriano, oltre a favorire stati di
maggiore concentrazione, accentua particolari stati d'animo o li
attenua perché evoca emozioni o ricordi. Più specificatamente, essa
ha un effetto tonificante, pulente, su ogni singola parte del corpo,
della mente, della sfera emozionale, è quindi per questo motivo, un
ottimo strumento di guarigione fisica e spirituale. L’autore che ha
maggiormente composto opere che hanno questo specifico effetto è
W. Mozart. La maggior parte di studiosi che si occupa
degli effetti che la musica ha sugli umani, animali e piante, è
concorde nell’affermare che, più di tutte, le opere di Mozart
invariabilmente rilassano, migliorano la percezione spaziale e
permettono di esprimersi più chiaramente, comunicando sia col
cuore che con la mente. I ritmi, le melodie e le alte frequenze
della musica di Mozart stimolano e caricano le aree creative e
motivazionali del cervello). Anche tra le opere di L. W.
Beethoven, J. Bach, Mendelssohn,
Paganini e altri, si ritrovano brani che hanno effetti altamente
terapeutici. E’ stato ampiamente dimostrato scientificamente che la
musica, soprattutto quella di Mozart e dei suoi contemporanei, ha
effetti sbalorditivi sulla creatività, sull’apprendimento, sulla
salute e sulla guarigione. Ad esempio in certi Monasteri della
Bretagna i monaci fanno ascoltare musica ai loro animali perché
hanno scoperto che le mucche trattate con Mozart, producono
quantità maggiori di latte. A Washington, presso il
Dipartimento dell’Immigrazione, ai nuovi arrivati dalla Cambogia,
dal Laos e da altri Paesi asiatici, durante le lezioni di inglese,
veniva fatta ascoltare musica barocca, perché sembra che
acceleri l’apprendimento. Al Saint Agnes Hospital di Baltimora,
i malati nei reparti di terapia intensiva ascoltano musica
classica, perché il primario dell’unità coronarica, Raymond Bahr,
ha potuto osservare che “mezz’ora di musica produce lo stesso
effetto di dieci milligrammi di Valium”. Infine, una ricerca
dell’Università della California, condotta negli anni
Novanta, presso il Centro di Neurobiologia
dell’apprendimento e della memoria di Irvine, ha
potuto stabilire che la musica di Mozart produce effetti eccezionali
sui bambini e sugli studenti universitari. Anche il fisico teoretico
Gordon Shaw ha affermato che “la musica complessa facilita
certe complesse operazioni neuronali coinvolte nelle attività alte
del cervello, come la matematica e gli scacchi. La musica semplice e
ripetitiva, invece, potrebbe avere l’effetto opposto”. All’interno
dell’opera “The secret Life of the Unborn Child, Thomas Verny,
cita esperimenti scientifici che hanno dimostrato che i feti
preferiscono Mozart e Vivaldi ad altri compositori, sia nei
primi mesi di gravidanza che alla fine. Negli anni Ottanta alcuni
ricercatori, Psicologi del Pacific Medical Center di San
Francisco, scoprirono che suonare “Twinkle, Twinkle Little Star”
(motivo che ispirò a Mozart una serie di variazioni) e “Hickory,
Dickory Dock” aiuta i bambini ricoverati a non scalciare e a non
piangere. Infine, Terry Woodford, produttore musicale dei
Temptations e dei Supreme, ha prodotto un nastro di ninne nanne che
rimandavano al suono del battito cardiaco umano, da usare per
calmare lattanti e bambini e aiutarli a dormire meglio. Occorre
precisare che non è necessario udire per ascoltare; parecchi
famosi musicisti erano sordi ed anche se non potevano sentire
con le orecchie, erano in grado di sentire codici e schemi ritmici
grazie alle vibrazioni che percepivano con le mani, le ossa o altre
parti del corpo. Alcuni famosi musicisti che soffrono o hanno
sofferto di sordità o di difetti dell’udito - oltre a Ludwig van
Beethoven che scrisse e diresse le sue più importanti opere
quando era completamente sordo – ci sono Brian Wilson dei Beach
Boys e Bedrich Smetana (compositore Ceco) ed il celebre
tenore italiano Caruso. Ciò che è indispensabile capire, per
quanto concerne il suono (ma anche tutto ciò che ci circonda) è che
in genere la nostra capacità di ascoltare è condizionata dalla
salute quotidiana e dallo stato mentale e può, a sua volta, avere
effetti su di essi. Secondo il notissimo studioso Alfred Tomatis,
le frequenze musicali più alte, udite anche a piccole dosi, aiutano
ad attivare il nostro cervello e ad aumentare l’attenzione.
VIVERE NON BASTA -
Conferenza tenuta
in Bologna il 19 Gennaio 2006, organizzata dalla Associazione Italiana di Biopsicosintesi (Bologna)
Alcune delle persone che come me hanno deciso di vivere nella Realtà, in
certi momenti del loro esistere ordinario, ovvero meramente esteriore e
materialistico, hanno dovuto sopportare esperienze estremamente dolorose,
calibrate secondo il loro personale stadio evolutivo interiore.
Chi
si mantiene stabilmente in contatto con la propria intima Essenza (ai più
sconosciuta nella sua totalità anche se da molti chiamata Anima),
necessariamente e con scadenze periodiche, è solito compiere una
rivisitazione di quel che ha esperito, per verificare quali esagerati e
sicuramente antichi automatismi ancora lo invadono e continuano ad
ostacolare il suo personale cammino spirituale, e quali nuove
identificazioni sono sorte, per rafforzare quelle presenti fin dalla più
tenera età. E’ in uno di questi tanti momenti che mi sono nuovamente trovata
a considerare che vivere ordinariamente non basta. In tempi recenti,
alle personali scoperte interiori fatte molti anni fa, ho aggiunto le
seguenti constatazioni:
|
Sono sempre e maggiormente consapevole della illusorietà
del vivere quotidiano e della mia personale difficoltà a mantenermi,
giornalmente, in uno stato interiore di attenzione consapevole. |
|
Quotidianamente osservo la decadenza del mio corpo, il
quale crea ulteriori ostacoli al mio maggiore sviluppo interiore, in
particolare gli squilibri ormonali e gli scompensi dovuti alla pressione
sanguigna, che a volte affaticano il mio cervello e mi fanno agire
fisicamente con maggiore lentezza. A questo marasma fisiologico, si
aggiunge la tensione emotiva, perfettamente controllata ma pur sempre
esistente, generata anche dall’aver scelto, da molti anni, di vivere in
solitudine. |
|
Infine, il distacco nei confronti di quella che è
considerata una naturale esperienza, uguale per la maggior parte degli
umani, prodigarsi per produrre denaro per se stessi e
conseguentemente per la società, mi ha obbligata a vivere con molta
parsimonia, rinunciando spesso a ciò che, per la gran parte di umani, è
elementare conquista. |
Questo non vivere, non esistere esteriormente (secondo i canoni della
morale attuale), non ha mai adombrato quell’intimo e stabile nucleo interno,
che mi ha fatto sempre sentire vincente e negli anni mi ha permesso di
mutare, qualitativamente e sostanzialmente, in meglio. Ciò che in me è
sempre attivo, vigile, sveglio anche se a volte insoddisfatto, mi induce
giornalmente a ripetere con me stessa:
Non ho
sbagliato a vivere come il mio Sé (la mia Anima) più gradisce.
Questa sorta di Mentore interiore, non ha nulla a che fare con la mia vita
ordinaria, è sempre stato in me ed ha preso maggior coraggio, si è fatto
ancor più sentire quando, grazie all’Avvocato Sergio Dati, scoprii nelle
teorie psicologiche illustrate nei libri di Roberto Assagioli e George I.
Gurdjieff, la ragione fondante del mio profondo Essere.
Nel
corso di mirabili e illuminanti conferenze, condotte fin dagli anni ’80, il
Presidente dell’Associazione Italiana di Biopsicosintesi, rendeva note le
teorie psicologiche che in me producevano un singolare effetto: quel che
apprendevo mi era familiare, qualcosa in me ricordava e mi diceva che tutto
quanto stavo imparando, aveva un fondamento reale.
Saper
parlare alla mente e contemporaneamente al cuore, è stata una fondamentale
caratteristica (indispensabile per la comprensione orale) che mi ha
trasmesso Sergio Erasmo Dati; è questa la ragione per cui lo considererò
sempre, il mio primo ed unico Maestro, il mio Guru, anche se non ho mai
vissuto con lui a strettissimo contatto, in un ashram.
Non è
infatti necessario vivere in luoghi simili, per diventare maggiormente
consapevoli, per svegliarsi, per vivere realmente.
Fin
dalla più tenera età e, sicuramente dai sei anni in poi, in me c’era
qualcosa (o qualcuno) che mi induceva ad osservare la realtà, in modo
diverso dai miei coetanei.
Questo speciale ente interno, durante l’adolescenza mi convinse che non è
sufficiente vivere unicamente per raggiungere i traguardi dei quali, in
particolare la società occidentale pare non poter fare a meno.
Fin
da allora compresi che l’uomo e la donna ordinari, si contentano di esistere
in uno stato psicologico “meccanico”; entrambi trovano estremamente
difficile compiere sforzi e sacrifici che invece contribuirebbero a renderli
veri testimoni della propria esistenza e di quella altrui.
Sostanzialmente, l’agire quotidiano di colui o colei che a tutti gli effetti
può esser considerato “risvegliato (risvegliata)” in alcuni casi “illuminato
(illuminata)”, si differenzia per quanto segue: la persona risvegliata,
compie sforzi consapevoli, non unicamente miranti alla propria realizzazione
socio-economica (identica a quella di ogni comune mortale), ma per
riconnettersi a quella parte, presente in ogni persona ma generalmente a
tutti sconosciuta o rare volte percepita.
Dovrebbe ormai essere chiaro che, con l’affermazione “vivere non basta”,
intendo sostenere che:
vivere passivamente, nella illusoria convinzione d’essere eterni
(rimandando gran parte dell’agire quotidiano, ma soprattutto la conquista di
quel che a tutti dovrebbe interessare di più: conoscere se stessi), in
realtà è identico all’essere non presenti, ad essere uno Zombie (come
sosteneva Gurdjieff), una macchina priva di coscienza.
La
differenza tra un individuo ordinario, che può esser definito un “tipo
psicologico numero Uno” (unicamente attratto dai valori materialistici) e la
persona risvegliata che può esser definita un “tipo psicologico numero
Quattro”, può essere sintetizzata dai seguenti quesiti: “Perché sono
nato, perché esisto, perché dovrò morire?” In definitiva: “PERCHÉ
SONO QUI?”.
La
persona numero Quattro, si è posta queste domande più volte e, fino alla
fine della sua esistenza, non smetterà di chiedersi se ha davvero compreso
la ragione del suo attuale esistere.
La
maggior parte degli individui invece esiste, ma non sa perché ed anche se
non è interiormente soddisfatta, si limita ad aderire soprattutto ai modelli
esistenziali dettati da altri.
Avendo ormai raggiunto l’età della saggezza, finalmente posso pubblicamente
affermare, senza temere d’essere considerata esageratamente presuntuosa, che
da svariati anni ho compreso teoricamente e sperimentato concretamente, i
metodi psicologici assagioliani e gurdjieffiani e anche quelli descritti
nelle antiche scritture indovediche.
Per
questa ragione, da molto tempo, quotidianamente assumo con me stessa e con
il prossimo (ed in particolare con le poche persone che fino ad oggi ho
considerato “allievi”) specifici atteggiamenti interiori ed esteriori, che
mi permettono di avere la mente attenta e il cuore disponibile, di essere
viva.
Lo
studio dei testi scritti da personalità quali Roberto Assagioli, G. I.
Gurdjieff, P. Yogananda (ovviamente e per fortuna, ve ne sono molti altri,
cito questi autori perché per me furono i primi ad “illuminarmi”), mi ha
dato coraggio nel portare avanti quella che, fino ad oggi ho considerato una
delle mie fondamentali missioni esistenziali: - trasmettere le mie
conoscenze ed esperienze, a coloro che desiderano ardentemente, entrare
maggiormente in contatto con il proprio Sé.
Sono
stata maggiormente incoraggiata a mantenermi stabile in questa altruistica
intenzione, in questa speciale missione umanitaria, ogni volta che ho
appreso che, anche questi grandi Uomini, veri benefattori dell’umanità,
hanno riscontrato le mie stesse difficoltà e provato identiche delusioni,
nel tentativo di trasmettere ai loro studenti (perfino) le elementari basi,
necessarie per poter diventare un umano.
La
mia volontà, buona e per ciò consapevole, fino ad oggi si è conseguentemente
rafforzata, sia nel mantenere stabile in me il desiderio di vivere con
sempre maggiore obiettività e con minor automatismo, sia nel tenere alta la
voglia di continuare a combattere (quasi io fossi un resuscitato Don
Chisciotte) contro la “ottusità” dei miei studenti o di quanti mi hanno,
seppur temporaneamente, scelta come consulente spirituale.
Questo particolare sentire interiore, mi ha convinta che è giusto sostenere
la guerra di quanti desiderano utilizzare strumenti introspettivi, che
permettano di governare dannose e in alcuni casi quasi letali,
identificazioni (o falsi io).
La
volontà d’aiutar chi vuole entrare in guerra, principalmente con se stesso,
in me si mantiene stabile perché non è unicamente stimolata dall’ego.
Questo impegno, infatti, a volte è maggiormente gravoso perché
quotidianamente sono occupata nell’esercizio che mi permette di mantenere la
mente attenta e il corpo “attivo”. Questa pratica, diviene particolarmente
difficile nei momenti in cui, pur essendo invasa dalle emozioni, generate
dal quotidiano esistere, mi prodigo affinché l’emotività, non offuschi
completamente il mio totale essere.
Sottolineo ciò perché desidero sia chiaro che, se si vuol vivere nel mondo
reale, non ci si può permettere di dimenticarsi di se stessi; nessun
illustre illuminato, ha mai raccontato che si può smettere di essere vigile
e a maggior ragione, non lo può fare chi si assume il responsabile ruolo di
guida o consigliere spirituale.
Tramite un lento e faticoso esercizio quotidiano, ci si può quindi mantenere
“svegli”, più precisamente stabili nel periglioso cammino che, se ben
intrapreso, conduce a scoprire se stessi.
Il
principale strumento introspettivo, da me utilizzato per mantenermi il più
possibile attenta, è fondato sul principio della chiarezza. Tramite
essa mi è possibile sostenere la lotta quotidiana, contro la più grande
abilità umana: “la preziosa arte del mentire soprattutto a se stessi”.
Si tratta di un metodo che applico anche con quanti si rivolgono a me, per
esser aiutati a raggiungere la stessa meta.
Utilizzo l’osservazione e la chiarezza espositiva non violenta;
ciononostante, al principio, il mio parlare, da alcuni può essere inteso
come mancante di diplomazia e da altri aggressivo.
Questa iniziale incomprensione, si verifica
perchè i miei interventi, si concretizzano soprattutto nei momenti in cui,
una persona è in grado di poter ricevere una “informazione” che riguarda la
sua particolare individualità. In genere, in quel preciso momento, la
persona non accetta di scoprire in sé, quello che spesse volte ha criticato
negli altri. Solo in tempi successivi, quello specifico individuo comprende
che, in me non c’è mai stata l’intenzione di ferire, di mostrare supremazia
nei suoi confronti e del prossimo in generale. Chi mi frequenta per lungo
tempo, constata che mai mi stanco di affermare che gli “automatismi”
esistenziali o subpersonalità (di ogni tipo), in egual maniera invadono
tutti gli individui (eruditi, analfabeti, ricchi, poveri e così via) e che
non bisogna mai dare per scontato nulla.
Gran
parte delle regole introspettive da me adottate, coincidono anche con gli
insegnamenti impartiti da Gurdjieff; si tratta di norme che possono essere
ricondotte ad alcune delle fondamentali “Otto Fasi” consigliate dal Buddha
storico, necessarie per un percorso etico formale. Quelle cui, in
particolare, mi riferisco sono le seguenti:
1
- Retta parola,
si deve essere sinceri con il prossimo sempre, astenendosi dalle critiche
inutili; io aggiungo che questo atteggiamento deve essere soprattutto
attuato al proprio interno. Già nel periodo Vedico, come regola
esistenziale, si raccomandava di amare il prossimo, di essere gentili e ben
disposti con tutti.
2
– Retto sforzo,
ogni attività quotidiana deve essere svolta cercando di dare il meglio di
sé, attraverso un perfetto controllo delle passioni, si tratta di un metodo
indicato anche all’interno delle antiche scritture indovediche.
3
– Retta concentrazione,
si deve imparare a concentrarsi su un oggetto, un punto oppure un’attività,
al fine di esercitare l’attenzione e attingere la conoscenza intuitiva.
Gurdjieff ai suoi allievi, consigliava di utilizzare ogni
mezzo pur di mantenersi in costante stato autosservativo, di giorno e di
notte; era inoltre solito far vivere loro, particolari “choc addizionali”
(stress) che coinvolgevano la sfera fisica, intellettuale, emotiva. Anche
Assagioli, raccomandava la pratica di tecniche che stimolano la
concentrazione. In merito agli choc addizionali anche io, spesse volte
agisco come Gurdjieff (mi riferisco alla motivazione che mi induce ad
adottare specifici comportamenti). Questo speciale metodo “educativo”
permette di realizzare interessanti modificazioni della personalità,
soltanto nello studente che adotta in sé un adeguato sentimento di umiltà,
che ha reale desiderio di imparare; invece la persona carente di volontà
buona, per raggiungere un adeguato equilibrio interiore, più di altri
studenti, dovrebbe essere a stretto contatto con l’insegnante.
4 - Retto raccoglimento interiore; si tratta di una pratica meditativa (conosciuta come
Samadhi, termine tratto dallo Yoga) condotta con estrema consapevolezza
e nel totale dominio di se stessi. Questa è una delle pratiche più difficili
da attuare.
L’insegnamento relativo all’autoconoscenza
attribuito al Buddha storico, comprendeva aspetti costruttivi ed altri
distruttivi; ai discepoli che gli ponevano domande metafisiche, egli
rispondeva con un nobile silenzio, si limitava a comunicare le nozioni utili
ai fini della liberazione dagli attaccamenti.
Di Gurdjieff è stato detto che era un
distruttore di false dottrine e concezioni moralistiche, come Buddha anche
Gurdjieff si dichiarava libero da opinioni.
Dove è possibile applico medesimi metodi,
sono inoltre molto attenta a non creare condizioni che inducano chicchessia
a dipendere da me, fin dal principio mi preoccupo di evitare la
strutturazione di transfert e contro transfert. Ciò in sostanza si
concretizza con comportamenti (veri choc addizionali per lo studente) nel
corso dei quali, a volte, offro il peggio di me, affinché la persona si
convinca che, per studiare se stessa, è necessario utilizzare la propria
buona volontà e non quella altrui.
La
maggiore difficoltà, incontrata da chiunque abbia deciso di intraprendere
percorsi di autoconoscenza, è solitamente generata dall’illusorio sentimento
di libertà, cui l’intera umanità aderisce. Ogni persona è convinta di agire
seguendo gli input del proprio volere, crede di essere consapevole perché
mangia, dorme, fa sesso, balla il tango, va a teatro, al cinema, guarda la
tivù, va in vacanza.
In
realtà, la maggior parte di azioni ed esperienze, una persona ordinaria le
realizza ad imitazione di quel che fanno gli altri. Tutti hanno chiaro che,
non sempre quel che è adatto ad un individuo, lo è anche per un altro.
Proprio perché l’umanità è essenzialmente suddivisa in differenti tipi
umani, si dovrebbe comprendere a quale tipo si appartiene e quali ulteriori
qualità dovrebbero esser sviluppate per sentirsi (mediamente) realizzati
interiormente.
Chiunque può essere in grado di comprendere che la maggior parte delle
azioni, del proprio quotidiano vivere fisico, emotivo e intellettivo, sono
automatiche. Tutti possono capire che vivere in questo modo, non basta per
poter affermare che si esiste, poiché l’agire ossessivamente ripetitivo, non
è vita.
Vi è
però una ulteriore e super illuminante scoperta, una delle più
significative esperienze che una persona si trova a vivere, se mette in
pratica l’insegnamento assagioliano e gurdjieffiano:
La persona seriamente
indirizzata spiritualmente, si accorge che è estremamente automatico,
illudersi di non illudersi.
Questa è la ragione per cui, quando si
intraprende questo speciale studio, si può incorrere in un banale errore,
che induce ad ipotizzare quanto segue: “Non ho più bisogno di studiarmi,
ho finalmente capito quel che ho letto sui libri, quel che ha spiegato il
tal oratore o insegnante; ho imparato e sicuramente non mi ripeterò più, non
agirò più automaticamente”.
E’ necessario aver chiaro che, per non
incorrere in ripetitive esperienze automatiche, quindi per mantenersi nello
stato di vita reale, non è sufficiente aver compreso teoricamente e neppure
praticamente, come funzionano gli umani.
Colui (o colei) il quale, illusoriamente
crede di non dover più osservare una sua specifica Subpersonalità (chiamata
anche “falso io”, identificazione, automatismo) perché l’ha scoperta, l’ha
individuata, cade nel più banale degli equivoci.
A conferma di quel che ho appena
evidenziato, è sufficiente ricordare che non è per nulla facile smettere di
fumare, di drogarsi, di ubriacarsi oppure di liberarsi da nevrosi ossessive.
Si tratta di identificazioni dannosissime, dalle quali è possibile
allontanarsi o non lasciarsi dominare completamente, se ci si impegna
nell’essere costantemente presenti a se stessi.
Anche gli psicologi che utilizzano le
tecniche della Terapia Cognitivo Comportamentale, utili per risolvere
nevrosi ossessive e compulsive, attacchi di panico e ansia, utilizzano una
metodologia che è strettamente connessa, con quel che ho fino ad ora
sostenuto.
Gli psicologi che impiegano il metodo
cognitivo-comportamentale sostengono che la persona che è prigioniera di
ossessioni, deve innanzi tutto considerarsi malata. É altrettanto importante
che il soggetto si convinca che da questa malattia può guarire o migliorare
notevolmente, tramite la costante osservazione dei propri pensieri e azioni
compulsive. Per riuscire ad essere meno aggrediti da pensieri ed azioni
prodotte automaticamente, la psicologia cognitivo-comportamentale utilizza
differenti strategie, tra le tante la più significativa è la seguente: si
deve considerare il problema “separato” dalla persona e avviare un vero e
proprio dialogo tra il disturbo e chi ne è affetto.
Questa procedimento ci rimanda ad Assagioli,
al metodo denominato di “Disidentificazione e auto-identificazione
dell’io" ( da
“L’Atto di Volontà” – Roberto Assagioli –
Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1977).
Per quanto concerne la mia esperienza,
sostengo che la metodica assagioliana, è estremamente efficace, a volte
ancora meglio di quella in cui (come nel caso della terapia
cognitivo-comportamentale) si applica la osservazione diretta del sintomo,
per ottenere un suo conseguente graduale controllo.
Per far meglio comprendere la veridicità di
quel che affermo, citerò un caso di nevrosi ossessiva compulsiva da
contaminazione, da me seguito.
Fin dal primo incontro, al fine di attivare
una maggiore attenzione consapevole, che permettesse al soggetto di creare
una adeguata distanza interiore dal sintomo, consigliai la stesura di un
diario; ipotizzai che questa persona avrebbe conseguito immediati risultati,
durante la stesura del diario, nel quale doveva descrivere dettagliatamente,
la subpersonalità che la induce, a lavare la quasi totalità del suo corpo,
ogni volta che si reca in bagno, per espletare le normali funzioni
corporali.
Questa persona, tramite l’utilizzo del
diario ha, per la prima volta (così ha sostenuto), avuto il desiderio
profondo di ribellarsi alla ossessione che la tiranneggia da oltre venti
anni. Ha potuto verificare (anche matematicamente) quanto tempo impiega per
compiere i giornalieri rituali di sterilizzazione; questo differente tipo di
osservazione che potrebbe esser definita consapevole, ha indotto questo
individuo a trasformare le fobie ed i sensi di colpa ad essi connessi, in
una rabbia propositiva che gli ha fatto decidere di ridurre il numero di
minuti, solitamente impiegati per l’elaborazione di pensieri ossessivi e la
conseguente esecuzione di atti compulsivi.
Per farvi meglio capire, come sia devastante
la cronica adesione ad un automatismo di natura emotiva che, nel caso di un
nevrotico ossessivo compulsivo medio grave, necessita di ripetuti
rassicuranti rituali, vi sintetizzo alcuni dei momenti salienti di una
giornata tipo che la persona cui mi riferisco è solita trascorrere. Per
realizzare la sua speciale pratica compulsiva, questa persona si allontana
da casa solo per recarsi al lavoro e per altre obbligatorie mansioni (fare
la spesa, rispettare gli appuntamenti presi con me, ecc.); le rimanenti ore
le trascorre all’interno della propria abitazione (in compagnia del suo
convivente), per poter liberamente lavare il proprio corpo e gli abiti. A
quella che può esser definita la sua principale attività, questo soggetto
dedica il tempo che più gradisce (in genere, ogni giorno, un minimo di tre
ore e oltre). Durante le ore lavorative, si reca sei volte in bagno, tre al
mattino e tre il pomeriggio; ogni volta dedica a questa operazione soltanto
cinque minuti perché dove lavora, nessuno è a conoscenza del suo disturbo;
in ufficio, a causa della “fretta”, spesse volte è solito uscire dalla
toilette, completamente bagnato, sia nell’abbigliamento intimo che in quello
esterno.
Il differente, seppur flebile atteggiamento
interiore (ottenuto tramite l’esecuzione del diario che permette di
osservare la subpersonalità che fa sorgere il dubbio di essersi sporcato),
fino ad oggi ha stimolato il soggetto ad avere un maggiore controllo sulle
sue emozioni. Il desiderio di frenare la paura è emerso durante i primi
dieci giorni, periodo in cui si è fortificata la spontanea necessità, di
dedicare minor tempo ai rituali che è solito compiere, mentre si trova
nell’apparente stato di veglia e che sospende soltanto quando il suo corpo
dorme totalmente.
In casi come questo, anche la famiglia (o
chi vive a stretto contatto con la persona) deve essere aiutata a
distaccarsi dagli input che le vengono inviati, affinché il malato moderi i
pensieri ed i comportamenti ossessivi (il malato ossessivo, chiede
continuamente rassicurazioni verbali, in alcuni casi domanda che si
partecipi all’esecuzione dei rituali o che vengano praticati per lui).
Realizzare questo tipo di distacco per
alcuni è difficoltoso; il familiare o amico teme che, smettere di
assecondare il disagio del proprio caro, possa essere interpretato come
mancanza d’amore. In genere, accade più facilmente che vi sia difficoltà ad
interrompere questo tipo di rapporto, perché la persona non malata, si è
identificata nel ruolo di consolatore, di rassicuratore e per questo motivo
(soprattutto agli inizi del trattamento) può opporre una seria resistenza,
prima di convincersi che, non aiutare più il proprio caro, significa amarlo
davvero.
Concludo sostenendo che non è errato
affermare che la nevrosi ossessiva, ovvero il prevalere sistematico di
comportamenti mentali e fisici (apparentemente innocui per il prossimo),
produce meccanismi psicologici identici a quelli generati dalla necessità di
assumere droghe o bevande alcoliche.
Non è neppure errato sostenere che,
potenzialmente, tutti gli umani sono psicologicamente malati, esattamente
come coloro che sono prigionieri di gravi nevrosi oppure sono dipendenti da
droghe o da alcol. La maggior parte dell’umanità è dominata da inutili
automatismi, non dannosi socialmente perché meno evidenti, ma ugualmente
pericolosi sul piano individuale. Ed è proprio l’illusione di essere liberi,
che spesso rende gli umani sciocchi perché fa loro credere d’essere
consapevoli, coscienti.
Spero che il mio argomentare abbia suscitato
il desiderio di cominciare a scoprire che cosa significa essere un umano; se
quanto vi ho fino ad ora riferito non è stato sufficientemente chiaro, me ne
dolgo e vi chiedo scusa citando Gurdjieff, nella speranza che le sue parole
possano ottenere un migliore effetto.
Nel corso di uno dei suoi rituali brindisi,
Gurdjieff spiegò ai propri allievi, quel che si teorizzava in una comunità
Sufi, a proposito della “Scienza dell’Idiozia” (da
“Idioti a
Parigi” – John G. & Elizabeth Bennett – Edizioni Mediterranee, Roma, 1996),
nel modo seguente: ” …. È stato tramandato dall’antichità un
metodo di insegnamento che consisteva nel tracciare il percorso
dell’evoluzione dell’uomo, dallo stato naturale fino alla realizzazione del
suo potenziale spirituale… Ci sono ventuno gradi dell’intelletto, da quello
dell’uomo comune fino a quello ….. di Dio. Nessuno può raggiungere
l’Intelletto Assoluto di Dio e solo i figli di Dio come Gesù Cristo possono
avere i due gradi di intelletto diciannovesimo e ventesimo. Quindi lo scopo
di ciascun essere che aspira alla perfezione deve essere di raggiungere il
diciottesimo grado…. La parola idiota ha due significati: il vero
significato, che le fu dato dagli antichi saggi, era essere se stessi.
Un uomo che è se stesso sembra e si comporta come un folle per coloro che
vivono nel mondo delle illusioni, così quando essi chiamano idiota un uomo,
intendono dire che non condivide le loro illusioni. Chiunque decida di
lavorare su se stesso è un idiota in entrambi i significati. Il saggio sa
che sta cercando la realtà. Lo stupido pensa che sia impazzito. Noi qui
presumiamo di cercare la realtà, quindi dovremmo tutti essere idioti: ma
nessuno può rendervi un idiota. Dovete sceglierlo voi stessi. Questo spiega
perché chiunque ci visiti qui e voglia rimanere in contatto con noi, può
scegliere la propria idiozia. Quindi noialtri desidereremo con tutto il
cuore che egli possa realmente diventare idiota”.
RISPETTO (dignità) DI SÉ
E DEI PROPRI SIMILI, NELL’ESISTERE E NEL MORIRE -
Conferenza tenuta
presso il Teatro Cantelli di Vignola (Modena) il 15 Giugno 2005
Mi è stato fatto osservare che, in
una relazione scritta, avrei dovuto evitare di inserire riferimenti
personali; non lo ho fatto perché è soltanto la propria esperienza che
permette di diventare consapevoli di uno specifico evento di natura
esteriore e/o interiore. Grazie alla personale esperienza, condivisa con
le mie sorelle Nadia e Teresa, sono stata stimolata a riflettere
maggiormente sulla dignità degli individui, che si trovino in stato di
salute oppure no e ad organizzare la
Giornata di
Studi
dal titolo "Dignità
dell'esistere e del Morire"
(il programma è nella pagina "Eventi Old").
Tung Men Wu,
vissuto a Wei, non si afflisse quando il figlio morì. Sua moglie gli
disse: “Nessuno al mondo Amava il proprio figlio quanto te, perché non
ti affliggi ora che è morto?”. Egli rispose: “Non avevo figli, e quando
non ne avevo, non mi affliggevo. Ora che è morto tutto è come prima,
quando non avevo alcun figlio. Perché dovrei affliggermi ora?” –
“Perché dovrei
affliggermi ora” - Osho Raineesh - Stampa Alternativa, 1992.
Premessa
Desidero precisare che si
è scelto di dare inizio al primo di una serie di eventi (nei quali la
dignità dell’esistere e del morire è uno dei principali temi) in
provincia, non perché nelle città gli spazi siano carenti; in
particolare a Bologna, dove è situata la sede legale di Klären, gli
spazi di proprietà delle Istituzioni, soprattutto a pagamento, è
possibile ottenerli con estrema facilità. La scelta di partire da
Vignola è stata generata dalla volontà di rendere un servizio anche e
soprattutto, nei luoghi dove spesso l’informazione è prevalentemente
locale. Sicuramente Vignola, così vicina a due importanti centri
cittadini (Modena e Bologna) non è isolata come invece lo sono altri
numerosi piccoli comuni. Qui, la Rocca è un grande richiamo turistico e,
in tempi recenti, più volte la si è vista in tivù, grazie ad una
pubblicità di prosciutti. Proprio nella Rocca di Vignola si era pensato
di realizzare questo evento; si era scelto tale luogo perché eravamo
venuti a conoscenza che la Fondazione Rocca di Vignola offre,
gratuitamente, l’utilizzo di alcune sale convegni per la realizzazione
di eventi culturali. Eravamo stati informati che in essa era perfino
stata organizzata una conferenza sull’Astrologia, antica disciplina
introspettiva che è sicuramente di grande interesse pubblico, anche se
spesso è utilizzata in modo distorto. Negli approcci iniziali (verbali)
parve che la Fondazione Rocca di Vignola fosse molto interessata ad
ospitare l’iniziativa promossa da Klären (infatti la data del 15 giugno
2005 fu decisa in base alle disponibilità delle sale convegni contenute
nella rocca); in tempi immediatamente successivi è invece accaduto di
veder verbalmente respinta la richiesta formale redatta per iscritto,
con la seguente motivazione: “Non si darà ospitalità all’evento
promosso da Klären perché il Presidente della Fondazione Rocca di
Vignola (oggi ex presidente), Signor Giorgio Cariani, ritiene
che gli argomenti che in detto evento saranno trattati, non sono di
rilevante interesse culturale, come potrebbe invece esserlo una mostra
di pittura, un recital di poesia, di letteratura”.
Sicuramente questo gentile Signore, ignora il fatto che il tema
riguardante la dignità dell’esistere e del morire, è da molto tempo al
centro di dibattiti nazionali, europei, internazionali e che, ad
esempio, in tempi recentissimi (4 maggio 2005) nella città di Roma si è
tenuto un simposio del quale facevano parte luminari di svariate
discipline, compresi i Filosofi ed i Politici. In quell’occasione, oltre
ad essersi occupati del tema eutanasia, che è in stretta relazione con
le tematiche salutistiche e la dignità dell’esistenza, alcuni studiosi
avevano posto la seguente domanda: “Di chi è il corpo e di quale corpo
si parla?”. Più semplicemente: “Di chi è la vita? È dell’essere umano,
oppure della Società, o dello Stato in cui si vive?”. Il dibattito
concernente la dignità della vita, quasi giornalmente è presente su
riviste, quotidiani, radio e televisione; probabilmente, l’ex Presidente
della Fondazione Rocca di Vignola, neppure sa che tale questione va di
pari passo con quella che concerne le tematiche dai più conosciute come
“Accanimento terapeutico” e “Morte dignitosa”. Lo stimolo ad organizzare
questo evento è stato rafforzato dalla mia personale esperienza, che mi
ha vista testimone di un’altra a mio parere poco dignitosa realtà, che
giornalmente si concretizza all’interno di svariati reparti ospedalieri.
L’attuale Società è solita utilizzare sinonimi importanti quali:
collaborazione, associazionismo, solidarietà, compassione. Di tali
sinonimi credo non sia esagerato affermare che pochi ne conoscono il
reale significato ed altrettanti pochissimi individui li mettono in
pratica. Ho sempre cercato di rendere un servizio disinteressato al
prossimo, privatamente e pubblicamente, concependo appieno i valori
della spontanea collaborazione con altri individui ed associazioni che
hanno i miei identici ideali filantropici, ovvero che si adoperano per
recare benessere psicologico e, laddove è possibile anche materiale, ai
propri simili. Per questa ulteriore ragione, anche tramite Klären, ho
preso a cuore le tematiche riguardanti la persona malata ed anche colei
che è vicina a morire. Ho voluto quindi credere che altre associazioni
fossero interessate a tale argomento, in special modo quelle che si
occupano di una particolare malattia, che sta all’origine degli studi di
Tanatologia ma è anche presente nel dibattito sull’eutanasia. Si tratta
della Sclerosi Laterale Amiotrofica, meglio conosciuta con l’acronimo
SLA, che in tempi recentissimi ha toccato la mia famiglia, permettendo
alla mia amata Madre di lasciare il suo corpo per sempre. La liberazione
dal corpo è stata compiuta da mia madre tramite un viatico (di circa due
anni) oltremodo dignitoso, eccettuate le poche ore trascorse in
ospedale, immediatamente precedenti la sua definitiva dipartita. Le
risposte ottenute dalle associazioni e strutture cliniche alle quali mi
sono rivolta, mentre stavo organizzando questa giornata di studi, sono
state ovviamente negative. Ritengo che ciò sia avvenuto per le seguenti
differenti motivazioni:
|
il tema trattato e la scelta di
utilizzare, in modo evidente, la parola “morte” |
|
chi non conosce Klären crede che
essa sia un’associazione non frequentata da scienziati ortodossi |
|
Klären non è unicamente interessata
alla cura del corpo perché ritiene che esso sia un involucro
transitorio |
|
gli interventi dei differenti
relatori, danno maggiore rilevanza agli aspetti della psiche o
anima. |
|
Klären non ha scopi di lucro e
proprio per questa ragione non fa proselitismo |
Per amor di giustizia
preciso che soltanto una sede SLA aveva risposto alle mie formali
richieste, sia via telefono che tramite e-mail, per informarmi che non
era possibile far partecipare all’evento un proprio relatore perché
impegnato altrove.
La morte
è un tabù universale
Uno dei maggiori aiuti che
può esser reso all’umanità, in particolare nell’attuale epoca, è quello
di educare i più a non fuggire da chi è malato gravemente, né dalla
persona che è in procinto di morire (il malato terminale). È da tempo
accertato che per l’inconscio è inconcepibile immaginare la reale fine
della propria esistenza e, nel caso ciò debba avvenire, si ipotizza che
può accadere solo a causa di qualcun altro. Si accetta l’idea di poter
essere uccisi, ma generalmente si esclude il fatto di poter morire per
malattia oppure di vecchiaia. Tale concezione induce ancor di più a
collegare l’evento mortale ad un atto spaventoso, che richiama a sé i
sentimenti di rabbia, vendetta, punizione. Vi è un’ulteriore
particolarità dell’inconscio (sostenuta anche da svariati studiosi
occidentali) la quale evidenzia che, questo speciale (e misterioso)
apparato interiore, non è in grado di distinguere un fatto da un
desiderio. La mente del bambino agisce nello stesso modo; ne consegue
che, se un bambino preso da rabbia augura alla madre di morire perché si
è rifiutata di comperargli un giocattolo, sicuramente quel bambino, nel
momento in cui la madre morrà veramente, ne risulterà estremamente
traumatizzato e si sentirà sempre responsabile, in colpa, per la morte
della madre anche se essa è sopravvenuta in tempi lontani da quello in
cui egli aveva espresso quel desiderio. In genere, un evento luttuoso,
mostra due specifiche fasi iniziali:
|
nella prima fase si
evidenziano emozioni di tristezza e colpa |
|
nella seconda fase
prevalgono sentimenti di ira e collera |
Il dolore per la morte di
un proprio congiunto è espresso anche quando, ad esempio, si tratta del
coniuge con cui era stato vissuto un rapporto conflittuale, fatto di
giornalieri furibondi litigi. Quale è la reale motivazione per cui, ad
esempio, l’anziano coniuge sopravvissuto, si dispera per la morte di chi
lo aveva fatto sempre soffrire? Sicuramente il fatto che la morte
potrebbe toccare anche lui; tale pensiero sarà ancora più forte se, come
nel caso del bambino, vi saranno inconsci sensi di colpa. Oggi, più di
un tempo, la morte è un avvenimento terribile. La paura di morire, di
non esistere più fisicamente, è un tabù universale che si è ingigantito
a causa del sempre maggiore sviluppo scientifico, che favorisce
l’illusoria credenza in una vita eterna. Infatti, i più sono convinti
che, se si sconfiggerà uno specifico tipo di malattie, in futuro si
potrà non morire più. Questa falsa verità, generata dalla paura di
morire, fa sì che la maggior parte di persone non voglia occuparsi di
chi si avvicina a questo inevitabile traguardo. Tra essi, per primi
spiccano i parenti (quando esistono) ma, e ciò può stupire, lo stesso
comportamento è adottato all’interno dei luoghi di cura, gli ospedali,
nonostante le scoperte evidenziate dalle ricerche effettuate da
Elisabeth Kübler-Ross circa quaranta anni fa. Kübler-Ross (deceduta
qualche estate fa) aveva osservato che nella società in cui la morte
è un tabù, “parlarne
è giudicato morboso”.
E’ questa una delle fondamentali ragioni per cui molte persone tengono
lontani i bambini dal malato che sta per morire (anche se, ad esempio,
si tratta della madre); gli adulti giustificano questo loro agire,
sostenendo che per i piccoli sarebbe troppo doloroso assistere ad un
simile evento. Quando è un genitore (o un fratello) ad aver lasciato per
sempre il corpo, gli adulti che in precedenza avevano inviato il bambino
a casa di un parente o amico, sono soliti elaborare la seguente bugia: “se
ne è andata/o per compiere un lungo viaggio; è andata in cielo” e
così via. I bambini, nella maggior parte di casi, da un simile
comportamento elaborano che, non dovranno aver più fiducia negli adulti,
dai quali si sono sentiti presi in giro o comunque hanno agito con loro
in modo errato. Mentre fino alla metà del Novecento, molte persone
avevano il privilegio di morire serenamente e con dignità, all’interno
delle proprie abitazioni, oggi tutto è molto spaventoso, disumanizzato,
oltremodo meccanico e non sempre gli specialisti sono in grado di
determinare il momento in cui la persona è realmente deceduta. É
enormemente doloroso constatare che oggi sempre più persone muoiono in
solitudine, senza dignità. Si giunge a ciò per svariate ragioni, la
prima perché il malato spesso è allontanato dall’ambiente familiare, per
essere velocemente portato al pronto soccorso. Chi ha vissuto questa
esperienza, sa a quale disagio si è sottoposti durante questo trasporto
e sono concorde con Kübler-Ross nell’affermare che il viaggio
all’ospedale è “il
primo episodio del morire”.
Certamente sono altrettanto concorde nell’affermare che, pur di salvare
vite, si possono sopportare scomodi e dolorosi trasporti; ma mi preme
precisare che in questa sede, la mia principale preoccupazione (in
assoluto accordo con le osservazioni di Kübler-Ross) è quella di
evidenziare i bisogni del malato (e dei suoi familiari) quando, in
particolare, si trova a vivere all’interno di un ospedale. Dalla mia
personale esperienza, come da quella di altri studiosi che si occupano
attivamente del fenomeno morte, è emerso che un paziente spesso è
trattato dal personale sanitario e parasanitario, come una persona che
non ha alcun diritto di avere opinioni, sentimenti, non ha soprattutto
il diritto d’essere ascoltato dai professionisti che si muovono intorno
a lui e nelle corsie. In genere il malato ricoverato in ospedale,
assiste al seguente quotidiano agire:
|
le infermiere
corrono lungo la corsia o da una stanza all’altra |
|
gli
inservienti si muovono tra i letti e lungo i corridoi, a volte
utilizzando strumenti rumorosi e proprio nei momenti in cui il
malato stava per addormentarsi, dopo aver passato la notte insonne |
|
gli studenti
(che spesso scambia per medici laureati) e gli assistenti, guardano
il malato a malapena |
|
i medici
mentre sostano in prossimità del letto del malato, parlano
all’infermiera, ai colleghi e agli assistenti, utilizzando un
linguaggio incomprensibile |
|
a volte un
tecnico di laboratorio preleva il sangue del malato oppure un altro
tecnico gli effettua un cardiogramma. |
Dopo poche ore passate al
pronto soccorso, il malato grave è finalmente collocato in un reparto
specifico dell’ospedale; da quel momento egli vive la seguente dolorosa
esperienza: - pur essendo entrato nell’ospedale come persona (almeno
pensava d’esserlo), immediatamente comincia ad essere trattato come
cosa. Spesso, infatti, all’interno dell’ospedale, vengono prese
decisioni per il malato e quando egli cerca di ribellarsi, è trattato a
base di sedativi e se questi non bastano, gli vengono legati i polsi
alle sbarre del letto, mentre egli grida: “voglio andare a casa!
Voglio morire a casa mia, nel mio letto!”. Nei casi in cui il
malato, dopo ore di attesa, è portato nella sala operatoria o nel
reparto di rianimazione, diventa un oggetto di grande interesse e
investimento finanziario (cioè costa molto alla struttura). Anche in
questi differenti reparti, se il malato desidera riposare in pace e con
dignità, ottiene soltanto medicine, trasfusioni e, se ritenuta
necessaria (?) una tracheotomia. Il malato quando è ricoverato in
ospedale ha attorno a sé tante persone, che si occupano della sua
macchina, del suo corpo, ma nessuna di esse si ferma un attimo per
accarezzargli una mano, per ascoltarlo. Egli, giornalmente, subisce
quella che può senz’altro esser definita una forma sottile di violenza
psicologica, seppur intrapresa per salvargli la vita. In quel luogo è
chiaro per tutti, tranne che per lui e spesso anche per i suoi
familiari, che la salvezza della sua vita, non include che, oltre al
corpo, in quel letto, ci sia anche una persona. In genere, l’elemento
giustificativo di questo identico agire all’interno della maggior parte
di strutture ospedaliere, è il seguente: “non è possibile perdere
tempo per occuparsi della persona, perché esso deve servire per salvarle
la vita”. Questa affermazione potrebbe essere vera nei casi in cui,
realmente, vi è la possibilità di salvare la vita o meglio di
prolungarla, creando le condizioni di un vivere con dignità, cioè in
rinnovata o ritrovata salute fisica e psicologica. Per quale ragione
invece, lo stesso identico comportamento è attuato nei confronti dei
malati che sono vicini alla morte? E’ sicuramente possibile affermare
che la maggior parte di persone, impegnata all’interno degli ospedali,
preferisce concentrarsi sugli aspetti meccanici-organici dei singoli
individui (utilizzando svariati tipi di apparecchiature, cercando anche
di evitare di cambiare troppo spesso i pannoloni a chi è incontinente e
dotandolo, per questa ragione, di un catetere utile per la eliminazione
delle urine) perché in questo modo, non affrontano il problema della
morte, che riguarda inevitabilmente anche chi (il medico e
l’infermiere), ogni giorno, sa che dal reparto in cui opera, qualcuno se
ne andrà direttamente all’obitorio. Negli ospedali quindi i più si
affidano alla macchine, è ad esse che domandano come sta il paziente.
Medici ed infermiere, evitano di guardare con intensità il volto di chi
ricorda ad entrambi che sono impotenti, che non possono far nulla per
salvarlo. La sofferenza del malato crea disagio perché, quotidianamente,
rammenta al personale sanitario, la sua stessa mortalità. Desidero
aprire una breve parentesi, per evidenziare le ulteriori ragioni per
cui, da un essere umano che si ammala gravemente (che è vicino alla
morte) i più fuggono o tendono a considerarlo un oggetto, in modo
particolare all’interno della maggior parte di strutture sanitarie
pubbliche. A tal scopo, indicherò alcuni specifici elementi che emersero
dalla ricerca da me effettuata sul “Disturbo d’ansia generalizzato”,
che fu anche il tema della mia tesi di laurea che mi permise di
conseguire il Ph. Doctorate in “Hindo-Vedic Psychology” ad indirizzo
Ayurvedico. Nel nostro Paese, da circa quindici anni ma, probabilmente
da quaranta e forse più negli U.S.A., si è cominciata a dar eccessiva
importanza al corpo e meno alla persona, anche in chi è sano.
Conseguentemente, potrebbe non meravigliare eccessivamente che lo stesso
tipo di considerazione, sia attuato nei confronti del malato e ancor di
più di colui che sta per morire. Non è errato affermare che,
nell’attuale contesto epocale, l’umanità è ancor più pregna di
automatismi che la allontanano da sé e la proiettano continuamente, in
modo esasperato, alla ricerca di una utopistica felicità, che i più
pensano di poter ottenere tramite l’acquisizione di un sempre maggior
numero di beni materiali, tra i quali spicca quello che, può essere
sinteticamente definito il “culto del bello” effimero fisico.
L'esagerato senso estetico, il mito della bellezza che è strettamente
connesso a quello dell'eterna giovinezza (il più ingannevole di tutti),
è il traguardo imperante della attuale umanità. La maggior parte degli
individui non accetta di vedere il proprio corpo invecchiare,
conseguentemente gli esperti in chirurgia estetica, unitamente alle
cliniche ed istituti di estetica, promettono a chiunque di ritrovare il
paradiso perduto (dimagrire, ritrovare la bellezza); a causa di tal
rinnovato benessere esteriore, le persone “rifatte”, si convincono di
poter trovare l’anima gemella. Estetisti, medici, chirurghi plastici,
industrie produttrici di creme di bellezza e protesi varie, ma anche
riviste di vario genere, si arricchiscono sempre più, semplicemente
contribuendo ad accrescere, in un sempre maggior numero di umani,
l’illusione di poter sconfiggere ciò che spaventa tutti: la morte,
ovviamente del corpo. Proprio nell’esagerato culto del bello (fisico),
ha origine il maggior sintomo che degenera in ossessiva fobia, seppur
sapientemente mascherata. Tutti temono la vecchiaia, perché essa ricorda
che la morte, la meta ultima, sempre più si avvicina! Il culto del bello
ha contagiato persone di tutte le età, giovani, vecchi, donne e uomini.
Un sempre maggior numero di persone si rivolge al chirurgo plastico per
farsi rimodellare nasi troppo pronunciati, menti, seni e occhi
imperfetti. Altre persone si lasciano iniettare preparati di vario
genere, per farsi togliere piccole rughe d'espressione o per avere
labbra più pronunciate. Altre ancora si fanno tagliare il ventre,
siringare lo stomaco, le cosce ed altre parti del corpo, da cui viene
tolto il grasso in eccedenza o nel quale si introducono protesi che
aumentano il volume dei muscoli, e così via. Ormai sono poche le
persone che vogliono nascondere d’essersi sottoposte a tale intervento
ricostruttivo, generalmente chi si sottopone a questo trattamento se ne
vanta (spesso anche in televisione). E’ abbastanza comune il fenomeno
sociale (soprattutto in ambienti politici e dello spettacolo) che si
verifica quando si conoscono nuove persone (sia personalmente che
tramite la televisione), che induce a scoprire se la faccia della tale
(e non solo essa) è la sua o se invece è stata ricostruita e quante
volte. Il dio bellezza è quindi divenuto una droga mentale che agisce
insieme ad un’altra ancor più grande, la quale opera sottilmente, come
un virus invisibile, ipnotizzando chiunque non è attento a sé: la
pubblicità. Con slogan di vario tipo si va ad irreggimentare la
maggior parte di umani, secondo i modelli che il mercato dei media, in
accordo con i produttori di illusioni (industrie produttrici di
materiali vari) vuole imporre. Tutto questo accade perché gli umani
totalmente asserviti al potere tecnologico (computer, telefoni
cellulari, lavastoviglie, televisione, automobili, ecc.), ancor più di
un tempo alimentano la vera madre di tutti i vizi, la pigrizia,
che induce a creare stati di ipnosi collettiva. Infatti, il culto
esagerato del bello nel corpo, inizialmente era parso un lusso che
potevano permettersi soltanto alcune fasce della società, negli anni
2000 è divenuto una moda, una specie di ossessione che coinvolge tutte
le tipologie sociali e che spinge, ancor più di un tempo, la maggior
parte dell'umanità a dimenticar se stessa, la sua vera natura, la
ragione per cui esiste. Sempre più individui, assomigliano a macchine
simili a robot, sono delle “Matrix”, come è stato mirabilmente
evidenziato nell’omonimo film (scritto
e diretto dai Wachowski Brothers).
Il “culto del bello” in realtà esprime in modo visibile, concreto, le
ragioni per cui la maggior parte dell’umanità dimentica se stessa,
rincorrendo traguardi inutili che spesso sono irraggiungibili e che,
seppur ottenuti (come nel caso degli interventi di chirurgia estetica),
fanno percepire che la vera ragione del disagio interiore, non ha nulla
a che vedere con belletti, profumi, muscoli e seni super turgidi. La mia
ricerca, sul “disturbo d’ansia generalizzato”, aveva evidenziato che le
due differenti Scuole, Psicologica Occidentale e Psicologica
Indovedica-Ayurvedica, si distinguono in modo particolare nei seguenti
aspetti:
|
la quasi totalità
della Psicologia Occidentale,
è una giovanissima disciplina, ancora molto zoppicante che nega il
concetto di anima e rifiuta l’ipotesi della reincarnazione |
|
la Psicologia
Orientale,
in particolare quella Ayurvedica-Indovedica, è una scienza
ultramillenaria, con una grandissima conoscenza della psiche umana e
per questo motivo maggiormente obiettiva; essa sostiene l’esistenza
dell’anima e crede alla reincarnazione, aderendo alla teoria del
Karma (lett.
significa “azione”, in un’accezione più debole ma più arcaica,
significa “azione rituale”. Secondo la tradizione indovedica è la
Legge di causa-effetto su cui si regge l’universo prakritico
(materiale), per la quale ad ogni azione, positiva o negativa, segue
una reazione dello stesso segno (il karma-phala, cioè il frutto
dell’azione medesima) che ineluttabilmente lega l’agente al samsara,
il ciclo di esistenze in cui l’essere vivente incarnato (jivabhuta)
si vede costretto a nascite e morti ripetute. L'interruzione del
samsara costituisce, secondo le dottrine tradizionali, lo scopo
ultimo della vita umana: moksha (liberazione).
Colloca il corpo, la parte materiale della persona, in modo
sostanzialmente differente: - tutto quel che vien fatto per esso, a
partire dalla alimentazione, ha a che vedere con il Sé Superiore, il
principio motore di ogni singolo individuo -. |
In questa sede, poco mi
preoccupa l’adesione o meno alla dottrina della reincarnazione o
dell’immortalità dell’anima (anche se alcuni individui, considerano
entrambe le ipotesi, una certezza), anche perché queste teorie,
solitamente vengono ricondotte all’ambito del filosofico oppure del
religioso, per cui è per me scontato che ogni persona, al proprio
interno, possa liberamente decidere a quale tipo di concezione aderire.
La mia personale esperienza, invece concorda con il fondamentale
precetto applicato dalla Scienza Indovedica-Ayurvedica, il quale induce
a sostenere che, la non risoluzione dei problemi di chi soffre di
ansia e fobie di vario genere, sta nella incapacità di accettare che il
proprio corpo dovrà cessare di esistere, che ogni singola persona,
nata in questa dimensione terrena, dovrà fisicamente morire. In ambito
internazionale, la maggior parte di studiosi occidentali che si sono
dedicati allo studio di tematiche concernenti la morte, hanno potuto
constatare che l’accettazione della propria personale non eternità, è
risolutiva di problematiche patologiche, quali gli attacchi di fuga e
panico, e non solo di essi. É stato inoltre osservato che, essere capaci
di convincersi della precarietà del proprio esistere quotidiano, stimola
a divenire più umili, compassionevoli, a considerare quindi non solo le
proprie necessità esteriori ed interiori ma anche quelle dei propri
simili, che si vedono sempre più identici a sé, seppur con differenti
destini. L’accettazione della morte del proprio corpo fisico, migliora
quindi il rapporto con se stessi e con il prossimo e, contrariamente a
quel che i più temono, offre un maggiore senso alla propria esistenza,
la quale viene finalmente vissuta in modo obiettivo e super propositivo.
La persona che sa che dovrà non vivere a lungo, si prodiga
quotidianamente per “fare” molto di più, per esistere realmente.
Infatti, aver maggior attenzione di sé, aver memoria di se stessi, unita
alla consapevolezza dell’indeterminatezza del proprio esistere fisico,
induce maggiormente a non sprecar inutilmente il proprio esistere, ad
agire nel bene e per il bene, a lasciar tracce di se stessi, per i
propri cari e per l’umanità (in qualunque campo dell’esistere la persona
si impegni). Nel corso della ricerca da me effettuata, sul “disturbo
d’ansia generalizzato” (patologia che, in forma generalizzata e cronica,
coinvolge l’intera umanità) posi particolare attenzione ai rimedi
generalmente consigliati a chi vuole contribuire alla propria
guarigione, sia da parte della psicologia occidentale che dai medici e
psicologi ayurvedici. Anche in questo caso, la metodica orientale (in
particolare Ayurvedica) si distingue da quella occidentale, per una
sostanziale caratteristica:
|
l’Ayurveda sostiene
che, per la risoluzione di problematiche psicologiche, organiche
o fisiologiche, il requisito indispensabile è la
non passività del paziente; tra medico e paziente, tra
psicologo e paziente, vi deve essere collaborazione, sincera
partecipazione. Si stabilisce quindi un reciproco patto, una
alleanza che ha come fine comune la guarigione del malato. |
|
|
Queste affermazioni non
dovrebbero essere espresse da un medico di reparto perché egli ben sa
che, nell’attuale epoca, al malato affetto da SLA, la più grande fortuna
che gli possa capitare, è quella di morire nel più breve tempo
possibile. In ogni caso un medico di un reparto d’ospedale nel quale
spesso sono ricoverati malati affetti da gravissime patologie, sa sempre
quando una persona (giovane o vecchia) è vicina a morire, può saperlo
osservando evidenti segnali che si manifestano in specifiche parti del
corpo (ad esempio piedi, mani); accade però che proprio in quel momento
medici ed infermieri più volte chiamati al capezzale del malato, si
defilino, ostentando sentimenti di rabbiosità giustificata da
affermazioni quali: “sono impegnato in una altra stanza per
effettuare un prelievo”; le giustificazioni sono generalmente
ostentate dall’infermiere di turno, il quale è spesso delegato ad
informare i parenti che “il medico è impegnato al telefono”
o sta “ricevendo i familiari di altri pazienti”. Quel che ho
appena raccontato, non è accaduto venti o trenta anni fa, ma il giorno
05 aprile 2005, quando decisi di togliere mia madre dal reparto in cui
era stata collocata, circa ventiquattro ore prima. Desideravo che
potesse morire mentre noi figlie la abbracciavamo, le dicevano che era
stata una grande Madre e che poteva per questa ragione lasciare libera
la sua anima, abbandonare per sempre quel corpo che per tanto tempo
l’aveva, in salute, tenuta tra noi. Ai medici ed infermieri di quel
reparto d’ospedale è parso anormale, illogico, irrazionale che tre
figlie desiderassero essere accanto alla loro madre, con amore e
devozione, per attendere la di lei morte, pur avendo negato
l’opportunità di effettuare una intubazione, tramite la quale, il suo
corpo, già abbondantemente devastato e sofferente (quasi totalmente
paralizzata, da alcuni mesi alimentata tramite il sondino nasogastrico)
potesse continuare a respirare artificialmente, per qualche ora in più,
nell’attesa che il cuore si ingrossasse a tal punto, da non poter
(finalmente) più funzionare. Mia madre, riportata a casa, ha potuto
vivere per meno di una ora; ma ne è valsa la pena perché ha potuto
lasciare il suo corpo mentre le sue figlie le erano vicine. Anche il
luogo familiare e adeguatamente illuminato, le ha permesso un sereno
trapasso, perché da svariate ore era stimolata a non aver paura a
distaccarsi dal corpo, dagli affetti, dalle cose che aveva identificato
come sue. A casa, nessun inserviente od infermiere ha potuto disturbare
la sua ultima ora di vita, entrando e ordinando (a voce alta) a noi
figlie di allontanarsi da lei, perché doveva essere spolverata la stanza
o portata la “padella” per le urine ad un'altra ammalata. In ospedale,
circa otto ore precedenti la sua morte, nel momento in cui mia madre
aveva avuto la sua ultima e meravigliosa presenza intellettuale (era
tornata lucida), fummo violentemente allontanate da lei e private
d’essere ancora una volta accarezzate e salutate dai suoi dolci occhi
(mamma aveva perduto l’uso della parola da circa un anno e non era più
in grado di muovere neppure le mani). Appena sopravvenuta la morte, il
corpo di mia madre non è stato immediatamente condotto in una saletta e
lasciato in solitudine, ma ha continuato a ricevere da parte mia e delle
mie sorelle, attenzioni, carezze, baci, intense e rispettose parole
d’amore. Non fuggire dalla morte del proprio genitore (fratello,
amico, moglie o marito), attualmente è divenuto un grandissimo lusso,
che pochissime persone possono concedere a se stesse e a quanti amano.
Ciò accade perché altrettante pochissime persone insegnano che
l’amore, che si è voluto a chi se ne va fisicamente per sempre, non si
modifica ed anzi, solitamente in chi ha amato senza sensi di colpa, si
rafforza e diviene vera fonte di consolazione, permettendo di continuare
a vivere in serenità. Occorre impegnarsi affinché le persone che non
vogliono fuggire da tale evento, da questa particolare responsabilità,
siano informate che è molto più dignitoso lasciar morire un proprio caro
all’interno delle mura familiari, piuttosto che in forzata solitudine,
dentro un qualsiasi ospedale o casa di cura. È opportuno informare che,
anche se la morte fa capolino mentre il malato è in ospedale, è
ugualmente possibile trasferirlo all’interno della abitazione a lui
cara, dove tutto è familiare, amico ed il distacco, proprio per queste
semplici motivazioni, sarà meno doloroso. Chi invece desidera restare in
ospedale, non ha bisogno di reclamare questo tipo di libertà in
extremis. Concludo augurando a tutti, di fare un grande dono a se stessi
ed ai propri cari, conducendoli, quando sarà il momento, serenamente e
con manifesta affettività, al loro ultimo traguardo. Ci si prepara a ciò
accettando, giornalmente, che la medesima opportunità possa esser
personalmente vissuta, con altrettanta serenità.
I SUPERDOTATI
Si tratta di
una particolare
categoria di umani dotati, fin dalla più tenera età (6-7 anni circa), di
qualità extrasensoriali, definiti dal defunto Roberto Assagioli
(fondatore della Psicosintesi) "Superdotati", ovvero: individui che
nascono con la
consapevole
responsabilità
d'essere di aiuto agli
umani che desiderano intraprendere percorsi spirituali e sperimentare
conoscenze, comunemente denominate parapsicologiche o psichiche. Ciò che
caratterizza molti superdotati è la pratica del distacco (a volte per
lunghi periodi, altre per sempre) dalla materialità, quindi dal possesso di
beni materiali (tra questi anche il denaro) e dagli affetti (ovvero amano
disinteressatamente). Da sempre si sono potuti osservare esempi di tale
genere, nei più famosi personaggi religiosi: Buddha, Gesù,
S. Francesco, Madre Teresa di Calcutta, ecc. Quando i superdotati
diventano persone capaci di attuare il distacco dal mondo materiale, se
necessario, possono rivelarsi, più precisamente possono rivelare ad altri
quello che un tempo solo pochi conoscevano.
Alcuni superdotati hanno il compito di diventare
famosi, altri di rimanere nell'ombra, ma la qualità delle loro anime è la
medesima.
Caratteristiche dei
superdotati
Affinché
possiate meglio comprendere che cosa si intende per individuo superdotato,
di seguito trascriverò alcuni brani tratti dal libro "I poteri latenti
nell'uomo" di D. Baker.
La
creatività
è la qualità per eccellenza del
superdotato. Questi individui rappresentano un decimo dell’uno per cento
della popolazione o circa l’uno per mille. E’ molto difficile riconoscerli e
da bambini, a volte, possono addirittura sembrare poco intelligenti; essi
sono quei rari individui che manifestano, con forza, una o più
specifiche qualità che non derivano soltanto dall’interazione tra ambiente e
patrimonio genetico, ma da un terzo fattore, poco compreso, di
natura interiore e in essenza spirituale. Roberto Assagioli (“L’educazione
dei bambini dotati e superdotati”, di R. Assagioli) ha elencato due
tipologie di superdotati:
1.
coloro che sono dotati in modo generale o multiplo,
cioè, che dimostrano una netta superiorità rispetto alla media, in tutti o
in vari campi. Sono normalmente sani, forti e sicuri di sé. Per scegliere
quale, tra i loro vari talenti, debba essere oggetto di una formazione
speciale (onde evitare indecisioni, ritardi ed inutile dispendio di
energie), necessitano di aiuto e guida.
2.
questo gruppo presenta difficili problemi educativi.
Comprende coloro che possiedono un dono specifico, così eccezionale da
arrivare molto vicino o addirittura superare il confine della genialità, ma
possono anche presentare una serie di deficienze o la mancanza di equilibrio
in altri aspetti della loro personalità.
Nel secondo gruppo
si trovano giovani oltremodo
ipersensibili e iper emotivi, dotati di capacità artistiche,
letterarie, musicali e in alcuni casi matematiche. Sono
spesso fisicamente deboli o imperfetti, non dotati di senso pratico o
distratti. Per tutte queste ragioni non vengono compresi né
apprezzati dai genitori e dagli insegnanti. Spesso sono ritenuti
inferiori e ridicolizzati dai loro compagni. Questa mancanza di
comprensione e di apprezzamento, e la conseguente incapacità di comunicare
in modo adeguato con questi soggetti, sono la causa di molta sofferenza,
sconforto e disperazione, in molti casi di rivolta e, in altri, persino di
deviazioni o perversioni. Tra i grandi superdotati che hanno mostrato
aspetti deleteri troviamo Baudelaire, Verlaine, Strindberg, Kafka ed un
superdotato per eccellenza fu Wolfgang Amadesus Mozart.
Lo sviluppo precoce di
una o di varie qualità, è il primo segno della presenza di doni eccezionali,
i superdotati sono spesso precoci anche nel porsi domande sull’origine e
sul destino dell’uomo; sono molto sensibili ai messaggi contraddittori e
si accorgono quando si fanno eccezioni alle regole. L’insegnante dei
superdotati deve comprendere che il bambino soffre terribilmente se le
sue domande rimangono senza risposta, o se viene scoraggiato dal farne.
Un ulteriore aspetto della loro precocità è l’incapacità di tacere; è
difficile per loro sedere tranquilli quando debbono difendere i loro ideali.
Tutti i bambini superdotati sono sicuramente sul Sentiero
dell’Iniziazione, e nella vita presente ripercorrono i passi fatti nelle
vite precedenti.
Malleabilità
e flessibilità appartengono, fin dalla nascita, ai superdotati,
perché le hanno guadagnate in vite precedenti; di fronte ad un problema che
sfida la loro capacità individuale, per superare gli ostacoli essi si
adattano e si evolvono sul piano mentale, emotivo e (se necessario) fisico.
Questa dote può esteriormente manifestarsi come ipersensibilità e, spesso,
come
capacità
medianica.
I superdotati a volte sono predisposti al suicidio, alla pazzia,
oppure non si sposano; questi problemi possono insorgere come
risultato di un ambiente non idoneo, che frustra i loro sforzi di
esprimersi. In contrasto con le loro qualità insolitamente complesse,
trovano spesso piacere nelle cose semplici. Non è sorprendente che
abbiano di frequente posizioni politiche di sinistra, almeno per
brevi tempi della loro vita (in giovane età sicuramente). Infine è utile
sottolineare che i superdotati generalmente nascono nella famiglie più
umili, solo in rari casi un’anima altamente sviluppata sceglie
una casa benigna, opulenta ed influente.
La qualità più rilevante
di un superdotato
è la
predisposizione ad
assumersi responsabilità,
questo non perché vogliono necessariamente essere dei capi, ma piuttosto
perché non possono sopportare l'inefficienza, l'ingiustizia, l'ignoranza.
Questa disposizione ad assumersi delle responsabilità, nell'età adulta
diventa un
desiderio
travolgente di servire
l'umanità.
La gran parte
dei superdotati non perviene alla coscienza della sua missione di vita fino
ad età molto avanzata. Questo comporta un
grande spreco di tempo prezioso, poiché la loro principale missione dovrebbe
essere quella di Guida o Maestro spirituale. In Occidente tale
consapevolezza è ancora forzatamente ritardata. Se volete saperne di più,
leggete il libro “I poteri latenti nell’uomo”
(D. Baker – Edizioni Crisalide), perché è bene poter riconoscere un
superdotato fin da bambino, per facilitare il suo apprendistato.
CONSAPEVOLEZZA DI SE' -
Bologna, 09.03.2002
(tratto dalla
Dispensa relativa al corso omonimo)
Innanzi tutto desidero ringraziarvi, ed
in particolare coloro che mi conoscono da maggior tempo ed hanno
probabilmente deciso di partecipare a questo seminario, anche mossi dalla
fiducia e simpatia che nutrono nei miei confronti, o dal desiderio di
compiacermi.
In alcuni di voi, al termine del corso,
probabilmente resterà un’impressione deludente, soprattutto se pensavate che
il mio argomentare avrebbe riguardato la sensitività, la sopravvivenza dopo
la morte o altre tematiche oggi denominate New Age (un tempo chiamate
Esoteriche, Occulte e così via) che fanno parte del mio bagaglio culturale
ed esperienziale.
Come voi, quando cominciai a voler capire
di più di me stessa e della vita, incontrai e fui affascinata da tutto ciò
che concerne i fenomeni PSI o Parapsicologici, anche perché il mio cercare
aveva avuto inizio, in parte, a causa di essi (sono, infatti, dotata di
qualità che molte persone, erroneamente, definiscono “poteri” psicologici).
La ragione fondamentale che mi ha spinta
ad affrontare la "Ricerca Spirituale", è stato il desiderio di comprendere
in qual modo funziona la mente umana, per quale ragione le persone si
comportano in modo violento, sono disoneste, false, non sono in grado di
amare il prossimo, ecc. Il mio personale cammino interiore, è stato in parte
ritardato a causa della mia medianità, perché per primi incontrai insegnanti
che davano troppa rilevanza a questi fatti, peraltro fisici, e non
riferivano agli studenti (in modo diretto) che le facoltà ESP (di percezione
extrasensoriale) nulla hanno a che fare con la personale evoluzione
interiore, che ha come traguardo finale, quello di riconciliare la persona
(la personalità) alla sua Essenza (o coscienza, anima oppure psiche).
La decisione, presa a metà della mia
vita, di comunicare ai più che sono dotata di qualità ESP, non è sorta dal
desiderio di diventare nota e ammirata, bensì dal sentimento e senso di
responsabilità, identico a quello di molti insegnanti spirituali, alcuni
davvero illustri, che nella storia dei secoli, hanno sacrificato il loro
tempo, per amore dell’umanità. Ho per questa ragione, deciso di utilizzare
consapevolmente l’effetto attuale di moda New Age e l’ultimo ritrovato della
comunicazione, Internet, per farmi conoscere e, conseguentemente, per
entrare in contatto con persone desiderose di trovare un’amica, una
confidente, un’insegnante capace di comprendere le loro sofferenze e
desiderosa di aiutarli, evitando di instillare in loro ulteriori illusioni.
La scelta di trasmettere informazioni
riguardanti la “conoscenza di sé” (basate sull’insegnamento che si rifà a
quello impartito dal Buddha delle Origini e quindi molto più antico di
quello trasmesso da Cristo), adottando un metodo inizialmente indiretto e
oltremodo esoterico, poiché il soggetto che “casualmente” entra in contatto
con me, non si rende conto, o meglio non è in grado di comprendere che il
mio essere e fare (anche in momenti di normale frequentazione amicale), è in
linea con specifiche metodologie psicologiche e nasce dalla reale
constatazione, teorica e pratica, la quale permette di capire che la via
della conoscenza interiore ed individuale, è la più ardua da percorrere.
Tale consapevolezza, mi ha permesso di costatare che
un
insegnante spirituale (con
questo termine non intendo riferirmi a tipologie religiose, bensì a tutto
ciò che ha a che fare con la personale vita interiore, psicologica)
non può avere
molti allievi,
tranne nel caso in cui decida di trasformare i suoi metodi, in regole
tipiche di ciò che comunemente si è soliti definire, setta mistica o
religiosa. La religiosità però allontana le persone dalla reale comprensione
di sé e conseguentemente della vita, poiché il soggetto che aderisce a
qualunque tipo di movimento religioso (in tale categoria rientrano anche le
associazioni di partiti ed i fenomeni d’esaltazione sportiva), non agisce di
volontà propria, ma si abbandona alla volontà dell’insegnante, del capo
religioso, del leader politico, del dio, della deità, del santo, e così via.
Questo soggetto, cioè la quasi totalità degli umani, non agisce quindi con
volontà propria, ma si affida alla ritualistica del miracolo, del
meraviglioso oppure ideologica, una via sicuramente molto facile da
percorrere e in alcuni casi parzialmente terapeutica (mi riferisco alla
fenomenologia che si osserva nel corso di partite di calcio, dove
l’aggressività è espressa ai massimi livelli, esattamente come negli
incontri/scontri bellici) ma che crea dipendenza e non libertà di essere.
Il
principio del mio insegnamento e della mia esistenza, si basa sul concetto
di
libertà,
situazione che la totalità degli umani non vive; essa crede d’essere libera
e recita tale specifico ruolo.
Tutti voi sapete che la recitazione è menzogna;
l’attore s’identifica in uno specifico ruolo che, secondo i momenti, può
variare, ma lo spettatore è ben conscio che la vera personalità dell’attore
è un’altra. Questo è l’unico caso in cui, tutte le persone diventano
consapevoli del meccanismo denominato di "identificazione",
poiché nel fenomeno teatrale la menzogna è plateale.
La totalità degli umani, ignora che
questo specifico atteggiamento, è quotidianamente adottato da tutti, al
proprio interno, con se stessi. Gli umani ignorarono il fatto che mentono a
se stessi, per questa ragione sono prigionieri del loro personale mentire e,
conseguentemente, non sono per nulla liberi di esistere.
Questo seminario, come gli eventuali
altri (se ve ne saranno), sarà scandito dai momenti in cui leggerò quanto ho
sintetizzato in questa dispensa, e che ogni volta amplierò. Ciò che però
caratterizza questo specifico tipo d’insegnamento, è che esso si basa
soprattutto sul confronto tra insegnante e allievo, un confronto basato
sulla domanda e conseguente risposta. Quindi vi esorto, fin da ora, di pormi
il maggior numero possibile di domande, di non tacere per timidezza o
ignoranza, poiché in questo specifico contesto, siete tutti egualmente privi
di conoscenza teorica e pratica. Anche se qualcuno di voi può aver letto
qualche libro (alcune pagine più attentamente di altre), lo stato di non
conoscenza di quanto qui si argomenterà, è uguale a quello di coloro che
ancora non hanno letto o studiato nulla; infatti, il sapere è reale, quando
un qualsiasi soggetto, diviene concretamente testimone di ciò che ha
precedentemente compreso in teoria.
COME
ERAVAMO
-
Bologna, 18.03.1999
Nel
quotidiano clima di “terrorismo urbano”, dove le parole più comuni sono:
omicidio, suicidio, extracomunitari, violenza, occorre soffermarsi sulle
ultime due, perchè rappresentano ciò che, per alcuni nostri connazionali, è
il “Nuovo” da temere. L’Altro, in questo caso l’Immigrato - clandestino
oppure no - è per molte persone motivo di irrazionale paura, di evidente
razzismo, di colpevolizzazione del proprio scomodo o difficile vivere (non
c’è lavoro, non ci sono case, ecc.). SI attribuisce ad altri, diversi da noi
per cultura o per il colore della pelle, l’origine dei propri mali e non ci
si chiede quasi mai, chi in realtà sono questi altri, e quale è la opinione
che essi hanno di noi. Interessanti risposte a tale quesito, sono state
offerte alla Dott. Cristiana Natali (antropologa presso l’Università di
Bologna) che ha scritto un saggio dal titolo “Qua c’è una guerra” :
memoria sociale e immagine della violenza tra gli immigrati marocchini,
pubblicato all’interno del libro curato dalla Prof. Adriana Destro (docente
della cattedra di Antropologia Culturale, Università di Bologna) dal titolo
La Famiglia Islamica (Pàtron Editore). Questo saggio è molto utile
perchè è una testimonianza di come gli immigrati Marocchini di religione
islamica, considerano gli italiani e cioè molto violenti perchè utilizzano
la pistola, arma che a differenza del coltello (strumento da essi utilizzato
quotidianamente, soprattutto dai contadini, e indispensabile per la corretta
macellazione degli animali, secondo le norme islamiche) non permette alcun
tipo di difesa o fuga. Si può infatti uccidere un uomo, stando da lui molto
distanti. La distanza è proprio l’elemento culturale che crea conflitti tra
le due differenti culture - marocchina e italiana -. Avere rapporti
ravvicinati, mostrare liberamente le proprie emozioni (negative o positive),
durante una conversazione, oppure discussione, o nell’ambito di una
trattativa commerciale, è per i marocchini il modo per onorare, rispettare i
propri simili. Invece gli italiani, secondo i marocchini, hanno una
aggressività dissimulata, sono freddi, determinati, sono “ipocriti” perchè
alle eventuali provocazioni non reagiscono immediatamente, ma si vendicano
in un secondo tempo. “I marocchini rivendicano un’impulsività che chiarisce
le intenzioni aggressive, ma che non sfocia necessariamente in conseguenze
gravi”, mentre “l’aggressività dissimulata e l’imposizione di una distanza,
rispetto all’avversario”, secondo loro creano le condizioni più favorevoli
al delitto (se vengo aggredito da vicino, posso tentare di difendermi,
oppure posso impietosire l’avversario con il mio terrore, o da ultimo
tentare la fuga). Tale distanza crea anche problemi di socializzazione, di
comunicazione; la maggior parte degli italiani infatti si irrita quando un
cosiddetto “vu cumprà”, nell’atto di proporre la sua mercanzia, si avvicina
troppo. Ciò che infastidisce non è l’insistenza dialettica, ma la troppa
vicinanza del corpo di chi si è catalogato diverso, altro da sé. Ci si sente
fisicamente minacciati da chi non si conosce e non si comprende
culturalmente. Infatti ciò accade anche nei confronti degli zingari, siano
essi adulti o bambini, che si avvicinano anch’essi troppo, per chiedere
l’elemosina; in ogni caso ci si sente immediatamente minacciati da un
soggetto umano, qualunque sia il colore della sua pelle o nazionalità,
quando invade il proprio spazio fisico, che è quindi circoscritto in un’area
che va oltre il proprio corpo fisico. Per la maggioranza dei soggetti
intervistati dalla Dott. Natali, “il rifiuto del corpo, implica un rifiuto
psicologico, e conseguentemente viene letto come una manifestazione palese
del rifiuto dell’altro”. Infatti per questi soggetti, all’interno della
famiglia come anche nell’ambito dei rapporti di amicizia (anche tra persone
dello stesso sesso), la vicinanza fisica è ritenuta una componente
indispensabile. Invece in Italia, se per strada si vedono due uomini che si
tengono per mano, generalmente vengono considerati omosessuali. I marocchini
sono consapevoli di tale giudizio, e quelli intervistati hanno affermato che
se ne curano poco, perchè in Marocco il contatto fisico non viene sanzionato
socialmente. I marocchini intervistati nel saggio della Natali, ritengono
che gli italiani sono soggetti molto violenti e deducono che anche coloro
che rivolgono la violenza verso se stessi (i suicidi) lo fanno perchè
all’interno delle famiglie manca armonia ed equilibrio, che garantiscono un
adeguato sostegno materiale e psicologico dei propri congiunti. La famiglia
marocchina e la religione hanno un ruolo attivo e non passivo, a tale ruolo
essi attribuiscono il manifestarsi di minore violenza e stress psicofisico.
Per i marocchini è motivo di stupore il fatto che in Italia vi siano tante
“case di cura” per anziani ed anche manicomi. Da loro è la famiglia che si
occupa degli anziani e dei bambini che vivono nelle case insieme ai parenti
più giovani. Non essendoci “distanza” - come in effetti non c’era (così
marcata) nelle nostre città circa mezzo secolo fa - tra i parenti, come
anche tra i vicini di casa, c’è grande solidarietà, non c’è quindi bisogno
di baby-sitter, e se ad esempio la madre deve recarsi a fare la spesa
(mancando i parenti) sono i vicini di casa che badano i bambini. Questo
straniero, extra-tutto, è quindi diverso da noi solo nella sua soggettività,
come diverso è nostro padre o nostra sorella anche se si è parte di una
stessa famiglia. Egli vede gli italiani violenti esattamente come essi (più
precisamente come la stampa quotidianamente ce li mostra) vedono lui. Per
concludere , molto elementarmente, a mio parere si evidenzia, il fatto che
gli italiani si sono dimenticati di come erano e, forse, a livello di
inconscio li addolora la falsa idea che, per mantenersi tecnicamente
emancipati o civilizzati, debbono tenere distanti coloro che portano alla
superficie il ricordo dei propri genitori, dei nonni. La distanza, non la si
attua solo nei confronti degli immigrati, ma come essi hanno fatto notare
alla Dott. Natali, viene inconsapevolmente applicata all’interno delle
famiglie e con coloro che si ritengono veri amici, con tutti quelli che si
amano. Basterebbe così poco, un semplice gesto, allungare la propria mano di
qualche centimetro, per fare capire a noi e all’Altro che il nostro ormai
consolidato atteggiamento è frutto di un insegnamento, è quindi solo
cultura. E nuova cultura si può sempre assimilare.
MEDIUM
– MEDIANITÀ
Il
termine latino Medium fu coniato nella seconda metà dell’Ottocento;
con esso veniva e viene ancora oggi definito il soggetto per ”mezzo”
del quale si manifestano specifici fenomeni psichici (un tempo
denominati spiritici) che permettono la comunicazione con i trapassati.
Fin dall’ottocento è stato considerato medium il soggetto che, per
ottenere fenomeni fisici, cede agli spiriti o entità disincarnate,
parte delle sue energie corporee. Con lo stesso sinonimo è definito il
soggetto che presta il suo corpo alle entità, per permettere loro di
esprimersi con la parola o tramite la scrittura ed anche il disegno.
Per quanto concerne la mia personale esperienza, in realtà “presto”
una specifica zona della mia mente e del mio cervello, nella quale
ricevo (tramite parole che odo interiormente e spesso anche immagini)
messaggi dai defunti o da Maestri Spirituali (ovvero entità che hanno
il compito di istruirmi su specifiche tematiche esistenziali e
spirituali). Quando invece disegno, come ho già altre volte spiegato,
la mia mente è totalmente libera da pensieri (miei e/o provenienti da
altri) e da immagini da me stessa prodotte. Invece il mio braccio e la
mia mano, si muovono sul foglio, disegnando forme e ritratti a me
sconosciuti.
Da molti anni, alla parola medium è stato sostituito il termine
sensitivo, ma in sede psichica (o parapsicologica), ancora oggi molti
ricercatori distinguono il sensitivo (o medium) i cui fenomeni paiono
comportare l’intervento di personalità a lui estranee, come: l’automatismo
parlante, la scrittura automatica, la materializzazione, la possessione,
ecc.
Con il termine Medianità si intende l’insieme delle facoltà,
possedute o utilizzate da uno specifico medium.
Fino ad oggi nessun ricercatore è stato pienamente in grado di chiarire
quale tipo e da dove è originata l’energia che i medium utilizzano
durante le loro performance. E’ stato invece osservato che, durante la
fine di una seduta o contatto, la maggior parte dei medium si
definiscono stanchi, ma i più non intendono una stanchezza fisica,
bensì il fatto che l’energia utilizzata in quel momento, si è
esaurita. In genere accade più frequentemente che le eventuali persone
presenti, al termine di un contatto MED si sentano stanche e provino un
caratteristico senso di vuoto alla nuca o sulla sommità del capo, tale
fenomeno fa presupporre che da parte dei presenti vengano
inconsapevolmente offerte “energie” al medium.
Il contatto MED per me ha termine, quando improvvisamente non sono più
interessata a continuare la comunicazione, perché non sento più la
presenza “sottile”, a me generalmente estranea, della quale
solitamente percepisco anche le sensazioni (se è maschile o femminile,
adulto o no, contenta oppure dispiaciuta, ecc.), essa si è quindi
allontanata totalmente. Altre volte comprendo che il contatto è
momentaneamente sospeso, perché avverto ancora la presenza
(interiormente ed esteriormente), infatti la comunicazione si riattiva
anche dopo svariati minuti di sospensione.
PSICOSCOPIA
- CHIAROVEGGENZA TATTILE
l
termine psicoscopia fu coniato nella seconda metà del Novecento con l’intento
di sostituire la parola “Psicometria” utilizzata da Buchanan nel
1842. Si tratta di quel fenomeno per cui un sensitivo, dopo aver toccato
un oggetto (che potrebbe anche essere avvolto da carta o contenuto in
una scatola) è in grado di raccontarne la storia oppure di descrivere
episodi, a volte persone, connesse all’oggetto specifico.
La psicoscopia è sempre un fenomeno di retrocognizione (vengono
descritti fatti del passato) che si distingue dalla chiaroveggenza
tattile perché l’oggetto toccato dal sensitivo, detto “Induttore”,
suggerisce la conoscenza di fatti di cui esso (l’oggetto) è stato
testimone o ne è a conoscenza.
Nella chiaroveggenza tattile l’oggetto permette al sensitivo
di mettersi in contatto con la persona a cui l’oggetto è appartenuto
o appartiene e può inoltre conoscere fatti o cose con i quali l’oggetto
non è stato in contatto e, in alcuni casi, che possono verificarsi nel
futuro (predizioni vere e proprie).
TELEPATIA
Nella
seconda metà dell’ottocento fu F. W. H. Myers che per primo utilizzò
il termine telepatia con l’intenzione di indicare “una comunicazione
tra mente e mente, senza la mediazione di organi sensori”. Myers non
escludeva che la comunicazione potesse provenire dalla mente di un
defunto.
Nella casistica della telepatia rientrano tutti i fenomeni di “trasmissione
del pensiero”, “lettura del pensiero”, “suggestione mentale”,
e così via.
Le ricerche sulla telepatia cominciano con la raccolta e documentazione
di casi spontanei ed il periodo scientifico ha convenzionalmente avuto
inizio nel 1882 quando a Londra venne fondata la SPR (Società per la
Ricerca Psichica). Gran parte delle ricerche si basarono sulla
discriminazione tra telepatia pura e chiaroveggenza, utilizzando il
metodo Quantitativo e Qualitativo. In genere è stato alquanto
impossibile stabilire se una ESP (percezione extrasensoriale) è un
fenomeno di telepatia o di chiaroveggenza. Numerosi esperimenti sono
stati condotti fin dalla fine dell’ottocento e fin da allora sono
stati pubblicati molti libri che illustrano i casi più eclatanti di
esperimenti applicati tramite disegni, lettere dell’alfabeto, oppure
messaggi. Notevoli furono gli esperimenti di B. Sinclair, il quale si
concentrava mentalmente su di un disegno o su di un oggetto di casa,
mentre la moglie (che si trovava in un’altra stanza) doveva indovinare
e disegnare le immagini pensate dal marito. In Italia, negli anni
1952 – 53 – 56 Piero Cassoli ed Enrico Marabini condussero
esperimenti sulla trasmissione telepatica di scene vissute dagli agenti
sperimentatori nel momento stesso delle prove.
Vari fenomeni spontanei e differenti esperienze di laboratorio, hanno
dimostrato che le facoltà PSI (termine proposto da Thouless e Wiesner
nel 1947, con cui si indica tutto ciò che riguarda il paranormale e il
suo studio) ed in particolare quelle telepatiche, si manifestano meglio
durante il sogno e negli stati di trance. Servadio distinse tra sogno
normale e sogno paranormale ed esperimenti di telepatia onirica furono
per primi attuati in USA, in Laboratori che conducevano ricerche sul
sonno e sul sogno.
Anche negli stati di trance medianica ed ipnotica, molti soggetti
manifestano facoltà telepatiche o psichiche di vario genere, che
ordinariamente non dimostrano (o credono di non possedere).
In un secolo circa di ricerche PSI sono emerse numerosissime tesi sulla
telepatia e su altri fenomeni ad essa correlati. Teorie, più o meno,
ancora dibattute e sostenute da differenti ricercatori che operano a
livello mondiale, evidenziano l’ipotesi che nel fenomeno telepatico è
presente l’influsso di energie psichiche universali e di psichismi di
viventi e di defunti.
Questa
brevissima descrizione di fenomeni tra loro simili, per affermare che
tutti gli umani possono essere sensitivi, persone in grado di
sperimentare la telepatia, la psicoscopia e la chiaroveggenza tattile e
così le ADC e altri fenomeni psichici. Sostengo però che Medium è
solo colui che, a suo piacimento e in qualunque luogo, può entrare in
comunicazione con entità di soggetti deceduti e anche viventi.
Deve essere altrettanto chiaro che la medianità non può essere appresa
o insegnata; durante corsi o performance di vario genere, si possono
osservare i meccanismi esteriori legati a tale fenomeno, che a loro
volta sono descritti da soggetti medianici (?) con differente
linguaggio, i cui contenuti sono però i medesimi.
Noi tutti possiamo osservare, essere partecipi di una comunicazione tra
un vivente (medium) ed un defunto (su questo aspetto dobbiamo presumere
che il medium sta davvero conversando con una entità), ma ciò non può
bastare per far sì che il fenomeno possa essere sperimentato da tutti.
E’ invece possibile che un numero elevato di persone, pur ritenendosi
prive di facoltà PSI, possano sperimentare il fenomeno della telepatia,
della psicoscopia, chiaroveggenza tattile, ADC, ecc.
Sono convinta che alcuni fenomeni psichici si attuino utilizzando
energie o qualità presenti (in modo identico) nella maggior parte degli
individui ed altre solo in alcuni soggetti che possono possederle fin
dalla nascita oppure venirne in contatto in differenti età ma, in
entrambi i casi, si tratta di soggetti (medianici) già predisposti per
essere attivati in tal senso.
Durante il corso di Alan Stuttle, la maggior parte degli esperimenti
psichici nulla hanno avuto a che fare con la medianità, ciononostante
alcuni studenti hanno manifestato d’essere medium. Lydia in
particolare, sembra aver sperimentato un contatto MED, nel corso di un
esercizio utilizzato per l’attivazione dell’emisfero destro del
cervello (l’input era stato quello di disegnare su di un foglio con
entrambe le mani, ma in particolare con quella sinistra). Sicuramente l’esercizio
ed il conseguente contatto MED è stato maggiormente prodotto dal
contatto telepatico avuto (seppur inconsapevolmente per entrambe) con la
mia persona, quindi con la mia memoria. Alcuni elementi riferiti da
Lydia, non erano presenti in me (non facevano parte del mio bagaglio
mnemonico) in quello specifico momento; per questa ragione l’elemento
medianità può essere ritenuta una qualità che appartiene a Lydia e
che potrà essere ampliata con la pratica, lo studio e una maggiore
comprensione di sé.
FATTURE NEW AGE
Da
una e-mail inviata al sito "La Pagina degli Amputati"
….. scrivo per rendere noto ai più, lo stato psicologico, che una
vastissima popolazione (seppur colta o presunta informata, quindi dotata
di PSEUDO CONOSCENZA) ancora oggi nutre nei confronti delle esperienze
extracorporee e delle conoscenze derivate dalla filosofia New Age, in
generale, o Esoterica. Durante
la conferenza (da me tenuta in Toscana), tra le varie domande
concernenti l'esperienza RIP (la regressione a presunte vite precedenti)
è emersa la seguente: -
"E'
possibile rivedere vite
precedentemente vissute, mentre ci si trova a
meditare?".
Occorre ben comprendere che la tecnica di MEDITAZIONE (parola conosciuta
da molti, ma pratica pressoché impossibile da attuare nella sua
totalità), mira a realizzare l'esperienza interiore di
CONSAPEVOLEZZA SENZA PENSIERI. Ovvero quel particolare stato di
coscienza durante il quale, nella mente non dovrebbe passare alcuna
normale attività intellettuale;
tale stato di consapevolezza senza
pensieri, può durare al massimo pochi
secondi. Quando nella mente di una persona che sta meditando (più
precisamente si illude di farlo), vengono prodotte immagini
(eventualmente relative a vite precedenti o di altro genere) tale
fenomeno si verifica perché il soggetto si trova in uno stato simile a
quello ipnotico, in uno stato alterato di coscienza, che può anche
generare particolari esperienze psichiche. Sono
sempre più convinta che possono accedere a particolari esperienze
psichiche, spontanee e reiterate nel tempo, soltanto le
persone consapevolmente orientate spiritualmente o che hanno messo la
loro sofferenza ed esperienza psichica a disposizione del prossimo.
Mentre
è facile che, nella maggior parte di soggetti che si definiscono
sensitivi, si verifica il noto e naturale fenomeno di auto-inganno che
induce a far vedere "elefanti che volano", "angeli"
che si manifestano a frotte, ecc. Tale illusoria e inconsapevole
fenomenologia, in particolare si genera in persone fantasiose
(inconsapevolmente egocentriche, narcisiste) e desiderose di esercitare
potere psicologico (ed economico) o semplicemente di impressionare il
prossimo. Questi individui infatti scoprono che, la maggior parte dei
soggetti (anche gli scettici) ascolta e resta impressionata dai
racconti, dei quali non può aver testimonianza diretta e nei confronti
dei quali deve unicamente affidarsi al sentimento generato dalla
fiducia. Questi PSEUDO SENSITIVI,
danno grandissimo spazio
alla loro personale immaginazione e alimentano soprattutto quella di coloro
che non hanno una cultura adeguata e che sono preda della paura
dell'Ignoto e quindi dell'esagerata o, in alcuni casi, patologica
superstizione. Questo stato di totale ignoranza (teorica e pratica)
produce malintesi (come altre convinzioni) e si verifica perché la
maggior parte di persone, ritiene sia sufficiente apprendere determinate
tecniche, tramite l'utilizzo di conoscenze apprese unicamente dai libri. Alla
luce di queste mie personali "nuove" esperienze (incontrare
persone che si dicono spiritualmente orientate, soltanto perché hanno
letto storie interessanti e accattivanti su libri editi da case editrici
importanti, alcuni dei quali scritti da autori stranieri),
ribadisco con
maggior forza
che per comprendere e sperimentare anche i fenomeni psichici (un tempo
chiamati paranormali o parapsicologici), occorre entrare in contatto
diretto con testimoni viventi e non unicamente con Maestri
disincarnati, incontrati durante viaggi astrali attuati a seguito di OBE
auto-procurate e/o generate anche da tecniche come la RIP.
Affermo che ancora oggi, gli
insegnamenti orali, soprattutto quelli riferiti a specifiche conoscenze
psichiche, non possono né potranno mai essere sostituiti da libri o
computer seppur
super evoluti. Durante
il mio soggiorno in Toscana, sono stata notevolmente impressionata dal
constatare che, numerose persone (non studiosi, ma fruitori o
"specialisti" magici) durante le loro quotidiane "chiacchiere di
salotto" si vantano di poter giornalmente attuare esperienze di OBE, per poter vedere e scoprire da quali super
maledizioni e/o "fatture" (come la "macumba
brasiliana" e simili) i loro clienti o amici sono preda.
Ho personalmente ricevuto insegnamenti orali, da
persone in linea con Scuole Spirituali Orientali ed Occidentali.
L'insegnamento che entrambe le scuole impartiscono, suggerisce che
la
peggior "fattura" (a parte quella fiscale) che reca danno agli umani, è quella che
deriva da uno stato mentale spontaneo (quindi prodotto
inconsapevolmente), autogenerato. Mi
spiego meglio: se sulla Terra, e in particolare in Italia, esistesse un individuo
capace di utilizzare l'Altissima Magia, e conseguentemente in grado di
procurare maledizioni e malefici anche mortali, il suo agire esteriore,
sarebbe ed è notevolmente inferiore a quello prodotto dalle
Subpersonalità" (chiamate così da R. Assagioli, fondatore della
Psicosintesi) o "Falsi io" (così definiti da George I.
Gurdjieff, Maestro di Quarta Via), più semplicemente dalle personali
IDENTIFICAZIONI. Assagioli affermava che non c'è peggior
ricattatore di un soggetto in stato di malattia (in "Psicosintesi
Armonia della Vita" prima edizione pubblicato da Mediterranee, oggi
da Astrolabio). Con ciò voleva intendere che la nostra personalità,
desiderosa di emergere, di creare attenzione, solitamente utilizza
(seppur inconsapevolmente), anche situazioni dolorose (malattia fisica e
non, lutto, delusione, ecc.) tramite le quali ottiene maggiore
considerazione da parte del prossimo. A
nessuno piace immaginare che un dolore fisico e psicologico, in molti
casi persiste perché permette di diventare protagonisti. Oltre a
ciò, la maggior parte di individui preferisce pensare che la ragione di
personali sconfitte e/o delusioni, dipende da elementi esterni. Ancora
oggi una gran parte di umanità preferisce credere che, qualche
sconosciuto o in alcuni casi conosciuto nemico o rivale, li ha
danneggiati, recandosi da uno stregone che, tramite differenti attrezzi
o pozioni è stato in grado di creare una malefica "fattura".
Chi è stato "affatturato" deve conseguentemente recarsi da un
stregone capace di togliere il maleficio e (l'ho appreso proprio in
Toscana) sembra che in Italia ci siano persone che chiedono
30
o 40 milioni di lire (esenti
da IVA e altre tasse affini) per togliere quello che sconosciuti, ma
sicuramente in stretta relazione con amanti, mariti, mogli o colleghi
hanno misteriosamente ma efficacemente provocato. Anche se mi rendo conto che un parlare e scrivere corretto, poco può
fare per chi preferisce pensare che gli errori del proprio vivere
ed agire dipendono da fattori esterni, è per me ugualmente doveroso
ribadire che (come accade con le infestazioni di fantasmi) noi vediamo,
udiamo, percepiamo anche fisicamente, cose e fatti psichici (e
non solo), se lo vogliamo.
Noi
soli, possiamo allontanare da noi stessi e/o procurare a noi stessi il
male, soprattutto quello di natura emotiva e mentale. Non
vorrei apparire come un nuovo "Piero Angela". Come ben sai,
sono testimone e consapevole dell'esistenza dei differenti Piani
Esistenziali, ma occorre tener presente, che tutti noi viviamo nel mondo
delle illusioni e che nel mondo astrale c'è, sì verità, ma si trova
anche tutto quanto è prodotto dalla nostra mente: bello o brutto, buono
o cattivo, falso. Divenire persone seriamente orientate spiritualmente,
significa diventar anche consapevoli della seguente elementare
constatazione:
quello
che esiste nell'aldiquà, è presente anche nei livelli inferiori
dell'Aldilà.
CONTATTI
MED
GRATUITI
Da
una lettera di "Adry", pubblicata nel sito
"La Pagina Degli Amputati"
... dopo
un periodo di accurata riflessione, ho deciso che è bene togliere
l'icona, all'interno del tuo sito, nella quale si afferma che
"Adry è disponibile ad entrare in contatto medianico con i
defunti dei visitatori de "La Pagina degli Amputati". Sono
giunta a tale considerazione perché, nonostante io abbia ogni volta
specificato che durante i contatti medianici da me effettuatati,
le entità mi parlano di ciò che vogliono, la maggior parte di
persone che giornalmente mi contatta, invece pretende che in simile
situazione parapsicologica, si verifichino riscontri oggettivi
identici a quelli che si hanno nella vita terrena: che il
ritratto mostri identiche caratteristiche somatiche (quasi si
trattasse di una fotografia); il messaggio deve avere lo stesso
linguaggio utilizzato in vita. Non è stato sufficiente ribadire che i
ritratti, per ovvie ragioni non possono somigliare in modo tangibile
all'entità e che neppure i messaggi possono essere uguali
al parlato orale o scritto utilizzato in vita. Tutto questo
perché il tempo in cui si attua il contatto medianico è troppo breve
(5 max 10 minuti). In ogni caso ciò che al vivente dovrebbe importare non
è l'identica somiglianza (nel ritratto e nel messaggio) ma ritrovare
(in entrambi o in uno solo) tracce che lo riconducono al proprio caro
defunto. Durante l'esecuzione del ritratto, utilizzo pochissime
tonalità di colore, per non essere distratta dall'elaborato artistico
(sono una pittrice professionista e i lavori che eseguo in
tale esperienza non mi soddisfano) che è unicamente un
ulteriore mezzo che permette di stabilire un più solido contatto
MED. E' quindi più che ovvio che, se un'entità in vita aveva i
capelli neri, li eseguo col blu o marrone scuro, e così se erano
castani chiari o biondi, li realizzo col giallo oppure ocra chiaro. In
merito ai messaggi, non voglio che siano lunghi e, ho più volte
specificato che non amo effettuare domande specifiche, perché, a mio
parere, il risultato sarebbe meno attendibile se influenzato
intellettualmente. Grazie alla mia ingenua e benefica disponibilità
verso il prossimo, ho creduto che, offrire un'occasione gratuita,
favorisse nel vivente una maggiore attenzione e comprensione, nei miei
confronti e verso le entità che spontaneamente (non chiedo di avere
notizie da una in particolare) mi contattano. Invece, nonostante
alcune persone abbiano già ricevuto messaggi, con specifici
particolari che hanno permesso di riconoscere i loro defunti. Ciò non
è bastato! Alcune persone mi hanno ampiamente ringraziata e informata
che mi avrebbero fatto qualche omaggio, dopo che avessi ricevuto un
ulteriore ritratto e messaggio. Avrei invece unicamente preferito
constatare, nelle e-mail ricevute, lo stesso tipo di disponibilità e
generosità dimostrata da me e da te, e dalle entità. Ma,
addirittura, la pretesa di ricevere un'ulteriore segno, per poi
decidere di riconoscermi un omaggio, è un atteggiamento per me
incomprensibile!!! Le persone che già mi avevano contattata,
potranno ugualmente mantenere un rapporto epistolare con me e se
riceverò messaggi dai loro cari, procederò come sempre; ma,
da ora in poi, preferirò inviare a te i ritratti di entità a
me sconosciute, e valuterò con maggiore attenzione le
richieste che potranno continuare ad essere inviate a Klären.
Da ultimo ribadisco che
i
messaggi ed i contatti con le entità trapassate, dovrebbero avere un
unico scopo consolatorio,
ed anche un minimo segno dovrebbe bastare. Le entità come i
medium non hanno alcuna intenzione di creare situazioni
affinché le persone "credano" alla sopravvivenza dopo la
morte del corpo fisico. La fede o più precisamente la fiducia,
è un fatto ed uno stato d'essere assolutamente personale. Infine,
come ho più volte scritto a coloro che mi contattano, ribadisco che:
"comprendo che il dolore per la perdita di un proprio caro è
davvero grande, ma
anche
nell'Aldilà vi sono tempi precisi,
durante i quali si possono compiere specifiche esperienze.
Infatti le entità sono solite raccontare che hanno
impegni, studiano, per evolversi.
Da ciò si evince che
la
possibilità di entrare in contatto con i propri cari,
non è un'esperienza che tutti, appena
deceduti, possono sperimentare,
per
ragioni che riguardano il proprio personale cammino.
Personalmente, davvero vorrei poter inviare interessanti
messaggi a tutti coloro che mi hanno contattata, ma non mi
accade.
La
mia onestà e il disinteressato amore per il prossimo, mi obbligano a
non stimolare inutili illusioni". Questa
è la ragione per cui, di questa mia particolare qualità medianica, non
ho voluto farne una professione.
RESOCONTO
DELLA CONFERENZA DEL 10 MAGGIO 2003, PUBBLICATO SUL NOTIZIARIO N° 13 -
L'EVENTO FU ORGANIZZATO DAL C.S.P. DI BOLOGNA
PIERO
CASSOLI HA LASCIATO IL CORPO
Un grande scienziato
(studioso dei fenomeni PSI) e caro amico, nel mese di agosto 2005 ha
lasciato il corpo.
Impossibile dimenticarsi di lui.
Il mio primo incontro con Piero Cassoli avvenne in modo insolito,
come per certi versi era lui ed anche io, ovvero personalità al di
fuori degli schemi ordinari.
Fu un grande onore entrare a far parte
del C.S.P. (Centro Studi parapsicologici) di Bologna, quando
Cassoli ne era ancora Presidente e sono grata a lui ed anche alla
sua inseparabile consorte, Brunilde, perchè in momenti
difficili, per me ed i miei familiari, mi furono discretamente
vicini.
Al Convegno di Studi Parapsicologici organizzato da Klären
nel 2005, fu davvero meraviglioso vedere Piero e Brunilde tra il
pubblico, entrambi apprezzarono i nostri sforzi e ci incoraggiarono
ad andare avanti con iniziative simili. Porterò nel cuore quella
giornata perchè fu l'ultima in cui vidi Piero in perfetto stato di
salute, estremamente solare e disponibile. Sono certa che per la
maggior parte di studiosi dei fenomeni PSI egli è stato un grande
Maestro e Padre spirituale; per me, seppur ultima arrivata nella
"Famiglia" del C.S.P. così è.
Grazie Piero e buon viaggio.
MARCO MARGNELLI HA LASCIATO IL CORPO
Ho appreso della dipartita di
Marco,
lunedì 31 gennaio 2005; Bruno Severi mi aveva chiamata al cellulare
dicendomi "Hai saputo che è morto Marco?". Immediatamente avevo
risposto "Marco chi?" e Severi aveva precisato "Margnelli".
L'informazione, agli amici di Bologna, era giunta tramite una socia del
C.S.P. (Centro Studi Parapsicologici, del quale anche Marco faceva parte)
che ne aveva letto notizia sul quotidiano "La Repubblica" e subito aveva
informato Brunilde e Piero Cassoli. Dopo aver salutato Severi, anche io
avevo immediatamente telefonato ad O., un amico di Marco che vive a pochi
chilometri dal paese in cui era nato mio padre (ivi si trova una mia modesta
proprietà, nell'estate 2004, grazie a Marco, conobbi O.). Chiamai O. per
sapere la data della scomparsa di Marco; O. mi disse che se ne era andato
sabato 29 gennaio.
Avevo
conosciuto Marco Margnelli nell'inverno 2004, precisamente nel mese di
Febbraio in occasione del Primo Convegno di Studi Parapsicologici
organizzato da Klären. Lo avevo invitato tramite il telefono ed egli
s’era immediatamente reso disponibile (risiedeva in Roma), nonostante
avessi sottolineato che Klären, non possedendo fondi economici, poteva
unicamente ospitare i relatori all’interno dell’Eremo di Ronzano. Ciò
che mi colpì fin dal principio, in quell’esile e piccolo (di statura)
uomo, fu il suo spiccato senso dell’ironia (a volte sottilmente
mordace). Era però chiaro per chiunque che, dietro il pungente senso
dell’ironia, si celava un’indole caratterizzata da raffinata dolcezza;
infatti, molti suoi pazienti e discepoli, riconoscevano in Marco le doti
di padre e di Maestro di vita. Il Primo Convegno di Studi
Parapsicologici organizzato da Klären, fu “benedetto” da una gran
nevicata che costrinse Margnelli e me a soggiornare, più del previsto,
all’Eremo di Ronzano. L’abbondante nevicata rese possibile ciò che, a
Marco ed anche a me, parve essere il “segno” di quel che, in futuro,
avrebbe potuto diventare un sicuro sodalizio professionale. A causa
della neve, alcuni oratori mancarono e, Marco ed io, spontaneamente ci
prodigammo per intrattenere, giorno e notte, il coraggioso pubblico che,
come noi, era rimasto “intrappolato” in un luogo che era divenuto ancor
più suggestivo, magico, dove il tempo pareva essersi fermato ed il
silenzio della neve aveva ingigantito enormemente l’aura mistica, tipica
dell’Eremo di Ronzano. Per due giorni, ci adoperammo affinché le persone
presenti potessero prendere da entrambi, maggiore conoscenza possibile,
non soltanto circa le tematiche del Convegno, ma soprattutto su quanto
concerneva la conoscenza del Sé, l’aver maggiore contatto con se stessi
(tematica estremamente cara a Marco, il quale aveva ben chiaro che la
fine della sua esistenza terrena era vicina).
Al termine del Convegno,
spinti dall’entusiasmo del pubblico che aveva apprezzato le nostre
impreviste performance, decidemmo di organizzare un seminario
concernente la RIP (tecnica di Regressione Ipnotica Prenatale), che
avremmo dovuto condurre insieme in Toscana, nel mese di ottobre 2004.
Le nostre esperienze, il nostro sentire intimo e soprattutto l’ideale
filantropico, seppur maturati in differenti vie (lui medico ed altro, io
Filosofo ed altro) ed epoche (le nostre differenti età) erano
estremamente simili.
Purtroppo ci fu impossibile realizzare questo
progetto, a causa di reciproci problemi di salute. Nonostante il grave
stato di salute, Marco si è dato fino all’ultimo, accettando di condurre
conferenze e cariche professionali, in svariate parti d’Italia.
Accettò
con entusiasmo di partecipare al Secondo Convegno di Studi
Parapsicologici organizzato da Klären, con una relazione che aveva come
titolo (da lui stesso scelto) “Conosci
te stesso: alcune riflessioni sulla struttura della coscienza”.
Dieci giorni prima della sua dipartita, mi telefonò confermando la sua
presenza e sottolineando che aveva già terminato la stesura della sua
relazione, aveva però necessità di rileggerla. Margnelli è invece
improvvisamente mancato, senza aver avuto l’opportunità di rivedere il
suo scritto e inviarmelo. Proprio perché è stata grande la sua
disponibilità ed il desiderio di partecipare al Secondo Convegno di
Studi Parapsicologici, ho deciso di inserire negli Atti la relazione che
Marco tenne l’anno scorso (condotta a braccio), anche perchè ben si
adatta al tema di questo anno.
Marco Margnelli ora più di tutti noi, può
aver finalmente scoperto se, le ipotesi degli studi condotti, fino ad
oggi in ambito parapsicologico, dagli Scettici e quelle delle Scuole
Filosofiche Orientali, sono esatte.
NAMASTÉ
Marco e GRAZIE INFINITE.
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